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ARTE

Quel Volto santo che porta alla Trinità

La figura di Cristo ci parla delle tre persone divine, è porta d'accesso verso l'intima comunione del mistero trinitario, svela la Verità fatta uomo.

Attualità 26_01_2012
Trinità Masaccio

«Quel tipo di rappresentazione è inappropriato a raffigurare Dio». Era il 1628 quando Urbano VIII condannò il modo di dipingere la Trinità mediante la figura di Cristo con tre teste o mediante una testa con tre volti (vultus trifrons). Questo tipo di immagine, che riutilizzava in età medievale un’iconografia pagana nel tentativo di esprimere il Dio uno e trino, risultava semplicemente mostruosa. A ben guardare, era una raffigurazione basata su un approccio che riscontriamo anche ai nostri giorni: una raffigurazione incapace di entrare nel mistero di Dio e farne risplendere la bellezza perché nata più da un freddo e grossolano ragionamento sul dogma cristiano che non dalla contemplazione della sua verità. Basta guardare uno degli esempi di Trinità tricefala che ci sono rimasti, come quella ritrovata sotto uno strato di intonaco nella chiesa di Armeno, per comprendere il motivo della condanna.

Un'altra tipologia di raffigurazione della Trinità è stata quella definita triandrica o cristiforme.
Un esempio noto è quello del Sacro Monte di Ghiffa dove la Trinità è presentata con tre figure distinte e affiancate, poste dietro una mensa e tre calici eucaristici, tutte con il medesimo volto di Cristo.
Questa soluzione iconografica richiama l’episodio di Abramo che con la moglie Sara accoglie tre ospiti presso le querce di Mamre e provvede a nutrirli. Tale brano è stato letto in modo tipologico-allegorico in età patristica interpretando in senso trinitario il testo. S.Agostino  sintetizzò questa riflessione nella formula: Tres vidit, unum adoravit.

Pur presentando anche questa raffigurazione dei problemi di carattere teologico, primo tra tutti quello di rappresentare lo Spirito Santo con fattezze umane, ci dice comunque una cosa importante: il volto di Cristo è il volto che conduce nel mistero della Trinità. Gesù è l’icona, il mistero che si è fatto visibile. «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Cristo è la porta attraverso cui abbiamo accesso al mistero di Dio.

Un terzo modo di rappresentare la Trinità, che a differenza dei due precedenti non ha mai riscontrato riserve, è chiamato Trono della Grazia ed è quello dove Dio Padre regge il Figlio in croce e, tra i due, vi è la colomba a indicare lo Spirito Santo. Probabilmente l’esempio più celebre è quello di Masaccio, nella chiesa di S. Maria Novella, a Firenze [nella foto].

Con questa raffigurazione facciamo un ulteriore passo in avanti nella comprensione del mistero trinitario. Le tre persone sono distinte ma unite. E Cristo, rappresentato nel cuore della Trinità, non dimentica la croce, non abolisce le ferite. Non solo, quindi, possiamo rispecchiarci nel volto umanissimo di Cristo, ma anche nelle sue ferite, nei segni della croce. I limiti del corpo, quelli che tutti noi riscontriamo nella malattia, nella vecchiaia, nella morte, quei limiti che ci offendono non sono estranei a Dio. Dio si è abbassato, si è fatto uomo ed è entrato nella miseria del mondo fino ad assumerla su di sé, fino a morire. Ma Dio non è rimasto invischiato nel mondo. Così come non si è ritirato e nascosto in un cielo asettico. Dio non ha scosso da sé il corpo come se fosse pulviscolo, ma, trasfigurato, lo ha portato dentro la maestà di Dio, nell’intima comunione della Trinità.

Questo destino promette l’annuncio cristiano al mondo. E questo è chiamato a testimoniare l’arte quando mostra il volto di Cristo.