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DIETRO LA PROPAGANDA

Quel che mostrano (davvero) le storie di Gorino

Nove delle 12 donne africane che dovevano essere accolte a Gorino sono nigeriane. Quattro hanno raccontato di essere scappate per salvarsi la vita da violenze familiari. Solo una ha tirato in ballo Boko Haram, la cui minaccia è però oggi molto ridimensionata. Ma nessuna può sperare di ottenere lo status di rifugiato. In realtà sono povere vittime della tratta.

Esteri 29_10_2016
Le donne del caso Gorino

Nove delle 12 donne africane per ospitare le quali era stato sequestrato l’ostello di Gorino sono nigeriane. Quattro hanno raccontato di essere scappate per salvarsi la vita: Esther, 22 anni, perché suo marito la voleva uccidere, Elle, 20 anni, per via di gravi problemi famigliari legati a un prestito non restituito (suo nonno ha ucciso suo padre), Dooshena, 20 anni, perché maltrattata da uno zio e Abideni, 35 anni, perchè minacciata di morte per qualche ragione che sembra non abbia ancora spiegato.

Joy, 20 anni, incinta, fuggita con il marito che ha poi perso di vista in Libia, dice invece di essere scappata per non dover seguire, lei cristiana, la religione animista del padre

Infine c’è Faith, sopravvissuta a un attacco dei jihadisti Boko Haram nel corso del quale la sua famiglia è stata sterminata. Il suo è il racconto più drammatico. È infatti scampata alla morte solo per essere rapita. Dopo la strage – ha raccontato – “alcuni uomini mi hanno presa e mi hanno portata in Libia, è stato tremendo. Un altro uomo è venuto a liberarmi e mi ha accompagnata in un campo profughi dove mi hanno dato da mangiare, mi trattavano abbastanza bene. Ci sono rimasta per due mesi, finchè sono riuscita a uscire e ho preso la nave. Mi hanno accompagnata in Italia venerdì”.

Del viaggio dalla Nigeria all’Italia non dicono quasi niente. Nelle storie riportate dai mass media non si trova accenno ai trafficanti di uomini (o per meglio dire contrabbandieri) e agli scafisti. Joy racconta che arrivare in Libia le è costato 420 euro. Non dice a chi li abbia dati. Elle sostiene di aver viaggiato in tutto una settimana. Abideni parla delle ferite fisiche e psicologiche inimmaginabili che gli arabi le hanno inflitto: “Anche io non so per quale motivo sono arrivata in Libia – dice – e quando sono sbarcata non sapevo nemmeno dove fossi”.

Dunque, stando alle sue parole, deve aver viaggiato appoggiandosi a qualcuno: con tutta probabilità a una organizzazione di trafficanti, come fa la maggior parte degli emigranti clandestini. Secondo l’Europol e l’Interpol, nel 2015 i trafficanti hanno trasportato in Europa circa il 90% degli immigrati irregolari il che ha fruttato loro almeno sei miliardi di dollari.

Ma anche le compagne di Abideni devono essersi rivolte a qualcuno. È molto difficile che abbiano organizzato e intrapreso da sole un viaggio così lungo e complesso. O piuttosto si può ipotizzare che, come succede spesso, siano state avvicinate da una organizzazione di trafficanti che si è offerta di portarle fuori dal paese e le ha convinte a farlo promettendo sicurezza, grandi opportunità, un roseo futuro. Joy e Faith adesso che sono in Italia dicono di voler studiare. Sembra di sentire i trafficanti illuderle che in Italia potranno fare tutto quello che desiderano, realizzare ogni sogno.

La Nigeria è di gran lunga lo stato da cui arriva il numero più elevato di immigrati irregolari. I richiedenti asilo nigeriani sono stati 2.356 a luglio e 2.861 ad agosto. Per fare un confronto, i richiedenti asilo irakeni sono stati 137 a luglio e 101 ad agosto (dati del Ministero dell’Interno). Ma la Nigeria è anche uno dei paesi in cui più attiva è la tratta di persone, di giovani donne in particolare.   

Con un “fatturato” di circa 34 miliardi di dollari l’anno, la tratta a scopo di sfruttamento è una delle attività illegali più redditizie. I criminali che vanno a caccia di donne disposte a emigrare le adescano, ad esempio, promettendo un lavoro, un marito ricco, una sistemazione sicura. Una volta arrivate a destinazione, scoprono di essere state vendute a una rete di prostituzione. Altre donne subiscono la stessa sorte, però consegnate ai trafficanti dai genitori: illusi a loro volta da false promesse – “andranno a scuola, guadagneranno bene, manderanno tanti soldi a casa” – o disposti a cederle in cambio di denaro.

La Nigeria è uno dei governi africani che hanno incominciato a preoccuparsi dei danni dell’emigrazione in generale, e più ancora di quella irregolare. Per aprire gli occhi alla gente, metterla in guardia, due anni fa nelle strade delle città principali sono comparsi dei manifesti. Uno mostra in primo piano un uomo e una giovane donna. “Ti trovo un lavoro in Italia” promette l’uomo alla ragazza. Sotto si legge a grandi lettere: “Diffida degli estranei che fanno offerte allettanti: un lavoro all’estero, un matrimonio... I trafficanti di uomini conoscono molti trucchi. RIFIUTA!”

Vittime di tratta o dei trafficanti, e per doloroso che sia il loro passato, le 12 donne di cui tutta l’Italia parla non possono sperare di ottenere lo status di rifugiato, neanche Faith, dal momento che la minaccia rappresentata da Boko Haram dal 2015 si è molto ridimensionata. Potrebbero ottenere protezione sussidiaria oppure un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lontano da casa, tra gente che parla una lingua che non conoscono, dipendenti in tutto, in ogni minima cosa: ancora non si rendono conto di essere ospiti di un paese che, per dar loro un futuro, renderle autonome, in grado di provvedere a se stesse dovrà sostenere ingenti spese per anni e non è detto che possa e voglia farlo.