Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MOSTRA DEL CINEMA

Quei film che Venezia non premia

A parte il meritato Leone d'oro
per il Faust di Sokurov, la rassegna
ha ignorato pellicole di qualità, premiando invece lavori discutibili.

Attualità 14_09_2011
sokurov
La rassegna si è da poco conclusa, e già molti dei film della Mostra del Cinema di Venezia sono nei cinema. Al di là delle solite polemiche (troppi film, spazi insufficienti, cantieri infiniti, prezzi alti), se non è stata “un’ottima annata”, per lo meno si può definire più che soddisfacente: tanti bei film, qualità media decisamente alta, pochi (e abbastanza prevedibili) i bidoni.

Il Leone d’oro è meritato al di là di ogni ragionevole dubbio: perfetto film “da festival”, il Faust di Alexander Sokurov, è una rilettura ricca, visionaria e di grande forza dell’opera di Goethe. Il maestro russo non è certo un regista di film “di cassetta” e per gran parte del pubblico rimane uno sconosciuto, anche se chi l’ha visto ricorda con ammirazione il suo Arca russa, tutto girato in un unico piano sequenza nell’Ermitage di San Pietroburgo. Ma quella che completa la sua tetralogia sul Potere – dopo Moloch su Hitler, Taurus su Lenin e Il sole sull’imperatore Hirohito – è un’opera nella quale si smaschera il Potere: un Demonio tentatore, infido e laido. Faust, com’è noto, gli cede l’anima per la sua sete di conoscenza e brama di vita, ma sa anche che qualsiasi cosa non gli basterà mai. Faust è un film complesso, dalle molte scene sgradevoli anche per la cupezza delle ambientazioni; chi non è motivato si terrà lontano, ma chi ha curiosità per una rappresentazione originale lo prenda in considerazione, quando uscirà al cinema.

Se il Leone d’oro è più che giustificato, per il resto dei premi resta più di un dubbio. Il Leone d’argento per la regia a Shangjun Cai per People Mountain, People Sea è il solito riconoscimento al film noiosissimo che in un festival non può mai mancare: è vero, il regista è inviso al regime di Pechino; la sua opera rischiava di non arrivare a Venezia per la solita ottusa censura che si è scagliata contro una rappresentazione del Paese che oscilla tra miseria e violenza, e dove un uomo cerca di vendicare la morte del fratello. Sta di fatto che questo è il classico tipo di cinema che si dimentica di pensare al pubblico che paga per entrare in una sala: e allora dimentichiamoci anche noi di lui. Analogo discorso per Alpis del greco Yorgos Lanthimos, premio per la miglior sceneggiatura, che pure è meno lento e lontano dalla nostra sensibilità: un’idea originale (un gruppo di personaggi sopra le righe arrotonda prendendo il posto, a pagamento, di persone scomparse per far elaborare il lutto o l’abbandono a chi soffre) che però si perde tra violenza e scene disgustose e gratuite, nelle quali prevale un cinismo fastidioso.

Meglio il Premio Speciale della Giuria (tecnicamente un terzo posto) per Terraferma di Emanuele Crialese che riporta l’Italia sul podio veneziano: il film fatica a entrare nel cuore del dramma, in una Lampedusa (ma il film è girato a Linosa) dove si susseguono gli sbarchi dei clandestini, e dove un gruppo di personaggi deve fare scelte delicate; ma il finale si fa apprezzare e ricordare, anche se da Crialese ci aspettavamo meno schematismi (i pescatori buoni e saggi contro i militari cinici) e anche ispirazione maggiore, all’altezza dei precedenti Respiro e Nuovomondo. Meritati invece i riconoscimenti per gli attori protagonisti: Michael Fassbender, che in Shame disegna la parabola si autodistruzione di un uomo dipendente dal sesso in tutte le forme possibili e immaginabili, e Deanie Yip che nel commovente film cinese A simple life interpreta un’anziana governante che dopo sessant’anni presso una famiglia si troverà ad essere assistita nella malattia dal suo giovane “padrone”.

Ma non ci sono solo i film premiati: l’altissima qualità media del concorso ha infatti lasciato a bocca asciutta tanti film che hanno ben impressionato. Ne citiamo alcuni, da vedere quando usciranno al cinema, a cominciare dall’imminente Carnage di Roman Polanski, che sembrava il favorito per la vittoria. Da uno spunto banalissimo – due coppie si incontrano per superare “civilmente” il problema di una rissa tra i rispettivi figli, ma poi il nobile tentativo crolla miseramente per l’emergere di pulsioni e tensioni incontrollabili – il regista apolide e con noti problemi giudiziari che l’hanno tenuto lontano da Venezia realizza un gioiellino di 80 minuti scarsi, ricco di intelligenza (si fa a pezzi con gusto l’ipocrisia borghese), humour e ritmo con quattro attori uno più bravo dell’altro (Christoph Waltz, già “nazista” in Bastardi senza gloria, Kate Winlset, Jodie Foster e John C. Reilly).

Grande intelligenza e grandi attori, ma anche notevole tasso di pessimismo (e realismo) politico in Le idi di marzo di George Clooney, in cui il divo si è scelto non il ruolo del protagonista (un giovane e brillante addetto stampa interpretato da un ottimo Rayn Gosling) ma quello ambiguo e incombente del candidato democratico alle presidenziali Usa in un duello a colpi bassi con il rivale alle primarie del suo partito.

Altro film che sprizza intelligenza e pessimismo, con attori superlativi al suo servizio, è Tinker, Taylor, Soldier, Spy (in Italia uscirà come La talpa), film inglesissimo seppur diretto dallo svedese Tomas Alfredson: dal romanzo di John Le Carrè, una storia di spionaggio tesa e brillante (già portata sul piccolo schermo negli anni ’70 dalla BBC), con attori come Gary Oldman, Colin Firth, Marc Strong, Toby Jones, John Hurt e tanti altri, sulla ricerca di un traditore che durante la Guerra Fredda vende i segreti del servizio segreto britannico al nemico sovietico.

Tra gli altri film hanno suscitato un’impressione positiva, citiamo Il pollo alle prugne dell’iraniana Marjane Satrapi e del francese Vincent Paronnaud, vicenda triste impaginata con stile vivacissimo e romantico (nel cast anche Isabella Rossellini) e il “pulp” Killer Joe del mitico William Friedkin (Il braccio violento della legge, L’esorcista, Vivere e morire a Los Angeles) con un Matthew McConaughey forse nella sua migliore interpretazione.

Concludiamo con un piccolo film italiano non in concorso: Io sono Li, di Andrea Segre. Li è una donna cinese che per pagare il suo debito con chi l’ha portata in Italia deve lavorare gratuitamente fino a quando lo decideranno i suoi padroni. Mandata a gestire una piccola osteria a Chioggia, entra in confidenza con un anziano pescatore e i suoi amici. Un film malinconico e realista sull’immigrazione, senza pretese ideologiche e con ottimi interpreti (Giuseppe Battiston, Marco Paolini, il grande Rade Serbedzja). Quando uscirà, non perdetelo.