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CHIESA (IN)SOSTENIBILE

Quattro vescovi in bicicletta. Ma non c'è don Camillo

Quattro vescovi, sorridenti a bordo delle loro biciclette per testimoniare l'impegno a difendere l'ambiente e favorire la "mobilità sostenibile". A Bolzano il vescovo insieme ai colleghi di altre tre Diocesi (Trento, Belluno e Como) hanno sfilato per le vie e lanciato un appello. A lasciare l'auto a casa.

Creato 03_09_2014
Don Camillo, interpretato da Fernandel

Un vescovo in bicicletta? Difficile che qualcuno l’abbia mai intercettato nel traffico cittadino mentre dribbla auto e autobus bloccati in coda. Mica siamo a Copenaghen (e poi lì se ci fossero non sarebbero certo ministri cattolici). Beh, immaginarsene addirittura quattro, è visione da guinness dei primati. Eppure Bolzano, la città che usa di più le due ruote, ha assistito all’inedito spettacolo di ben quattro prelati scendere in strada e pedalare nel giorno dedicato dalla Chiesa italiana alla “Salvaguardia del Creato”. Questi i nomi degli zucchetti on the road: Luigi Bressan, arcivescovo di Trento, Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre, Ivo Muser, padrone di casa e vescovo di Bolzano-Bressanone e Giuliano Zanotta, vicario della Diocesi di Como (a rappresentare il titolare). Con loro anche il pastore della Comunità evangelica, Marcus Friedrich e il parroco della comunità Romeno-Ortodossa, padre Lucian Milasan. Insomma, due ruote, quattro vescovi e tre religioni. Qualche pedalata dal Duomo fino alla Chiesa evangelica, la preghiera ecumenica e il confronto aperto sui temi della giornata. Poi, raccontano le cronache, i fedeli delle quattro diocesi vicine, con i loro pastori a fare da battistrada sulle piste ciclabili lungo il torrente Talvera, a fare da testimonial della “mobilità sostenibile”. Infine, tutti sulla storica funivia sull’altipiano Renon, con pranzo sobrio, tradizionale e regionale, a sostegno e promozione dell’alimentazione, anch’essa “sostenibile”. 

«Un contributo simbolico a soluzioni non inquinanti», hanno spiegato i quattro monsignori, nell’appello finale alle loro comunità diocesane. Nel messaggio, anche il riconoscimento dell’impegno profuso dall’amministrazione locale di sinistra nel creare concrete possibilità di mobilità pubblica, favorire ed educare anche nei privati l’utilizzo dei mezzi pubblici e soluzioni non inquinanti attraverso efficienti percorsi ciclabili e pedonali, nonché tariffe agevolate per molte categorie di persone. 

Di certo, al sindaco di Bolzano, del Pd, le orecchie fischiavano a mille dopo il sacro elogio venuto dai vertici di quattro Chiese, un’inaspettata beatificazione delle tariffe calmierate, delle piste ciclabili, delle virtù quasi teologali di autobus e tram contro le auto produttrici di smog, certamente con la complicità di Satana. Il tutto asperso con l’acqua santa dell’eticamente corretto e della sostenibilità equa e solidale. Vabbè, quattro pedalate in bici non hanno mai fatto male e nessuno. Sì, ma senza esagerare con gli allunghi o passare il segno di una divertente scampagnata fuori porta a vantaggio di un predicozzo sulle “soluzioni non inquinanti” e gli “efficienti percorsi ciclabili”. Nel Vangelo si parla di Creato e creature, non ci sono parabole sulle polveri sottili, la ci-o-due, l’effetto serrra, gli abbonamenti ai cammelli pubblici con lo sconto per i pendolari. 

Bastava (forse) la bella foto dei quattro Pastori in sella ai loro cavalli d’acciaio per richiamare il popolo a uno stile di vita più sobrio e rispettoso dei doni della Terra e dell’aria, che poi a Bolzano non è mica male. Senza la fregola di costruirci sopra un’improbabile teologia del traffico, le Nuove Tavole della Mobilità in aggiunta a quelle vecchie di Mosè, o un’inedita Pastorale della Pedivella per le Diocesi del Nord. Già, perché l’impegno che i quattro eco-vescovi si sono presi, non è dei più semplici. «Come Chiese», scrivono nel loro appello, «vogliamo impegnarci sempre più a valorizzare questi sforzi, utilizzandoli il più possibile e programmando le attività pastorali con particolare attenzione a questo stile di mobilità». Chiaro, no? Mica tanto, a parte l’esplicita raccomandazione ai parrocchiani di andare a Messa lasciando l’auto in garage. Non bastano già sindaci, ecologisti e guardiani del verde a vigilare sui nostri comportamenti eco-compatibili? Ci si devono pure mettere vescovi in bicicletta, parroci in pattini a rotelle e perpetue in carriola a menare la solfa dell’ambiente da salvare, del mondo da risparmiare e della lattuga da adorare? Con il bel risultato di partorire messaggi, come quello uscito dalla biciclettata arcivescovile alto-atesina, che scambiano la Giornata del Creato con la Festa della Forestale e fanno di Gesù un leader di Legambiente col braccino corto e il pallino del riciclo. 

Ma no, forse le cose non stanno così e a questa polemica sul rischio di una Chiesa no-smog e tanto greenpeace manca davvero qualche rotella. Del resto, lo ha detto anche Papa Francesco che la fuoriserie non si addice ai servitori del Vangelo. «A me fa male quando vedo un prete o una suora con un’auto di ultimo modello: non si può», ha ricordato incontrando i seminaristi, novizi e novizie. Scherzando, Bergoglio ha poi aggiunto: «Voi ora pensate: “Adesso dobbiamo andare con la bicicletta?”. Ma la bicicletta è buona e monsignor Alfred, il mio segretario, anche lui va con la bicicletta». Giusto, come raccomanda Francesco, andare in bici ci tiene in forma, soprattutto aiuta a dividere il necessario dal superfluo, a riconoscere che il bello della vita non è il possesso e che tutto dipende da un Altro che sta nei cieli, non importa se puliti o meno. Pure il mitico don Camillo di Guareschi si muoveva nelle stradine polverose della Bassa in bici: ma mica lo faceva per dare lezioni di sostenibilità al sindaco Peppone.

E pensare che fino all’inizio del Novecento, la Chiesa considerava la bicicletta dannosa invenzione del Modernismo e cavalcare da parte di un prete il veicolo a pedale con due ruote gommate era addirittura un atto insolente. Parola di Pio X che firmò una circolare per ribadire che la veste talare del sacerdote non era compartibile con le due ruote: i trasgressori rischiavano pesanti provvedimenti disciplinari. Ma i tempi erano quelli: anche in campo civile l’uso della bici era malvisto. Per esempio, nel maggio 1898 il generale Bava Beccaris non aveva esitato a considerare la bicicletta uno strumento di disordine in mano ai rivoltosi e agli operai; perciò ne aveva proibito l’uso. E l’assoluto divieto veniva ribadito dai vescovi lombardi ancora nel 1907. Acqua passata, le tonache hanno lasciato il posto al più comodo e glamour clergyman e sulla bici è caduto il divieto. Però, è sempre più raro incrociare sacerdoti alla don Camillo, tantomeno vescovi alla Bartali (non diciamo alla Coppi, la Dama Bianca non gradirebbe) che non si sognerebbero certo di visitare le Diocesi a bordo di un’ecologica bicicletta, magari servo-assistita. Eccetto che nella Giornata della Salvaguardia del Creato. Ma è una tantum solo per i fotografi, come le domeniche a piedi. Meglio così.