Quasi-blackout europeo: segnale di allarme per le rinnovabili
Pochi se ne sono accorti, specie fra i non addetti ai lavori. Ma venerdì 8 gennaio scorso abbiamo rischiato di rimanere tutti al buio. Per “tutti”, in questo caso, si intende in tutta l’Europa continentale. Ci siamo salvati soprattutto grazie all'intervento di tante centrali nucleari e termiche. Quelle che l'Ue vorrebbe eliminare a favore delle rinnovabili.
Pochi se ne sono accorti, specie fra i non addetti ai lavori. Ma venerdì 8 gennaio scorso abbiamo rischiato di rimanere tutti al buio. Per “tutti”, in questo caso, si intende in tutta l’Europa continentale. Abbiamo rischiato un gravissimo blackout generalizzato che avrebbe reso la nostra vita ancor più difficile, in un periodo già critico, con milioni di pazienti che dipendono, negli ospedali, dalla continua alimentazione elettrica. Il danno è stato evitato perché i gestori della rete elettrica europea hanno reagito con prontezza. Ma non si tratta di un evento unico. Il rischio blackout è più frequente di quanto si pensi e soprattutto i nuovi programmi energetici previsti dal Green New Deal potrebbero peggiorare ulteriormente il quadro, sia rendendo più difficile la soluzione, sia rendendo più instabile la rete.
A quasi tre settimane dall’incidente non è ancora del tutto chiara la sua origine. Dovrebbe essere partito tutto dall’Europa sudorientale, dalla Romania, secondo alcune fonti, per una variazione della frequenza di rete di 0,25 Hertz. La rete deve rimanere stabile su una frequenza di 50 Hz e la minima deviazione può causare seri problemi. La variazione ha fatto partire una reazione a catena continentale. La rete europea si è divisa in due “isole” separate e i gestori hanno iniziato a staccare dalla rete numerosi clienti “interrompibili”, soprattutto in Francia e in Italia. In alcuni Paesi, macchinari sensibili si sono disattivati automaticamente per evitare di subire danni. Così l’azienda Terna, in Italia, spiega come è intervenuta l’8 gennaio: “ha attivato il primo livello di protezione del sistema staccando dalla rete circa 400 MW di consumi di clienti industriali cosiddetti interrompibili. Un’azione coordinata con le altre iniziative dei gestori di rete europei che ha permesso di riequilibrare la frequenza elettrica continentale evitando possibili disalimentazioni e interruzioni di elettricità diffuse”.
Il mancato blackout, proprio perché è un pericolo sventato, non fa notizia. In Italia non se ne parla. In Germania e in Austria, invece, ha dato origine ad un dibattito molto vivace sul futuro della produzione energetica in Europa. L’Associazione tedesca delle industrie elettriche ed energetiche (Vik) ha avvertito che “non si deve perdere di vista la questione della stabilità della rete e della sicurezza dell’approvvigionamento”. Il direttore dell’associazione, Christian Seyfert, avverte: “L’incidente di venerdì (8 gennaio, ndr) purtroppo non è il primo del genere, ma deve essere un segnale di allarme per tutti noi. La Germania non deve basarsi sull’approvvigionamento da altri Paesi europei, se non produciamo abbastanza energia”. La Germania ha avviato un ambizioso programma di conversione della sua produzione energetica, mirando ad eliminare quella nucleare e quella fossile (termica), a vantaggio delle fonti rinnovabili. Gli imprenditori avvertono, però, che questi obiettivi non siano raggiungibili nel breve e medio termine e ritengono che, nel frattempo, ulteriori impianti a gas siano necessari per far funzionare il sistema a dovere. Mentre gli impianti a gas sono nel mirino degli ecologisti. Secondo Seyfert, il programma di chiusura degli impianti nucleari e termini comporterà una riduzione della produzione energetica “senza alcun rimpiazzo” nei prossimi anni.
Il dibattito si è acceso anche nella vicina Austria, dove l’azienda elettrica Evn ritiene che l’Austria necessiti di “impianti a gas che si possano attivare rapidamente” in modo da assicurare la fornitura elettrica. Il portavoce della compagnia, Stefan Zach, parlando del quasi-blackout alla televisione nazionale Orf, ha parlato del rischio dell’effetto a catena. “Se le fluttuazioni (di corrente, ndr) sono troppo forti, i macchinari più sensibili si spengono automaticamente per proteggersi. Se ciò avviene anche nelle centrali elettriche, allora diventa un problema grave”. In quel caso, tre settimane fa, numerose centrali hanno dovuto fornire energia addizionale per stabilizzare la rete. Sono state mobilitate anche centrali a gas ancora disponibili. “Queste ultime, tuttavia, sono fortemente osteggiate dagli ecologisti”, constatava il quotidiano austriaco Kronen Zeitung.
L’incidente, insomma, non ha provocato effetti gravi perché c’erano molte centrali elettriche convenzionali, oltre alle centrali nucleari in Germania e in Francia, pronte ad intervenire. Ma ha messo a nudo la debolezza del sistema e soprattutto dei progetti per un futuro “sostenibile”. Dal 2004 al 2016 il consumo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (come solare ed eolico) è passato dall’8,5% al 17%. L’obiettivo per il 2030 era quello del 27% di rinnovabili, secondo gli accordi del 2014, ma dopo il nuovo programma approvato dal Parlamento europeo è stato portato a un più ambizioso 32%, sempre entro il 2030. Probabilmente sarà più un problema che una soluzione. Prima di tutto perché, in caso di futuri blackout, ci saranno meno centrali convenzionali e nucleari pronte a intervenire per immettere energia extra nella rete per stabilizzarla. In secondo luogo perché lo stesso inserimento nella rete di tante nuove fonti rinnovabili, instabili per definizione (dovendo dipendere da elementi naturali) potrebbe essere in sé una fonte di futuri blackout.