Quaresima, tempo di grazia
In un quadro di Brueghel un drammatico confronto tra carnevale e quaresima, in cui emergono le domande sulla nostra vita: da chi ci lasciamo guidare? Che cosa è per noi la quaresima? In Brueghel c'è anche la denuncia di una certa decadenza religiosa.
Il medioevale carnem levare (o anche carni vale!) da cui il nostro carnevale, segnava l’addio alle carni. Un addio che nei giorni a ridosso dell’inizio della quaresima dava libero sfogo a tutti gli eccessi prima del grande digiuno dei quaranta giorni precedenti la Pasqua.
Oggi, proprio perché il carnevale imperversa ogni giorno in ogni angolo delle nsotre città, il senso profondo della quaresima è del tutto sconosciuto e relegato a certo pietismo bigotto di fronte al quale non di rado, ahimé anche certi cattolici prendono distanza.
Ormai un certo tipo di “travestimenti” sono all’ordine del giorno ed essere una persona nomale, sessualmente ben orientata, sposata una sola volta, felicemente e con prole, che non beve e non fuma, che non prende sostanze tossiche, che lavora onestamente e limita i suoi possedimenti al tenore di vita che può avere, è un fenomeno da baraccone. Ormai nel Guinness dei primati entra la normalità, perché la sregolatezza è regola.
Dal punto di vista cattolico, non è così. Il nostro carnevale trova sì, radici in certe usanze contadine e agresti, ma affonda il suo senso più profondo nella festa dei Purim di matrice ebraica, dove i bambini, inscenando la storia biblica di Ester, offrivano agli adulti l’occasione di meditare sulle proprie debolezze e rafforzarsi nell’impegno della fede, perchè Dio, appunto, è sempre in grado di ribaltare le sorti (purim significa appunto sorti).
Pietre Brughel il vecchio, autore cattolico e fiammingo (1525 ca. - 1569), sapeva bene tutto questo e non esitò a denunciare ai suoi contemporanei una certa decadenza religiosa. Nella sua tela intitolata Lotta tra Carnevale e Quaresima (oggi a Vienna al Museo Kunsthistorissches Museum, datata 1559, anno in cui l’artista incomincia a firmare le proprie tele modificando il cognome in Bruegel) viene rappresentato l’uso antico di mettere in scena gli aspetti più evidenti dei vizi umani, creando così una sorta di umoristico esame di coscienza collettivo che preparasse poi alla confessione pasquale.
Bruegel con l’acutezza degli artisti, che sono sempre un po’ profeti, registra il decadimento di una tale usanza, notando che, in realtà i bagordi carnascialeschi altro non erano che un incentivo ad eccedere con licenza poiché: semel in anno licet insanire (una volta all’anno è lecito impazzire).
La meditazione pittorica di Brueghel, dunque, fa del bene anche a noi, per i quali è ormai consueto registrare che, in taluni ambienti, neppure una volta all’anno è lecita la serietà.
Il centro del dipinto di Brueghel è segnalato da una coppia che, situata nel cuore della piazza, si avvia lentamente verso una meta ignota guidata da un buffone. La donna porta sulla schiena una lanterna spenta. Attorno alla coppia, uno spazio vuoto che miracolosamente s’impone tra il pullulare di gente tutta intenta nei festeggiamenti, incurante del cammino dei tre. Questa coppia offre la chiave di lettura di tutto il dipinto.
Brueghel, cattolico, vive ed opera in un’Olanda divisa fra cattolici e protestanti (soprattutto luterani e calvinisti. Nei Paesi Bassi la Chiesa calvinista diventerà Chiesa di Stato nel 1566).
In questa coppia, che avanza nel buio affidata unicamente alla guida di un buffone, l’artista vede la parodia delle due confessioni religiose che si contendevano il primato di religione di stato, identificando il cattolicesimo con la quaresima e il luteranesimo con il carnevale.
Una tale associazione oggi non ha più molto senso ma, fatte debite trasposizioni, può indurci a riflettere sull’inutilità di certe dispute e sul senso vero delle scansioni liturgiche. Non si tratta, infatti, di barcamenarsi tra i propri desideri più o meno leciti e una vita penitente e austera, ma di comprendere il valore pieno e serio dell’esistenza cristiana.
Quella che Brueghel condanna è la lotta tra due estremi che rivelano fondamentalmente lo stesso svuotamento di valori.
In primo piano vediamo infatti, un uomo obeso a cavallo di una botte, brandisce con orgoglio lo schidione dove sono infilzate varie carni; tutt’attorno ogni sorta di cibo: un cesto di vivande sul capo, un prosciutto affisso alla botte mediante un coltellaccio, gusci di uova e ossa a terra che certificano pasti già consumati. È l’immagine del consumismo ad oltranza dove tutto è lecito pur di accaparrare qualcosa per sé. Il corteo che si snoda dietro l’obeso non è meno grottesco: suonatori panciuti, un matrimonio tra zingari che rievoca l’antica farsa della sposa sudicia, danze sguaiate e bagordi nelle case.
Dall’altra parte la quaresima: una donna incredibilmente magra che veste l’abito grigio dei penitenti e reca in mano la pala di un fornaio sopra la quale stanno due aringhe. La quaresima è collocata sopra un carrello trainato da un frate e una monaca. Sulla base del carrello c’è del pane in varie forme. Pane e aringhe sono il cibo permesso nei giorni di magro e digiuno. Anche in questo settore si snoda un corteo, questa volta piuttosto mesto, che trova il suo punto d’avvio sotto i portali di una chiesa. Spicca il gesto dell’elemosina, compiuto da più persone: chi la richiede e chi la elargisce. Emblematica è la figura dell’uomo di mondo vestito (similmente all’obeso bontempone) di azzurro e di rosso, i colori dell’inganno e del peccato. Costui dona con pomposità alcune monete a una povera cenciosa mestamente seduta lungo il ciglio della strada. Il suo gesto ha il sapore della pietà senza carità, dell’ostentazione o dell’illusione di tacitare la coscienza.
In entrambi i settori vediamo dunque disseminati ritratti che, senza scadere nella condanna amara, registrano una grande ipocrisia generale.
Sorprende l’attualità del dipinto, specialmente se pensiamo alle acute osservazioni di Benedetto XVI nel suo messaggio per la quaresima, il quale mentre sollecita i cristiani alla pratica dell’elemosina, li mette in guardia dallo scadere appunto, nell’ostentazione o nel moralismo. Possiamo allora rivedere noi, il nostro tempo, nei panni di quella coppia che avanza nel cuore della piazza.
Da chi ci lasciamo guidare? Che cosa è per noi la quaresima? È semplicemente il tempo opportuno per lavarsi la coscienza da vistosi compromessi o patteggiamenti con la mondanità? O è un tempo di grazia dove ri-centrare la propria vita su Cristo?