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RETEQUATTRO

Quanti miracoli persi per strada (e in televisione)

Ho seguito le prime puntate della trasmissione La strada dei miracoli su Rete4. Poi ho lasciato perdere. Per pura curiosità ho voluto guardare quella dedicata alle presunte apparizioni-lacrimazioni di Giampilieri, e mi sono ritrovato confermato nell’idea: era meglio l’antenata, Miracoli, a suo tempo condotta da Vigorelli.

Cinema e tv 09_11_2015
La Strada dei  Miracoli su Rete4

Ho seguito le prime puntate della trasmissione settimanale La strada dei miracoli su Rete4 per ovvi motivi di affinità e mestiere. Poi ho lasciato perdere. Per pura curiosità ho voluto guardare quella dedicata alle presunte apparizioni-lacrimazioni di Giampilieri, e mi sono ritrovato confermato nell’idea. Per quanto mi riguarda, era meglio l’antenata, Miracoli, a suo tempo condotta da Vigorelli. Sì, perché era apertamente schierata, così come i documentari di Paolo Brosio che ne presero il posto qualche tempo dopo. Infatti, su certi temi l’equidistanza non paga in termini di efficacia. 

La presenza fissa in studio di due bastiancontrari cui dovrebbero fare da contraltare altri due di segno opposto, televisivamente parlando, più che equilibrata risulta fastidiosa. Diventa un teatrino della commedia dell’arte, in cui lo spettatore, guardando le maschere, sa già in anticipo qual è la parte di ognuno. E solo un conduttore estremamente abile può riuscire a non restare incastrato nel ruolo di Arlecchino servitore di due padroni. Nei precedenti Miracoli l’impianto era volutamente più sobrio: trasmissione dei filmati, assenza di effetti speciali e musiche drammatiche, poi i commenti degli invitati in studio, con monsignor D’Ercole che dava pacatamente conto, se del caso, dei dubbi e delle riserve della Chiesa. 

Qui invece, ecco la presenza fissa di Cecchi Paone, che non ha alcun titolo per mettere bocca su temi religiosi e che si capisce che è stato messo lì per far “dibattito”. Come Odifreddi, ormai inchiodato per sempre al ruolo di ateo televisivo. E con la differenza che Odifreddi, con qualche libro, si è pur candidato a fare il Dawkins de noantri. Paone, invece, si mette a dare lezioni di Vangelo e di vero cristianesimo alla sua controparte Brosio, ma ne viene fuori un battibecco bocciofilo che, forse, potrebbe innalzare l’audience se avvenisse una tantum e non ogni volta e per partito preso. Idem dicasi per il chimico Garlaschelli, anche lui costretto, in ogni puntata, a mostrare come si possa, in laboratorio, far piangere acqua distillata o rossastra dalle statue, sciogliere sostanze raggrumate e farle sembrare sangue, predisporre marchingegni per gabbare il popolo credulone. 

Purtroppo per lui, al Bureau Médicale di Lourdes non l’hanno mai cooptato, e si deve accontentare di far lo smascherabufale a Rete4. I filmati, poi, sono mandati in onda con tecniche alla docufiction Bbc, più adatte agli alieni di Voyager che alle Madonne piangenti, e le musiche spaccatimpani aggravano il disagio in chi guarda e ascolta. Certo, il livello del precedente Miracoli era nazionalpopolare, ed è giusto che sia così in una trasmissione che si rivolge alla pietà comune, quella del pellegrino di santuario e di chi si affida ai Santi perché la Scienza non sa come aiutarlo. Ma è un crinale delicato da percorrere, perché il rischio dello scivolamento nel trash è sempre in agguato. Decisamente, anche in termini di audience, gli interminabili documentari di Brosio erano più istruttivi e interessanti. 

Il suggerimento, per la prossima stagione, è di cambiare formula. Il sacro non si presta al talk-show e al sensazionalismo. Un miracolo è già sensazionale di suo e, visivamente parlando, non ha bisogno di contorno. Nella puntata su Giampilieri, alla fine la figura migliore l’ha fatta la presunta veggente, Pina Micali, che è stata praticamente zitta per tutto il tempo. Molto contegnosa e schiva, si è limitata a mettere a disposizione di telecamera la sua casa-cappella, limitandosi a dire sì e no quando richiesta. E senza ribattere a chi le dava neanche tanto velatamente della truffatrice o al vescovo emerito che prendeva le distanze. L’impressione complessiva che ne ho cavato è questa: forse era meglio che la signora Micali non ne faceva di niente e, alla profferta televisiva, rispondeva no grazie. Ma poi avrebbero detto che, invitata, si era defilata. La conclusione che molto probabilmente aveva qualcosa da nascondere l’avrebbe tratta lo spettatore.