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DATI VS RETORICA

Quante bugie sul Covid e il continente nero

La situazione del Covid-19 in Africa è ben diversa da come ce la raccontano. Intanto i numeri dicono che la pandemia non è al primo posto tra i gravi problemi del continente nero e poi la retorica del Paese povero a cui sono sottratti i vaccini si scontra con la realtà: le dosi ci sono, ma manca l'organizzazione sanitaria per far fronte all'ingente popolazione.

Attualità 29_03_2021 English Español

“L'Africa ha finora segnalato più di quattro milioni di casi di Covid-19 e più di 100.000 morti, ma ancora molte regioni del continente non hanno ricevuto una sola dose di vaccino mentre i paesi più ricchi sono sul punto di vaccinare l'intera popolazione”. Lo ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel corso di una riunione con i rappresentanti dei Paesi africani svoltasi il 25 marzo.

La prima reazione alle parole del Segretario Generale sono delle domande: dove e da chi si informa? Come è possibile che nella sua posizione si presenti a un incontro internazionale senza essersi documentato? E come si permette di essere sempre così platealmente pieno di pregiudizi e ostilità nei confronti di una parte dei paesi membri dell’organismo di cui è a capo?  

Di sicuro Guterres non consulta la fonte alla quale attinge tutto il mondo per conoscere l’andamento della pandemia, che è l’Organizzazione mondiale della sanità, una delle agenzie dell’Onu. Il 25 marzo secondo l’Oms in Africa i casi registrati erano 3.036.768, e non “più di quattro milioni”, i morti erano 76.912, e non “più di 100.000”. Che poi i “paesi più ricchi” siano sul punto di vaccinare l’intera popolazione è ben lontano dal vero. “Vediamo molti esempi di nazionalismo e accumulo di vaccini nei paesi più ricchi – ha tuttavia rincarato – così come accordi paralleli in corso con i produttori che compromettono l'accesso per tutti”.

Ma, come sa ogni persona di buon senso e bene informata, l’accesso dei vaccini anti Covid-19 a tutti, se ci si riferisce all’Africa, è compromesso non dalla disponibilità di dosi sufficienti – al momento sono destinate al continente già 1,27 miliardi di dosi, 600 milioni delle quali fornite dal COVAX (il programma per assicurare vaccini a tutti, grazie al dono di dosi e fondi da parte dei paesi ricchi) – ma dalla possibilità di utilizzarle: sia per l’incapacità dei sistemi sanitari di provvedere (la Liberia ha quattro medici ogni 100.000 abitanti, lo Zimbabwe 19!) sia per l’impraticabilità di intere regioni, in guerra o controllate da gruppi armati. Come ammette lo stesso Guterres, al 21 marzo 26 stati africani avevano già ricevuto complessivamente più di 15 milioni di dosi grazie al COVAX. Però, secondo l’Ufficio per l’Africa dell’Oms, ne erano state somministrate solo 736.000.

I governi africani possono anche trovare politicamente utile accusare i paesi ricchi di egoismo, reclamare equità e solidarietà globale, ma sanno bene che questa è la situazione e soprattutto sanno, e se anche non lo dicono lo dimostrano nei fatti, che il Covid-19 è una emergenza che, nonostante le previsioni apocalittiche di milioni di morti e crisi umanitarie insostenibili, non sta flagellando il continente e va quindi trattata tenendo realisticamente conto dei mezzi a disposizione e valutando se e dove merita la priorità rispetto ad altre emergenze.

Molti hanno lodato e portato a esempio i governi africani per come hanno contrastato la diffusione del Covid-19 pur disponendo di sistemi sanitari tanto carenti. Se un merito va loro riconosciuto, è invece di aver preso delle decisioni rischiose assumendosene la responsabilità. La prima ondata di Covid-19 in Africa è stata molto meno grave che nel resto del mondo. La seconda iniziata nell’autunno 2020 è stata più aggressiva. Tuttavia i governi hanno continuato ad adottare misure di isolamento e distanziamento sociale molto meno rigorose che altrove e anzi in certi periodi le hanno allentate, senza che peraltro questo abbia portato a un aumento sensibile dei casi.

Hanno cioè messo in pratica quello che lo scomparso presidente del Tanzania John Magufuli aveva detto all’inizio della pandemia per giustificare la sua decisione di non adottare se non estremamente blande misure di contenimento: “abbiamo una quantità di malattie virali, tra cui l’Aids e il morbillo, la nostra economica viene per prima, non si deve fermare, la vita deve continuare”.

Aveva ragione. Lo scorso anno, per dare un esempio, la Repubblica democratica del Congo ha dovuto combattere contro altre quattro epidemie oltre al coronavirus: morbillo, colera, Ebola e malaria.

Il 70 per cento dei sieropositivi all’Hiv-Aids sono africani e sono africani un quarto degli ammalati di tubercolosi. Questa malattia nel 2016 ne ha colpiti 2,5 milioni e ne ha uccisi 417.000. Nel 2019 il 94 per cento dei casi (230 milioni) e dei morti (oltre 400.000) di malaria sono stati registrati in Africa e la sua diffusione sembra incontenibile. Nel 2019 sono stati denunciati 1,5 milioni di casi in Congo, 1,4 milioni in Uganda, 10,7 milioni in Kenya. La situazione più drammatica è quella del Burundi, con 5, 7 milioni di casi, pari a più della metà della popolazione che è stimata in 10,7 milioni.

I morti sono tanti. Il costo in termini economici e sociali, spaventoso. Si può capire come mai il governo del Burundi abbia dichiarato di “non essere pronto” per i vaccini contro il Covid-19 e, come il Tanzania e altri stati, non abbia ancora predisposto un piano di vaccinazioni. Il ministro della sanità pubblica e per la lotta contro l’Aids, Thadee Ndikumana, lo ha annunciato il 23 marzo, precisando che il suo governo preferisce aspettare che si conosca la reale efficacia dei vaccini. “Non siamo contro i vaccini – ha spiegato – ma, considerando la percentuale delle persone che guariscono, che è del 96 per cento, abbiamo deciso di aspettare”. I dati ufficiali indicano al 27 marzo 2.657 casi e sei morti, pari a 0,5 morti per milione di abitanti. Per quanto possano essere sottostimati, danno ragione al ministro Ndikumana.