Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Maria Maddalena a cura di Ermes Dovico

IL CASO

Quando l'Italia era una potenza nucleare

Siamo stati l'unico paese al mondo a chiudere le centrali dalla sera alla mattina. Ma i costi di quella rinuncia continuiamo ancora a pagarli.

Attualità 10_06_2011
energia nucleare “La Germania sarà la prima potenza industriale a rinunciare all'energia nucleare”. Hanno scritto così i giornali in questi giorni. E l’Italia? Forse non viene annoverata perché non si considera già più una potenza industriale?

O davvero ci siamo dimenticati che l’Italia, e solo l’Italia, ha abbandonato davvero e del tutto il nucleare, ben 24 anni fa: una scelta che si calcola che ad oggi ci è costata circa 45 miliardi di euro. Dopo Chernobyl anche altri paesi avevano scelto di uscire dal nucleare – oltre alla Germania, l’avevano deciso la Svezia, il Belgio e l’Olanda - ma a tutt’oggi nessuna di queste ha messo ancora la parola fine all’opzione nucleare. E anzi, dopo Chernobyl la potenza nucleare nel mondo è aumentata, non diminuita. Quell’anno era di 250 mila MWe, mentre alla fine del 2010 era giunta a circa 361 mila MWe. Ciò significa che fra il 1986 e il 2010 la potenza nucleare in funzione nel mondo è cresciuta di ben il 44,6 per cento.

Oggi nel mondo ci sono 441 reattori operativi, con altri 31 in costruzione, anche in Europa. La Francia, che ha 59 centrali, costruite anche grazie ai soldi spesi dagli italiani per acquistare oltralpe l’energia che da noi è proibito produrre, ne ha ancora un’altra in costruzione. La Finlandia, che aveva già quattro centrali, nel 2003 ha iniziato a costruire la quinta. La Svezia, del novero di quelli che dovevano dire addio al nucleare, ha dismesso una sola centrale e ne mantiene tuttora in vita undici, che forniscono il 46% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. L’Italia, unica nel mondo ad aver dismesso le sue centrali dalla sera alla mattina, non se lo vede neppure riconosciuto dalla sua stessa stampa.

Eppure la rinuncia è stata notevole
. Fino al 1980, anno di attivazione della centrale nucleare di Caorso (Piacenza), l’Italia era all'avanguardia nel campo dell’energia nucleare per scopi civili; gli investimenti ed il favore dell'opinione pubblica erano tali che eravamo il terzo produttore al mondo di energia elettrica di origine nucleare, con una produzione, già nel 1966, di 3,9 miliardi di kWh annui. All’università il corso di laurea in ingegneria nucleare era prestigioso e con molti iscritti, come si conveniva del resto al Paese di Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Mario Silvestri, Carlo Salvetti, Felice Ippolito, Paolo Fornaciari. Poi venne Chernobyl e l’Italia, unico paese al mondo, decise dalla sera alla mattina di chiudere con il nucleare, inaugurando una stagione di allarmismo sistematico nei confronti della tecnologia e della scienza in sé.

Oggi il sistema energetico italiano è diventato il più costoso, il più instabile e fra i più inquinanti dei paesi industriali avanzati. Per produrre energia elettrica l’Italia brucia più petrolio di quello impiegato per lo stesso scopo in tutti gli altri paesi europei messi assieme, col risultato che l’energia elettrica prodotta da noi costa il 60% in più della media europea, due volte quella prodotta in Francia e tre volte quella prodotta in Svezia. Ma i media non ce ne danno neppure atto: hanno scritto che la Germania sarà la prima potenza industriale a rinunciare all'energia nucleare. E l’Italia? Oltre tutto, la Germania aveva già deciso molto tempo fa di “dire addio al nucleare”, giusto entro il 2020, ancora di là da venire. Dov’è la novità?