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GIUSTIZIA

Quando le sentenze arrivano dalla tv

La durata dei giudizi penali e civili supera quella ritenuta ragionevole dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E i processi si fanno in Tv.

Attualità 24_05_2011
Giustizia
“Aver dato retta a Michele Misseri – il contadino di Avetrana accusato di aver ucciso la nipote, Sarah Scazzi - senza alcuna verifica dei comportamenti da lui effettivamente tenuti". Questo il giudizio della Corte di Cassazione, pronunciato sul ricorso della cugina di Sarah – la figlia di Misseri, Sabrina – respingendolo, ma imponendo al Tribunale del Riesame di spiegare le motivazioni dell’ordinanza del 18 gennaio scorso, in base alle quali la ragazza è in carcere da 7 mesi.

Le versioni del padre – sette, tutte differenti – sono giudicate dalla Cassazione , "tra di loro incompatibili e sovente contrapposte” e “portano con sé una totale o parziale, ma sempre significativa, quota di ritrattazione e, con essa, un grave segnale di inattendibilità".Non intendiamo entrare nel merito della vicenda. Vogliamo,  però, trarre qualche riflessione rispetto ai giudizi – severi - espressi dalla Corte di Cassazione, che se non ha demolito, come qualcuno ha anche sottolineato, l’inchiesta fino ad ora condotta, ha imposto al Tribunale del Riesame di rivedere nella sostanza le motivazioni.

La severità è relativa alla qualità delle indagini, che pur si sono avvalse - è bene richiamare questo dato – di tutte le più “sofisticate” tecniche investigative che vanno oggi per la maggiore: le intercettazioni ambientali; le trascrizioni di conversazioni telefoniche; i calcoli relativi alle celle telefoniche per determinare i luoghi in cui sono presenti i personaggi coinvolti nelle ore considerate cruciali; i sopralluoghi, avvenuti dopo mesi, sulla “scena del crimine”, mai peraltro sottoposta a sequestro; l’autopsia; gli interrogatori; i confronti; le perizie “irripetibili”; i fermi di persone informate dei fatti; e, naturalmente, gli esami del dna.

Ciò nonostante, hanno evidentemente prevalso – nel convincimento degli inquirenti e dei giudici del Riesame - le sette versioni di una persona, contraddistinte da “un grave segnale di inattendibilità”, dice la Cassazione, che nel processo penale non possono costituire di per sé fonte di prova, se non accompagnate da verifiche che le rendano plausibili e sottoponibili al vaglio del giudizio. Questo significa “qualità delle indagini”, che tutela due interessi in uno stato di diritto sono complementari: quello dello Stato di esercitare l’azione penale a tutela della collettività e quello del cittadino di veder garantito il suo bene supremo, la libertà personale.

Questo è un punto fondamentale, che purtroppo non è specifico di questa vicenda, ma è generale e si aggiunge ai problemi che vive il sistema giustizia ed incide anche sul primo di questi problemi, i tempi della giustizia, definiti dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (risoluzione 2/12/’10) un “grave pericolo per il rispetto dello stato di diritto, conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione”. Infatti, la durata media dei giudizi penali e civili supera di molto quella ritenuta ragionevole dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011, il Primo Presidente della Corte di Cassazione ricordava che dall’entrata in vigore della c.d. “legge Pinto” sono stati promossi dinanzi alle Corti d’Appello quasi 40.000 procedimenti per l’equa riparazione dei danni derivanti dall’irragionevole durata del processo, con costi enormi per la finanza dello Stato, che ritarda anche nel pagamento degli indennizzi. L’Italia ha subito 475 sentenze di condanna da parte della Corte di Strasburgo su questo tema.

Un panorama desolante ed un problema enorme, quello della giustizia nel nostro paese, che resta – nonostante i proclami quotidiani – inaffrontato. O meglio, che viene affrontato nel solo modo, cialtronesco, di cui siamo capaci: spettacolarizzando i drammi che vivono le persone, le vittime e i loro carnefici.