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SHARE VS DEONTOLOGIA

Quando la Tv del dolore calpesta la dignità

Due conduttori di Rai e Mediaset litigano dopo essersi contesi l’intervista al marito di Liliana Resinovich nelle ore in cui veniva trovato il presunto corpo della donna. Al di là della lite, la “Tv del dolore” deve fare i conti con la deontologia, senza rincorrere la curiosità morbosa e rispettando l’umana pietas.

Cinema e tv 08_01_2022

Nei giorni scorsi due trasmissioni di infotainment di Rai e Mediaset, in fascia pomeridiana, si sono rese protagoniste di un fatto spiacevole che solo l’ossessione dei contagi Covid è riuscita a far passare in secondo piano. Non se n’è parlato abbastanza perché l’epoca della pandemia è tormentata dall’atroce dolore e la drammatizzazione della sofferenza è diventata la cifra dominante della programmazione televisiva. È come se lo strazio e le tragedie non facessero neppure più notizia, inghiottite nel vortice di una narrazione catastrofista della realtà, che assolutizza il negativo e lo rende l’unico elemento notiziabile e di interesse pubblico. Tuttavia, una riflessione non banale sul deterioramento dei circuiti mediatici e sulla disarmante assuefazione del pubblico a certi eccessi s’impone.

Prima i fatti, che si riferiscono a quanto accaduto mercoledì 5 gennaio pomeriggio. Alberto Matano, conduttore de “La Vita in diretta” (Rai 1), è andato su tutte le furie perché un’inviata di “Pomeriggio 5 News” (Canale 5) avrebbe scippato al suo inviato l’ospite in diretta. E chi era questo ospite? Sebastiano, marito di Liliana Resinovich, scomparsa il 14 dicembre scorso a Trieste. In quelle ore è stato trovato un corpo che, secondo gli inquirenti, potrebbe essere proprio quello della donna. Ghiotta occasione, quindi, per fare audience, intervistando l’incredulo marito e per speculare cinicamente sul suo dolore. Simona Branchetti, che sta sostituendo Barbara D’Urso in questo periodo festivo, ha rispedito al mittente le accuse di scippo dell’ospite e ha difeso l’operato della sua inviata.

Ma non è rilevante chi abbia ragione e chi torto. Il nodo da sciogliere riguarda l’opportunità di accendere le telecamere e puntare i riflettori su un uomo che riceve in diretta la notizia del probabile tragico epilogo della vicenda della scomparsa di sua moglie. L’umana pietas suggerirebbe compostezza, empatia, solidarietà, rispetto della privacy, tutti valori che il giornalismo sensazionalista, soprattutto quello televisivo, sembra aver dimenticato da tempo.

Non si tratta di censurare il negativo o di occultare le tragedie, ma di raccontarle in modo corretto, nel rispetto della deontologia, senza cavalcare il sensazionalismo e senza spettacolarizzare l’angoscia di un uomo. Che cosa aggiunge alla narrazione di un evento l’accanimento sul volto di un uomo che non vede sua moglie da settimane e non sa che fine abbia fatto? La “Tv del dolore” deve fare i conti con i doveri connessi all’esercizio del diritto di cronaca, in primis quello dell’essenzialità. Selezionare e riportare solo i dettagli di interesse pubblico, senza rincorrere l’audience e senza soddisfare la curiosità morbosa di telespettatori in cerca di emozioni malate, è il compito di chi si occupa di un fatto di cronaca e intende raccontarlo correttamente con equilibrio, compostezza e buona fede.

Le scintille tra Rai 1 e Canale 5 ricordano tanto quella scena di un film di Carlo Verdone in cui il protagonista, lo stesso Verdone, scopre che sua nonna è morta nella cabina elettorale. I rappresentanti di lista e gli scrutatori, anziché tentare di rianimare la donna e di consolare l’incredulo nipote, si azzuffano sull’attribuzione del voto contenuto nella scheda della defunta. Una scena paradossale e cinica che non è fuori luogo accostare a quanto successo nei giorni scorsi tra Rai e Mediaset.

L’increscioso voyeurismo di Rai e Mediaset riporta le lancette dell’orologio a oltre dieci anni fa, quando Federica Sciarelli, in una puntata di “Chi l’ha visto?”, diede in diretta la notizia del ritrovamento del corpo senza vita di Sarah Scazzi mentre sua madre era collegata da Avetrana e ovviamente rimase attonita di fronte al macabro annuncio. Avremmo tanto sperato che un atto di sciacallaggio mediatico come quello non si ripetesse.

La dignità umana è un valore fondamentale del vivere civile e i media hanno il dovere primario di tutelarla in tutti i contesti, anche rinunciando a uno scoop e a qualche punto di share. Si obietterà che spesso sono gli stessi protagonisti dei fatti, in questo caso Sebastiano, a cercare i microfoni, a voler esternare il loro stato d’animo. Ma questo elemento, pur presente in molti casi di cronaca, non può e non deve mai diventare un alibi per chi non vede l’ora di eliminare ogni filtro tra lo strazio privato e la sua teatralizzazione mediatica.