MASS MEDIA
Quando la stampa non è più "cattolica"
Per la Santa Sede l'Ucip non può più fregiarsi del titolo di stampa "cattolica". Ma non sarebbe l'unico organismo che abusa di questo aggettivo...
Attualità
26_07_2011
L’organizzazione internazionale aveva assunto un nuova definizione, Icom (Organizzazione Cattolica Internazionale dei Media), ma evidentemente non è stata tenuta in considerazione la contrarietà vaticana, che ha portato i dicasteri retti dal cardinale Stanis?aw Ry?ko (laici) e l’arcivescovo Claudio Maria Celli (comunicazioni sociali) a rendere noto il loro parere negativo sulla possibilità di continuare a definire un’attività intellettuale e professionale cattolica, quando di fatto non lo è più. Nel comunicato si parla di «inaccettabile mancanza di trasparenza e chiarezza nella gestione». Inoltre il Pontificio Consiglio per i Laici e il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ricordano altri fatti in netto contrasto con lo spirito di un’associazione che intende richiamarsi esplicitamente ai valori del cattolicesimo.
Ha così fine una storia iniziata negli anni Trenta del Novecento, sotto i migliori auspici. Storia chiusasi all’inizio del XXI secolo. Questi i fatti. La sconfessione vaticana apre una piaga dolorosissima. Innanzitutto stiamo parlando di uno snodo professionale centrale nella società contemporanea, la comunicazione. Inoltre proprio alla comunicazione la Chiesa di Roma ha affidato la missione di diffondere la fede ovunque, oltreché il compito arduo di contribuire alla nuova evangelizzazione dell’Occidente secolarizzato. E certe organizzazioni, come l’Ucip (poi Icom), nello svolgimento della funzione cattolica non solo si rivelano inutili, ma dannose.
C’è da sperare che la presa di posizione vaticana non resti solo un segno, causale, ma sia parte integrante di una strategia di nuovo orientamento di associazioni, organizzazioni, centri culturali e atenei universitari, in senso autenticamente «cattolico». Prendiamo un caso analogo. Il Signis (World Catholic Association for Communication), che nel 2001 ha fuso l’Ocic (Organisation Catholique Internationale du Cinéma) e l’Unda (equivalente dell’Ocic per la radio e la televisione). Le due organizzazioni si occupano in chiave educativa e cattolica di cinema, televisione, radio e nuove tecnologie. Cosa faccia il Signis è difficile capirlo. Ne fanno parte 140 paesi membri e una sfilza di delegati disseminati nell’intero globo terrestre.
In realtà il Signis fa poco e nulla. Un convegno, qualche pubblicazione. Ogni tanto dà segni di vita, segnalandosi per l’imbarazzo che suscitano l’assegnazione di riconoscimenti cinematografici «ecumenici» a film presentati in noti festival internazionali (Cannes, Venezia. Berlino). Chi oggi si connette al sito del Signis (www.signis.net), trova in prima pagina la notizia principale, il manifesto del film Lourdes di Jessica Hausner. Al film della regista austriaca venne assegnato il premio Signis-Ocic a Venezia nel 2009. L’Ocic è presente al Lido dal 1948, assegnando regolarmente un riconoscimento cattolico. D scelleratezze nel corso del tempo l’Ocic ne ha commesso sin troppe: valga una su tutte l’assegnazione del premio a Teorema di Pier Paolo Pasolini nel 1968, che richiamò le perplessità di persino in Paolo VI.
Lourdes per gli informatori cattolici del Signis è posizionato sopra Benedetto XVI che presenta il nuovo portale vaticano, perché il 27 luglio a Lione ci sarà una proiezione del film. Ecco cosa scrivono del film: «Jessica Hausner, giovane e talentuosa regista austriaca, pone uno sguardo molto lucido sul santuario di Lourdes. Tutto quello che sappiamo di Lourdes, la ritroviamo magnificato grazie alla macchina da presa di Jessica Haussner che restituisce alla perfezione l’emozione di questo luogo unico». Uno sguardo assai lucido («regard très lucide») su Lourdes? Ma siamo certi? È innanzitutto (ricordiamolo, perché non è un dato insignificante) lo sguardo di una non credente, come Jessica Haussner stessa si definisce. Quindi, senza girarci troppo intorno con le parole, Lourdes è un film ateo. A Venezia fu premiato dal Signis-Ocic per questa ragione: «Una scelta motivata non dall’ambientazione dell’opera in un centro cattolico, ma dalle fondamentali problematiche umane che il film solleva: la fede, la sofferenza fisica, la speranza, i miracoli, l’assoluto. Con notevole abilità tecnica e artistica, la regista ci conduce alle frontiere delle aspettative umane, lasciando che lo spettatore scopra il significato della libertà umana e dell’intervento divino».
La giuria era composta da Gianluca Arnone (Italia), Frank Desiderio (Stati Uniti), Massimo Giraldi (Italia), Peter Malone (Australia), Joseph Palakeel (India), Astrid Poltz-Watzenig (Austria) e Magali Van Reeth (Francia). Parole al vento. In Lourdes la regista austriaca non ricalca il rozzo anticlericalismo scientista di Émile Zola, non è la descrizione della sciocca credulità popolare e dell’isteria, cominciata con la pastorella Bernadette (come voleva Zola), anche se in conclusione arriva alle medesime conclusioni. Nel santuario della devozione non si manifesta la divinità, ma il desiderio prettamente umano di sconfiggere la sofferenza e la malattia. In altre parole il cristianesimo è morto e seppellito: ciò che resta è solo credulità, magari genuina credulità, e affari. Di tutto si può parlare, tranne che di fede. Al massimo di tensione irrefrenabile per la conservazione della vita.
Certe organizzazioni sembrano fatte apposta per mettere in difficoltà i cattolici. Ora, se una giuria di professionisti del cinema, con copertura vaticana, assegna il premio ad un film, ciò dovrebbe spingere quanti, dal semplice fedele ai più avvertiti intellettuali sino al clero, ad andare a vederlo. Fortunatamente in Italia Lourdes non l’ha visto nessuno. Certo può essere stato un semplice errore di valutazione. Vittorio Messori in un lucido quanto polemico articolo richiamò a ragione il «masochismo clericale» (Corriere della Sera, 12 febbraio 2009). La decisione del Vaticano di porre il cartello fine all’UCIP-ICOM dovrebbe continuare per arginare il continuo «masochismo clericale».