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LIBIA

Quando la sinistra voleva le Brigate anti-Gheddafi

E adesso, dopo che Romano Prodi ha dato il via alle confessioni post mortem (di Gheddafi), eccoli tutti a dire noi l’avevamo detto. Da destra a sinistra è un solo e (quasi) unico autodafé: che errore aver abbattuto il colonnello tripolino e aver creduto alla colossale balla delle primavere arabe. 

Politica 17_02_2015
Il colonnello Muhammar Gheddafi

E adesso, dopo che Romano Prodi ha dato il via alle confessioni post mortem (di Gheddafi), eccoli tutti a dire noi l’avevamo detto. Da destra a sinistra è un solo e (quasi) unico autodafé: che errore aver abbattuto il colonnello tripolino e aver creduto alla colossale balla delle primavere arabe. Quando il Colonnello fu abbattuto, dice adesso Prodi, «non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto», con il Paese nordafricano «nell’anarchia e nel caos più assoluti». Già, non era difficile prevedere ma lui e la sinistra di lotta e di governo se ne stettero ben zitti e si guardarono bene dal protestare. Anzi, salutarono come rondini l’arrivo delle primavere arabe, accodandosi con entusiasmo ai Mirage di Sarkozy che bombardavano le truppe del colonnello.

Adesso che l’Is è a trecento chilometri dalle coste italiane, il contrordine compagni è generale. Forse per nascondere tante facce di bronzo. Ma la sinistra è così: sempre in controbattito e fuori tempo massimo. Sono stati i governi Prodi, D’Alema e Amato a resuscitare il terrorista Gheddafi quando era isolato dal mondo civile dopo l’attentato di Lockerbie, tanto che il colonnello, finito l’embargo Onu contro la Libia, mandò un messaggio all’Italia per ringraziare «il mio fratello Romano (Prodi)». Poi, accecata dallo specchietto delle rivolte arabe, la sinistra, che quando c’è da offrire il suo logo a tumulti e sommosse non si tira mai indietro, si accodò dietro i francesi, crocifiggendo Berlusconi che con Gheddafi era sceso a patti per fermare in patria i clandestini. Oggi, i compagni hanno di nuovo cambiato rotta: tutti a rimpiangere il colonnello e il come si stava bene a Tripoli quando c’era lui.

A leggere Valentino Parlato, fondatore del Manifesto, pare di sentire Matteo Salvini di ritorno dalla Corea del Nord. «Non è una questione di nostalgia, ma di realismo politico» dice al Corriere lo sciccoso Valentino, nato in Libia nel 1931. «Gheddafi era una barriera importante contro i jihadisti. E la Libia era un Paese tranquillo, dove si viaggiava senza pericoli. Inoltre a Tripoli non si vedeva un mendicante: il governo, per quanto dittatoriale, usava parte della rendita petrolifera a favore della popolazione». Parlato fa il pesce in barile, moraleggia ma tace quel che lui, il suo giornale e i suoi compagni dicevano ai tempi. Grazie anche a loro, Sarkozy poté approfittare delle rivolte dei disperati tunisini e libici che non ne potevano più dei loro satrapi e dittatori per organizzare in soli 48 ore un blitzkrieg aereo, trascinando l’Europa in una nuova e dissennata guerra neo coloniale alla Libia. E la sinistra, da sempre no war” e pacifista “senza se e senza ma” che fa? Protesta? Si oppone, denuncia e condanna, come fece nel Golfo con Bush padre e figlio? Macché: si allinea senza fiatare, fornisce fuoco di copertura e cortine fumogene di becerume umanitario e giustizialismo interventista degni dei più fanatici teocon yankee. 

Il movimento “No War” cresciuto e moltiplicato dalle due guerre americane del petrolio in Iraq, s’è sciolto rapidamente sotto il “bel sole d’amore” e si è messo a scodinzolare davanti alle ciabatte di monsieur le President. A sventolare il fazzolettino arcobaleno rimase solo l’irriducibile Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency: con lui qualche stralunato di Rifondazione, i fedelissimi fraticelli di Assisi e i quattro catto-rambow di padre Alex Zanotelli. Scomparsi tutti gli altri: quelli del  “senza se e senza ma”, gli intellettuali impegnati, le rock star coscienti, le fiaccole delle marce “peace and love”. Il furbo Sarkozy ha fatto il resto compiendo l’impossibile missione di ì“umanizzare la guerra” per papparsi il petrolio dell’Eni e trasformando i bombardamenti in azione nobile e filantropica. Replay farlocco, in forma di commedia, della tragedia dei Balcani

Ora fa ridere, ma allora venne presa seriamente la ramanzina che Rossana Rossanda, dal suo buen retiro sulla rive gauche parigina, spedì via mail ai compagni riottosi del Manifesto. Scriveva la signora: «…Non dico che dovremmo organizzare delle Brigate Internazionali, mi impressiona però che nessuno abbia voglia di offrire al popolo libico un aiuto. Ricordate le corse giovanili degli anni Sessantotto e Settanta a Parigi, a Lisbona, a Madrid e a Barcellona? Dall'altra parte del Mediterraneo non ha fretta di andar nessuno, salvo i tour operator impazienti che finisca presto». Allons enfants, arruolatevi nelle Brigate Rossanda e poche balle: basta dubbi sulla guerra, il petrolio e i missili che piovono indistintamente su soldati cattivi e civili innocenti. Pur di dare addosso al “tiranno” di Arcore che baciò la mano a Gheddafi, costoro erano pronti ad arruolarsi pure nella Legione straniera.

Non è vero, come scrive il professor Ernesto Galli della Loggia sul Corriere che «gli europei sono incapaci di pensare alla loro sicurezza perché sono ormai incapaci di pensare alla guerra» (come al solito, per l’illustre maestro laico la colpa è del Papa, il Benedetto XV dell’«inutile strage», e dei cattolici). La guerra alla Libia di Gheddafi gli europei l’hanno fatta, il problema è che così hanno fatto il gioco del Califfo. C'è guerra e guerra: quella era totalmente folle anche se non inutile: i tagliagola islamici non finiranno mai di ringraziarci.