Quando la grande finanza si interessa al clima, sono guai
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Come nasce e come cresce la finanza "responsabile" con obiettivi "sostenibili" che investe sulla base dei criteri ESG (Ecologia, Socialità e Governance). Un modello che si basa su assunti non scientifici. E destinato a drogare il mercato, con effetti gravi di lungo termine.
Il climatismo è un movimento neomalthusiano, che ha ripreso l’idea de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972, proposto dal Club di Roma. Con quest’ultimo ha molte analogie, pur sviluppandosi in modo diverso. Nel 1987 uscì il Rapporto Our Common Future della Commissione Internazionale ONU su Ambiente e Sviluppo, presieduta da Brundtland, dove veniva precisato, definito e promosso il concetto di sviluppo sostenibile come “lo sviluppo che incontri i bisogni del presente, senza compromettere le possibilità per le future generazioni di incontrare i loro bisogni”. Per la prima volta, in un importante documento dell’Onu, veniva stabilito un nesso negativo tra popolazione e sviluppo-ambiente. Un’ulteriore novità è contenuta nell’Agenda 2030, in essa viene espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, ma in questo caso il riferimento, oltre a riguardare l’aspetto ambientale, pone l’accento anche su quello economico e sociale, superando in questo modo l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e affermando una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. È l’aggiornamento in funzione oligarchico-finanziaria dell’ideologia malthusiana già presente nel rapporto Brundtland.
Poiché l’anidride carbonica viene ritenuta unica responsabile della catastrofe, è scaturita l’idea di abolire i combustibili fossili per limitarne le immissioni in atmosfera. Ciò ha suscitato l’interesse dei grandi gruppi finanziari che hanno visto in questa politica un mezzo per estrarre “nuovo oro”, come si è espresso l’Istituto Internazionale della Finanza e come ben ha detto Nicholas Stern (ex responsabile economico della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), a conclusione della COP 21 di Parigi: “Gli investitori mondiali chiedono: grande possibilità di investimenti, buoni profitti e libertà di azione”. “Dal summit esce con chiarezza la direzione che sta prendendo l’economia. Chi oggi deve decidere gli investimenti da fare avrà molta più fiducia nel fatto che sarà il settore a basse emissioni a dare profitti, mentre il settore delle fonti fossili comporterà dei grandi rischi finanziari”. “Gli investitori vedono nel cambiamento climatico la nuova svolta economica da cui estrarre valore”.
La cifra in gioco è di centinaia di migliaia di miliardi di dollari e vi partecipano i principali miliardari del mondo. Ma affrontare gli effetti sociali di una presunta catastrofe ambientale, provocata dai combustibili fossili, è compito della politica legislativa ed economica dei governi e non dei fondi d’investimento; i governi (allorché eletti democraticamente) rappresentano tutti i cittadini, i fondi d’investimento rappresentano soltanto le élite che investono. Attualmente vi è convenienza ad investire in questa trasformazione in quanto il mercato energetico è “drogato” dai sussidi che gli Stati elargiscono alle fonti rinnovabili, principalmente all’eolico e al fotovoltaico che forniscono energia per poche ore all’anno (in Italia, nel 2021, hanno funzionato per 1.356 ore su 8760).
Questo è un punto essenziale in quanto lo sviluppo delle fonti rinnovabili è legato ai sussidi di Stato, a causa del loro elevato costo di produzione; quindi se la politica statale venisse meno in tema di sussidi non ci sarebbe più convenienza all’investimento.
Le raccomandazioni fatte dai molteplici gruppi finanziari sono riassumibili nelle parole dette da Mark Carney (ex Presidente della Banca d’Inghilterra): “L'architettura del sistema finanziario globale è stata trasformata per arrivare a zero emissioni… questo obiettivo può essere in grado di reperire i circa 100 trilioni di dollari di investimenti necessari nei prossimi tre decenni per un futuro di energia pulita … I governi devono definire politiche prevedibili e credibili. Ciò darà al finanziamento la fiducia necessaria per investire”. E dalle parole di Nigel Topping (rappresentante per il clima del governo britannico per la COP 26): “Il sistema finanziario è pubblicamente impegnato a riallineare i modelli di business con la scienza del clima … abbiamo bisogno che i governi aiutino a portare a termine il lavoro, con politiche ambiziose che possano aiutare ad indirizzare gli investimenti dove è necessario”. “I decisori politici saranno ritenuti responsabili degli impegni presi”. Ossia: i governi devono finanziare le fonti rinnovabili per permettere ai fondi d’investimento privati di fare investimenti sicuri.
A tal proposito è emblematico il caso della Germania: l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici installati nel 2004, ha un prezzo garantito tra 460 e 570 euro al MWh (fino al 2024); quella degli impianti installati nel 2010, ha un prezzo garantito tra 280 e 380 euro al MWh (fino al 2030). Si ricorda che fino al 2019 il prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Europa si aggirava intorno ai 30 - 60 euro per MWh e soltanto dall’ottobre del 2020 il prezzo è salito intorno ai 180 euro, comunque sempre di molto inferiore all’importo dei sussidi. Per l’eolico i sussidi sono più contenuti, essendo superiori del 50-80% all’attuale prezzo di mercato dell’elettricità.
Sembra peraltro che nel 2022, oltre al ritorno della geopolitica, si sia verificata la prima crisi della transizione energetica volta alle emissioni zero. A detta di molti osservatori finanziari il 2022 è l’anno che ha riportato gli investimenti ESG (Environmental, Social and Governance) nel mondo reale: l’ETF S&P 500 ESG Screened di BlackRock ha perso il 22,2% del suo valore, mentre l’indice S&P 500 Energy Sector (fonti energetiche tradizionali) è salito del 54%.
Gli investimenti nei titoli ESG furono incentivati dalla crisi finanziaria del 2008. Come se Wall Street, dopo aver causato tale crisi, si volesse riscattare salvando il mondo dalla catastrofe climatica. Senza il cambiamento climatico, gli ESG avrebbero avuto molto meno rilevanza. La principale giustificazione per tali investimenti è che le imprese che credono nel cambiamento climatico possono generare rendimenti più elevati per gli investitori: questa tesi è stata molto criticata. Sebbene commercializzato come strumento di analisi del rischio climatico, l’ESG non è tale, si tratta in sostanza di investitori che sostengono la decarbonizzazione delle società occidentali e sfavoriscono le compagnie dei combustibili fossili.
Limitando gli investimenti nella produzione di petrolio e gas da parte dei produttori occidentali, l’ESG aumenta il potere di mercato dei produttori non occidentali, e consente una rivalutazione delle fonti energetiche di questi ultimi. Inoltre la riduzione dell’offerta di capitali ai produttori occidentali ha due effetti: sale il prezzo degli idrocarburi (in quanto la loro domanda rimane costante) e si sposta l’offerta dai produttori occidentali a quelli neutrali o ostili, con grave danno per le economie e la sicurezza dell’Occidente. Si ritiene che il Net Zero sia il più potente alleato della Russia. Ad esempio la HSBC, la terza banca più grande dell'Occidente, ha annunciato che smetterà di finanziare nuovi giacimenti di petrolio e gas, mettendosi dalla parte di Putin nella guerra energetica.
Secondo la dottrina ESG, esistono due tipi di rischio finanziario climatico: il rischio fisico e il rischio di transizione. È facile dimostrare come entrambi siano fittizi. Ad esempio la Banca d’Inghilterra, per i suoi stress test climatici, utilizza lo scenario RCP 8.5 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC); è uno scenario estremo che ipotizza emissioni sempre più consistenti di gas serra ed un aumento della temperatura di 4°C entro la fine del secolo ed un aumento di 3,3°C entro il 2050. Ciò non sembra fisicamente plausibile.
Roger Pielke, Jr., professore di scienze ambientali presso l’Università del Colorado e Justin Ritchie hanno mostrato che prendere come modello lo scenario RCP8.5 rappresenti "un ostinato impegno verso l’errore”, in quanto esso prevede un incremento del consumo pro capite di carbone sei volte superiore a quello attuale, fino al 2100; questo sulla base di rapporti errati redatti alla fine degli anni ’80, circa i depositi di carbone (virtualmente illimitati) della Siberia e della Cina. Le banche centrali che ricorrono a questo tipo di simulazioni sono la prova che il rischio climatico fisico non è un problema per la stabilità finanziaria.
Allo stesso modo, il rischio di transizione climatica e la retorica di bloccare le fonti di energia quotidianamente impiegate sfidano la logica economica e finanziaria. Se si contrae il flusso di capitali in un settore che produce beni richiesti dal mercato e che le persone sono disposte a pagare per averli, il costo di produzione dei beni “messi all’indice” aumenterà, così come il prezzo di mercato e il valore del capitale investito. Questo, in sostanza, è ciò che sta accadendo nei mercati dell’energia e dei capitali nell’ultimo anno e spiega perché l’ESG non funziona né come strategia di investimento, né come catalizzatore per l’ambiente, come ha asserito Terrence Keeley, ex responsabile di alto livello nell’ambito di BlackRock, tenendo conto che gli investimenti integrati ESG ammontano a più di 120 miliardi di dollari.
A questo punto sembra che la doppia finalità degli ESG: aumentare i rendimenti degli azionisti e rendere il mondo un posto migliore, sia ritenuta irraggiungibile. Sebbene l’insuccesso degli ESG nel 2022, come strategia di investimento, sia diventato inequivocabile, la dottrina politica ESG continuerà fino a quando non sarà sconfitta politicamente.
Infatti, visti gli enormi impegni finanziari nel settore energetico motivati dal “clima”, se in un futuro più o meno vicino si dovesse addivenire ad una eventuale revisione di tale motivazione, la grande finanza internazionale (i veri poteri costituiti) sarebbe disposta a tornare indietro? O il tema clima, essendo entrato profondamente negli interessi finanziari, non è più discutibile, ovvero non può più essere oggetto di dibattito? L’unica speranza di ricondurre il dibatto sul clima in ambito scientifico è che la grande finanza smetta di interessarsi al clima.
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