Quando i re omosessuali bruciavano i cristiani
Poiché il Papa in Uganda non ha rimbrottato il presidente Yoweri Museveni per le sue leggi “omofobe”, l’inglese Guardian se ne è lamentato. Ma il Papa ha fatto anche di “peggio”: ha prestato omaggio con gran pompa al santuario dei ventidue Martiri dell’Uganda, il primo gruppo di sub-sahariani canonizzato dalla Chiesa.
Poiché il papa in Uganda non ha rimbrottato il presidente Yoweri Museveni per le leggi “omofobe” vigenti del Paese africano, l’inglese Guardian se ne è lamentato, e per bacchettare Francesco si è affidato a una sua firma dal cognome inequivocabile: Alon Mwesigwa. «Nonostante le speranze degli attivisti Lgbt», cita testuale l’agenzia Zenit.org. Ma se gli attivisti Lgbt fossero non po’ più colti saprebbero che il Papa ha fatto anche di peggio: ha prestato omaggio con gran pompa al santuario dei ventidue martiri dell’Uganda, il primo gruppo di sub-sahariani canonizzato dalla Chiesa e il cui grande santuario di Namugongo è sempre affollatissimo di pellegrini.
Quei martiri ugandesi non furono tanto uccisi perché cristiani bensì perché, in quanto cristiani, si rifiutavano di accondiscendere alle voglie lubriche del loro re Mwanga II. Erano tutti maschi e pure il re, perciò si trattava di voglie omosessuali. Ciò, certo, suona strano alle orecchie di chi è uso lagnarsi continuamente delle «violenze e discriminazioni contro la comunità gay» (citiamo ancora il Guardian), ma nel 1885-1887 (epoca del martirio) le cose stavano in modo esattamente contrario. I martiri ugandesi erano paggi e guardie del corpo reali, tutti di età compresa tra i quattordici e i trenta anni. Erano stati battezzati dai Padri Bianchi, missionari francesi fondati dal cardinale Charles Lavigerie, ed erano tutti giovani e tra i più belli e prestanti del regno dei Buganda. Il primo a rimetterci la testa, nel 1885, fu Joseph Mkasa Balikuddembé, prefetto della sala del re. Quando quest’ultimo cercò di allungare le mani sui paggetti di corte, lui si oppose e fu subito decapitato. Aveva venticinque anni.
L’anno seguente toccò a Charles Lwanga, capo delle guardie del corpo reali. Il re Mwanga II aveva un concetto molto particolare dei compiti delle sue guardie “del corpo”, e forse accontentarlo era cosa normale per i suoi sudditi, dal momento che in un sistema tribale di quei tempi e quei luoghi tutto, anche le vite e i corpi, erano a totale disposizione del re. Ma con i cristiani la musica cambiava. Fu per questo che Charles Lwanga e altri dodici giovani finirono arsi a fuoco lento sulla collina di Namugongo. Parecchi altri li seguirono, alcuni dei quali erano stati battezzati da missionari anglicani (il celebre esploratore inglese Stanley aveva scoperto il popolo dei Buganda dieci anni prima e si era proposto di farli evangelizzare). Vennero trascinati in catene e torturati per la via, allo scopo di dare un «esempio» a tutti gli altri. Qualcuno morì per strada sotto i colpi delle zagaglie, gli altri finirono al rogo.
Come si è detto, i capitribù africani di quel tempo erano da sempre abituati a considerare di loro assoluta proprietà le vite, i beni e pure i corpi dei sudditi, cosa che ai sudditi andava benissimo dal momento che si era sempre fatto così (ancora oggi, in certi “regni” africani, quando il “re” decide di impalmare l’ennesima moglie migliaia di vergini si accalcano ai suoi piedi con la speranza di essere scelte). Ora, il cristianesimo è, sì, una religione, ma ha l’effetto collaterale di dare dignità personale. Per Mwanga quei “preganti” (così erano chiamati i cristiani dagli animisti locali) che osavano ribellarsi ai suoi voleri erano solo dei sovversivi, punto e basta. A un paggio che aveva osato tardare al suo richiamo fece mozzare le orecchie.
Poi, saputo che anche una delle sue innumerevoli figlie si era fatta battezzare, si scatenò e, presa una lancia dalla punta avvelenata, cominciò a ferire di sua mano tutti i cristiani della corte, consegnandoli a una morte lenta e atroce. Il resto lo abbiamo detto. Gli ugandesi che affollano il santuario di Namugongo conoscono bene questa storia e, poiché i loro martiri sono generosissimi in miracoli, appoggiano volentieri il presidente Museveni. Il quale, almeno in questo campo, non fa altro che prendere atto della volontà popolare.