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RUSSIA-CINA

Putin a Pechino consolida il nuovo blocco orientale

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Putin inaugura il suo nuovo mandato presidenziale con una visita di Stato in Cina, dove incontra Xi Jinping. Mira a consolidare le relazioni economiche, in vista di una guerra lunga. 

Esteri 17_05_2024
Xi Jinping e Vladimir Putin a Pechino (La Presse)

Ieri, 16 maggio, Putin ha inaugurato il suo nuovo mandato presidenziale, il quinto, con un viaggio di Stato in Cina, dove ha incontrato, per la terza volta in un anno, il suo omologo cinese Xi Jinping. Tutto indica che i rapporti fra Russia e Cina si stiano cementando, come era prevedibile dopo che Xi aveva promesso una “amicizia senza limiti” alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina. Ora, con la Russia colpita dalle sanzioni occidentali, il ruolo della Cina è quantomai essenziale per Mosca, anche per la stessa prosecuzione del conflitto. Non si sa ancora, né è prevedibile, quanto il ruolo della Russia sia essenziale per Pechino.

Che la Russia miri a consolidare il rapporto di lungo termine con il regime comunista cinese è evidente già dalle nomine, sostituzioni e conferme dei vertici russi, all’indomani del nuovo insediamento di Putin al Cremlino. Il vecchio ministro della Difesa, Sergej Shoigu, dopo 12 anni lascia l’incarico ad Andrei Belousov. Quest’ultimo, ex premier ad interim nel 2020, è apparentemente estraneo alle forze armate: è un civile, un economista. Ma ha coltivato stretti rapporti economici e politici con la Cina. Ed è questo ciò che conta, a quanto pare, per l’economia di guerra russa. Riconfermato il premier Michail Mishustin. Ma anch’egli ha coltivato buoni rapporti con la Cina e con il premier Li Qiang in particolare. Vicepremier responsabile per l’industria, inclusa quella militare, è ancora Denis Manturov: parla cinese e ha anch’egli ottimi rapporti con i vertici di Pechino.

Insomma, la Russia pensa a una guerra prolungata e ha bisogno del consolidamento dei rapporti con la Cina, per alimentare la sua industria bellica. Le parole del primo incontro a Pechino fra Putin e Xi lo confermerebbero. La parte che riguarda l’Ucraina è scarna, si parla vagamente di “accordi politici” senza specificare quali. In compenso sono le commissioni bilaterali che discuteranno del vero scopo, cioè lo scambio fra materie prime russe e tecnologia cinese, come traspare dalle parole del presidente russo.

«Diamo il benvenuto alle case automobilistiche cinesi nel nostro mercato» ha dichiarato Putin. E la Cina, anche grazie agli acquisti in Russia, è diventata il primo esportatore di auto elettriche al mondo. Putin, come negli incontri precedenti, ha anche perorato la causa della cooperazione nucleare civile, affermando che ci sono «piani concreti per approfondire la cooperazione energetica». Durante la guerra, il commercio russo-cinese è cresciuto del 24%, ora è pari all’equivalente di 240 miliardi di dollari all’anno.

In cambio, la Cina riceve petrolio e gas a prezzi politici. Ha risparmiato 4,34 miliardi di dollari grazie alle importazioni di petrolio a prezzo politico e, benché in ritardo rispetto ai tempi previsti, è atteso anche il raddoppio del gasdotto Power of Siberia 2, che attraverserà la Mongolia.

Ufficialmente non si parla di forniture cinesi di armi ed equipaggiamento militare alla Russia, per sostenere il suo sforzo bellico. Ma l’appoggio arriva in modo indiretto, tramite la fornitura di microchip, ottiche, motori per droni e pezzi di ricambio per aerei, da parte di aziende che rischiano (o già sono colpite da) sanzioni statunitensi. Anche la Corea del Nord, che fornisce alla Russia grandi quantità di razzi e proiettili per l’artiglieria, è una forma di aiuto indiretto cinese: non si muove foglia, nel “regno eremita”, che la Cina non consenta, essendone completamente dipendente dal punto di vista economico.

Le dispute territoriali sulla Siberia orientale sembrano sepolte nel passato (nel 1969 l’Urss e la Cina di Mao combatterono una vera guerra sul fiume Ussuri), anche se di tanto in tanto riemergono. Nella visita di ieri, 16 maggio, è stato accordato un piano per lo sviluppo dell’isola contesa Bolshoj Ussurijskij «sulla base dei principi di buon vicinato e rispetto dei diritti sovrani degli Stati». Nel 2005 l’isola era stata equamente spartita fra i due Stati, ma l’anno scorso era riemerso il contenzioso, quando la Cina aveva pubblicato mappe ufficiali in cui l’aveva “annessa” completamente.

Resta dunque un artificio teorico la tesi di una “naturale” rivalità fra Cina e Russia, motivata dal mero dato geografico di condividere la frontiera di terra più lunga del mondo e dalla disparità demografica fra le due potenze. Dall’inizio del nuovo corso russo, ancor prima del primo mandato di Putin, le due potenze si sono avvicinate in chiave anti-Usa. Questa tendenza è visibile sin dalla fine degli anni ’90, in particolare dopo la guerra del Kosovo del 1999. In quel conflitto, quando l’ambasciata cinese venne colpita da una bomba americana a Belgrado, i rapporti fra Russia e Cina da una parte, Usa e Nato dall’altra erano già molto tesi. Con la guerra in Ucraina, il nuovo blocco orientale è diventato realtà. Ma quanto interessa a Pechino una guerra di lunga durata, che già coinvolge le democrazie occidentali? Questa è la vera incognita.