"Pulizia religiosa" contro i cristiani in Kashmir
Prima i sikh, poi migliaia di indù, oggi quel che resta della piccola comunità cristiana kashmira: la shari’a è decisa a spazzare via davvero tutto.
Il tribunale sharaitico del Kashmir a maggioranza musulmana non ha alcuna autorità costituzionale. Ma la sentenza con cui il 19 gennaio ha ordinato l’espulsione di cinque cristiani da quella tormentata parte del Kashmir che è posta sotto la sovranità indiana ha fatto scattare il campanello di allarme.
Le vittime sono il padre neerlandese Jim Borst, della Società Missionaria di San Giuseppe di Mill Hill, che si trova nella regione dal 1963, due pastori protestanti e le loro mogli, tutti accusati di proselitismo.
«È una sentenza umiliante e certamente inquietante», ha detto a La Bussola Quotidiana mons. Celestine Elampassery, vescovo di Jammu-Srinagar, il 5 febbraio, durante una pausa dell’assemblea - ancora in corso - della Conferenza episcopale cattolica indiana che ha radunato 170 presuli provenienti da tutto il Paese. «E la situazione sta peggiorando», ha aggiunto, ricordando, a mo’ di esempio, che, sabato 28 gennaio, a mezzogiorno, alcuni ignoti hanno incendiato la motocicletta di don Matthew Koonanickal, vicario della parrocchia della Sacra Famiglia di Srinagar, la capitale dello Stato federato indiano del Jammu e Kashmir - consuetamente abbreviato in Kashmir -, arroccato sull’Himalaya delle nevi eterne.
Predicatore ben noto, padre Borst è il rettore della Scuola del Buon Pastore nella cittadina di Pulwama, in parte bruciata durante le proteste che nel 2010 si sono scatenate nel mondo musulmano dopo che un pastore protestante statunitense aveva dato alle fiamme una copia del Corano nell’anniversario dell’Undici Settembre.
La sentenza del tribunale sharaitico del Kashmir si e però accanito soprattutto contro il pastore Chander Mani Khanna, della Chiesa di Ognissanti di Srinagar, appartenente alla protestante Chiesa dell’India Settentrionale, giudicandolo «colpevole» di convertire anime. Khanna è finito in carcere in novembre con l’assai dubbia imputazione di «fomentare dissidi nella comunità locale» seguita all’accusa di avere operato conversioni forzate che alcuni gruppi musulmani gli hanno mosso. Il tribunale civile ha poi rilasciato il pastore su cauzione, ma nondimeno la corte sharaitica ha continuato il proprio iter. «Khanna e i suoi accoliti sono stati giudicati colpevoli di disseminare inimicizia tra la gente ed erano implicati in attività immorali», ha detto il 19 gennaio Nasir-il-Islam, vice Gran Muftì del Jammu e Kashmir leggendo il verdetto del tribunale sharaitico. «Per questo è stato ordinato che venissero espulsi dallo Stato».
Peraltro, oltre a colpire i cinque cristiani, quello stesso tribunale sharaitico è riuscito a pilotare il governo dello Stato del Jammu e Kashmir affinché che assumesse direttamente la gestione delle scuole erette dalle missioni cristiane. L’attivismo giudiziario di detto tribunale sharaitico ha del resto comportato una grande ondata di polemiche contro i cristiani scatenatasi sui media locali e questo nonostante il fatto che nella valle del Kashmir ne vivano meno di 400 contro 4 milioni di abitanti musulmani. "Gli zeloti kashmiri costringono i cristiani in una valle di terrore", titolava il 23 gennaio The Time of India, il maggiore quotidiano in lingua inglese del Paese, denunciando l’orchestrazione di codesta campagna di calunnie contro la minuscola comunità cristiana del Kashmir. Nel reportage si legge che persino Juan Marcos Troia, un "mister" argentino che allena le squadre giovanili cercando di sviluppare il gioco del calcio nel Kashmir, sta oggi patendo sulla propria pelle questa recrudescenza di cristianofobia. I funzionari della federazione calcistica di quello Stato dell’India lo hanno infatti interrogato a proposito dei finanziamenti delle squadre che Troia allena. E così, mentre qualche fondamentalista islamico comincia a far circolare certe voci su quell’allenatore "cristiano", la casa in cui Troia abita è già stata oggetto di atti vandalici.
«Negli anni 1970 il bersaglio erano i sikh e a partire dagli anni 1980 lo sono diventati gli indù», ha commentato mons. Elampassery, visitando il cuore musulmano del distretto di Srinagar di cui è capoluogo l’omonima cittadina. «Adesso sembra proprio tocchi a noi».
Nell’intera valle del Kashmir vi sono in tutto poco più di una decina di segni della presenza cristiana, metà dei quali sono scuole a cui in un paio di casi sono annessi ospedali e l’altra metà chiese. «In quella regione stanno riuscendo a spaventare quel che resta dei cristiani del Kashmir per spingerli ad andarsene», afferma Predhuman K. Joseph Dhar, un cattolico kashmiro con un retroterra indù. «Vogliono farne una zona esclusivamente musulmana». Dhar, uno studioso che ha tradotto la Bibbia in lingua kashmira, rievoca i giorni del gennaio 1990 in cui dovette abbandonare il Kashmir con la famiglia allorché dalle moschee di tutta la regione gli altoparlanti presero simultaneamente a urlare agli indù di abbandonare quella terra a maggioranza musulmana.
Fu così che oltre 400mila indù lasciarono il Kashmir rifugiandosi in quelle zone dell’India dove i loro correligionari sono la maggioranza, in specie nel Jammu. Benché nel 1984 anche Dhar si fosse convertito al cattolicesimo, come tutti i 6 membri della sua famiglia, in quanto di origine indù dovette anch’egli andarsene. «Oggi in tutta la valle vi sono meno di cento cristiani originari del Kashmir», dice. «Gli altri sono immigrati». Dhar, che è pure giornalista, ripete che «sui media kashmiri vi sono ancora numerosi articoli contro i cristiani ma del tutto inventati». Il più recente è quello pubblicato il 22 gennaio a proposito di quattro «convertiti recenti» arrestati mentre si recavano a incassare dalla Chiesa gli «emolumenti economici» in quel modo maturati. «Pura fantasia», commenta Dhar, «ma il caso spiega bene quale sia il piano nascosto il perdurare di questa campagna anticristiana».
Nel succitato reportage di The Times of India si fa del resto riferimento a un articolo comparso con il titolo "L’apostasia smascherata" sul principale quotidiano in lingua inglese del Kashmir il giorno seguente la sentenza del tribunale sharaitico che ha colpito i cinque missionari e pastori cristiani. Si tratta dell’improbabile, lurido racconto di un giovane musulmano che si sarebbe convertito in cambio di denaro, di alcolici e di una giovinetta.
Il cattolico John Dayal, Segretario generale dell’organizzazione All India Christian Council, precisa: «Noi cristiani non siamo tenuti a rispettare i pronunciamenti del tribunale sharaitico. E le accuse di avere convertito forzatamente della gente che sono state contestate al pastore Khanna sono del tutto infondate». Dayal lo dice a ragion veduta, avendo appena visitato il Kashmir con un comitato ecumenico d’indagine e avere incontrato di persona Khanna. L’idea poi, come pretende il tribunale sharaitico, di porre le scuole cristiane sotto il controllo del governo è per Dayal «irrazionale»: la maggioranza schiacciante della popolazione scolastica di quegli istituti, e persino gli insegnanti, sono infatti musulmani…
Tutto ciò, sottolinea Dayal, non è peraltro in linea con i sentimenti della gran parte della popolazione musulmana della regione, ma solo il risultato della competizione scatenatasi fra alcuni gruppi islamici che cercano di far bottino di tutto ciò che può alimentare la loro campagna di propaganda nazionalistica.
La parte del Kashmir a maggioranza musulmana che si trova sotto la sovranità dell’India è infatti funestata da una sanguinosa spinta secessionista - dal 1990 ha mietuto più di 30mila vittime - che, ottenuta la separazione, mirerebbe poi a unirsi al Pakistan a maggioranza musulmana sotto il cui controlla sta già l’altra parte del Kashmir.
In un “libro bianco” sulla situazione della regione, il Catholic Secular Forum (CSF), che ha sede a Mumbai, in India, evidenzia come tra 1989 e 1992 la maggior parte degli indù e dei cristiani di origine indù del Kashmir sia stata «costretta dai terroristi islamisti ad abbandonare le proprie abitazioni. Gli uomini sono stati assassinati, le donne stuprate, le proprietà distrutte e le minacce costanti».
Per Joseph Dias, Segretario generale del CSF, «la situazione è seria. E siamo esterrefatti dal silenzio che sulla questione mantengono sia il governo dello Stato federato indiano del Jammu e Kashmir sia il governo centrale della federazione indiana. I cristiani della valle del Kashmir sono perseguitati da vicini ostili, dalle comunità islamiche del territorio, dai tribunali fondamentalisti, dagli estremisti-terroristi […] e dal governo, il quale ha deciso di non essere in grado di agire».
Traduzione di Marco Respinti
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