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L'ITALIA INVIA ELICOTTERI

Prove tecniche di intervento armato in Iraq

L'invio dei nostri elicotteri "Mangusta", pesantemente armati con razzi e missili, potrebbe indicare che il governo italiano si appresta a partecipare ad operazioni di combattimento contro lo Stato Islamico cedendo alle pressioni di Washington. Ma Renzi non può tenerlo nascosto all'opinione pubblica.

Esteri 20_04_2016
Elicottero da guerra Mangusta

Gli Stati Uniti dispiegheranno elicotteri da attacco AH-64D Apache dell’esercito in Iraq a sostegno delle operazioni della Coalizione per riconquistare  Mosul, in mano allo Stato Islamico da quasi due anni e che secondo Barack Obama verrà liberata entro quest’anno. Nell’estate del 2014 gli stessi elicotteri statunitensi, basati a Baghdad, permisero di fermare un’offensiva dell’Isis diretta da Fallujah contro la capitale irachena. Le "forze supplementari" messe in campo da Washington per rafforzare la lotta contro le milizie dello Stato Islamico includono altri 200 militari portando il totale delle forze regolari in Iraq a 4mila unità cui si aggiungono oltre 2 mila contractors con compiti militari (sicurezza e addestramento delle forze irachene), quasi decuplicati rispetto ai 250 presenti all’inizio del 2015. 

Pur se con meno visibilità è in atto anche il potenziamento del contingente italiano in Iraq, finora composto da 700 militari destinati a raddoppiare entro giugno. Dall’inizio di aprile ha infatti preso il via lo schieramento a Erbil del nuovo contingente elicotteristico della Brigata aeromobile "Friuli" ufficialmente assegnato alle operazioni di "Personnel Recovery", recupero di militari o civili in zone di combattimento. Secondo quanto riferito dall’agenzia Il Velino che ha citato fonti curde 2 dei 4 elicotteri NH-90 previsti sono già operativi e presto verranno raggiunti dagli altri 2 NH-90 e da 4 elicotteri da attacco AW-129 Mangusta e dal resto dei 130 militari previsti, inclusi 30 fucilieri aeromobili del 66° reggimento Trieste. 

La partenza di questo reparto era stata annunciata dal ministro della Difesa Roberta Pinotti il 2 febbraio a chiusura del vertice dei 23 paesi più impegnati contro lo Stato Islamico ma vale la pena sottolineare che gli elicotteri italiani rimpiazzeranno nei compiti di “Personnel Recovery” un reparto americano che però non disponeva di elicotteri da attacco ma solo dI multiruolo Black Hawk assimilabili ai nostri NH-90. La presenza dei Mangusta, pesantemente armati con cannoncini, razzi e missili, potrebbe indicare che il governo italiano si appresta a partecipare anche ad operazioni di combattimento contro lo Stato Islamico cedendo alle reiterate pressioni di Washington.

Un ulteriore elemento che rafforza questa ipotesi è l’invio di un team di ricognizione alla Diga di Mosul dove è atteso in estate il dispiegamento di un intero battaglione di bersaglieri con carri armati, cingolati e forse anche artiglieria. Anche in questo caso la notizia non è stata diffusa da fonti ufficiali italiane ma l’ha appresa l’Ansa da fonti locali mentre la stampa irachena ha rivelato che alla diga sono arrivati anche dei tecnici per impiantare “il campo che ospiterà un gruppo di ingegneri della ditta Trevi il cui arrivo è previsto nelle prossime settimane". 

Il personale italiano della ditta Trevi, che si è aggiudicata l’appalto per le opere di consolidamento della diga, sarà composto da una quarantina di persone (su 450 maestranze coinvolte nei lavori) la cui protezione e scorta verrà garantita, secondo fonti irachene, dai contractors di una società britannica mentre le truppe italiane dovrebbero difendere l’area della diga da improbabili minacce dello Stato Islamico.

E’ vero che la linea del fronte corre a soli 10 chilometri dall’infrastruttura ma i curdi hanno finora ben controllato la zona e quando le milizie del Califfato riuscirono a occupare brevemente la diga, nell’estate del 2014, non fecero nulla per distruggerla o danneggiarla. Del resto a lanciare l’allarme per il possibile crollo della diga sono solo gli statunitensi, smentiti dal governo di Baghdad che infatti ha assegnato alla Trevi un contratto da 18 mesi del valore di soli 300 milioni di dollari invece dei 2 miliardi annunciati da Matteo Renzi quattro mesi or sono.

Questo significa che i costi per schierare alla diga 450 militari italiani con mezzi ed equipaggiamenti (che saranno a carico del contribuente italiano) avranno un importo superiore a quanto incasserà Trevi da Baghdad per restaurare la diga. Una ragione in più per chiedersi quali siano gli obiettivi reali dello schieramento di forze italiane da combattimento a ridosso della prima linea sul fronte di Mosul.

Se davvero l’attacco alla città irachena venisse scatenato nei mesi estivi le truppe curde prive di armamento pesante avrebbero bisogno di supporto di fuoco per sfondare le linee dello Stato Islamico, un supporto che i mezzi degli italiani (artiglieria, carri ed elicotteri Mangusta) sarebbero perfettamente in grado di assicurare. Finora le truppe italiane in Iraq hanno svolto compiti di addestramento (con gli istruttori di esercito e carabinieri in Kurdistan e a Baghdad) e di sorveglianza e ricognizione (con i droni Predator e i bombardieri Tornado disarmati basati in Kuwait) mentre solo le forze speciali aggregate come consiglieri militari ai reparti iracheni sono state coinvolte in prima linea, come hanno rivelato fonti statunitensi non certo italiane.

La notizia che l’Italia comincerà a fare la guerra all’Isis non è necessariamente negativa ma comporta una vasta gamma di valutazioni circa l’impatto delle nostre forze nel conflitto iracheno e il rischio di rappresaglie terroristiche sul territorio italiano. Il governo non può ragionevolmente sperare che il coinvolgimento dei nostri militari in azioni belliche possa essere tenuto nascosto all’opinione pubblica ma soprattutto sarebbe auspicabile che decisioni del genere venissero prese in base a precise e trasparenti valutazioni degli interessi nazionali e non solo per partecipare all’ennesima guerra tesa solo a compiacere gli statunitensi e soddisfare le loro pretese.