Propaganda cinese sul Sole 24 Ore. I redattori protestano
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Dopo che il Sole 24 Ore ha ospitato, per la seconda volta in pochi mesi, un redazionale pieno di propaganda cinese, il Comitato di redazione si è ribellato. In un comunicato, pubblicato il 28 marzo, lancia la sua protesta. Servono almeno tre riflessioni, sui redazionali, sulla propaganda cinese. E sul chiamare "dittatura" una dittatura.
Dopo che il Sole 24 Ore ha ospitato, per la seconda volta in pochi mesi, un redazionale pieno di propaganda cinese, il Comitato di redazione si è ribellato. In un comunicato, rilasciato il 28 marzo, ha criticato duramente la scelta editoriale. Si tratta di una protesta che non può lasciare indifferenti ed obbliga almeno a tre riflessioni.
Sono quattro le pagine di Focus China. Il Comitato, nel suo comunicato, contesta, prima di tutto, la forma ambigua del redazionale: «Già a dicembre e in un recente passato, in rappresentanza della redazione, ci lamentammo per forme e contenuti. Dove, quanto alle prime, si ripropone il modello assai ambiguo del redazionale, senza rendere evidente che si tratta di una comunicazione pubblicitaria». Inoltre, «ad accrescere l’opacità, il committente non è chiaramente identificato».
E che di propaganda si tratti si legge chiaramente nella seconda parte del comunicato. «sono eloquenti i titoli che si succedono nelle pagine: si va da “Nel 2022 il pil cinese ha toccato un nuovo record”, a “Le imprese straniere puntano ancora sugli investimenti in Cina” per atterrare con un significativo “La Cina, un hotspot per gli investimenti stranieri”. Insomma, pura propaganda per attrarre investimenti dall’Italia verso la Cina. E tuttavia una propaganda che giudichiamo inqualificabile, visto che mette le pagine del giornale a disposizione di un sistema economico e di uno Stato (la permeabilità, se non l’identità, tra l’uno e l’altro è assoluta) che si caratterizzano piuttosto per l’assenza degli elementi base di una democrazia». La conclusione del Comitato è tranciante: «Il Sole 24 Ore si è prestato a battere la grancassa per una dittatura».
Le tre riflessioni che si impongono, su questo episodio apparentemente secondario, riguardano invece il futuro del giornalismo italiano. La prima è, generalmente, l’ambiguità del redazionale. Un lettore qualunque, un non-addetto ai lavori, lo scambierebbe per una sezione del quotidiano. In un redazionale, il lettore trova articoli, dati, interviste e pensa che si tratti di cose scritte dalla redazione, con lo stesso tipo di controllo e verifica delle fonti da parte del direttore. Ci sono poi articoli e interviste che sembrano redazionali, da quanto sono sbilanciati. Ma l’intervista a D’Alema pubblicata da Milano Finanza, ad esempio, non è semplicemente "di parte", è targata chiaramente “Desk China”. I cinesi sono maestri in questo tipo di propaganda, anche su altri grandi quotidiani italiani.
La seconda riflessione è, appunto, sulla propaganda cinese in Italia. Il nostro Paese, dopo la firma dei protocolli della Nuova Via della Seta (2019) è uno dei più influenzati in assoluto, nel mondo occidentale. Nella prima fase della pandemia di Covid siamo addirittura diventati un caso studio internazionale quanto a livello di esposizione alla propaganda cinese sui social network. Non a caso siamo stati il primo Paese democratico ad aver adottato la stessa strategia di Pechino per la lotta al virus. Dei redazionali, pubblicati sul quotidiano confindustriale, così come su altri grandi quotidiani nazionali, sono una non-notizia, da questo punto di vista. Ma se mettiamo assieme il livello di propaganda sui social, la presenza cinese nelle università, la presenza di polizia d’oltre-mare di regioni cinesi in più di una città italiana, più la cooperazione assidua con tutti i mass media, inclusa l’Ansa (che rilancia notizie di Xinhua, l’agenzia stampa di Stato di Pechino), allora la cosa cambia. Siamo di fronte ad una penetrazione cinese politica, a tutti i livelli.
La terza riflessione riguarda la protesta dei giornalisti. Ed è una buona notizia, in un mondo in cui regna l’assuefazione. È un bene che almeno i redattori del Sole che hanno aderito abbiano correttamente identificato la Cina come una dittatura e per questo abbiano ritenuto inaccettabile la sua propaganda. Sembra scontato, ma non lo è più. Per tornare a dire che una dittatura è una dittatura occorre ormai un certo coraggio, soprattutto se si parla della Repubblica Popolare Cinese. La si è definita in molti modi, tutti edulcorati: come un nuovo impero, un sistema meritocratico, come un sistema capi-comunista (dunque capace di fondere capitalismo e comunismo), ma mai per quella che è realmente. Onore al merito ai redattori del Sole, per la loro onestà intellettuale.