Profughi da salvare: ora ci si mette anche la Nato
Turchia e Germania (cui si è unita anche Atene) chiedono alla Nato di intervenire nella crisi determinata nel Mare Egeo dai flussi di immigrati clandestini e profughi siriani che dalle coste turche raggiungono le isole greche e da lì i Balcani e il Nord Europa. La Nato ha accettato, ma la missione è confusa e ben poco risolutiva.
Suscita scetticismo e perplessità la decisione della Nato di farsi coinvolgere nella crisi determinata nel Mare Egeo dai flussi di immigrati clandestini e profughi siriani che dalle coste turche raggiungono le isole greche e da lì i Balcani e il Nord Europa. Un flusso che un’Europa (e soprattutto una Germania) ormai insofferenti verso gli immigrati illegali vorrebbe respingere in Grecia e in Italia nel nome di quel trattato di Dublino che obbliga chi sbarca a registrarsi nel Paese dove è arrivato.
Proprio ieri il Consiglio Ue ha formalmente adottato le raccomandazioni relative alle valutazioni Schengen della Commissione europea intimando alla Grecia di sanare le gravi carenze riscontrate nella gestione delle frontiere esterne, di fronte al massiccio flusso di migranti. Atene ha da oggi tre mesi di tempo per mettersi in regola o verrà estromessa da Schengen. Cioè verrà isolata dal resto d’Europa con una barriera presidiata da militari europei istituita lungo il confine macedone.
Una prospettiva che condannerebbe la Grecia a diventare un immenso campo profughi se non riuscirà a respingere in Turchia le masse di immigrati in arrivo. Un milione l’anno scorso e 77 mila nei primi 40 giorni di quest’anno, periodo in cui altri 6 mila clandestini sono stati accolti in Italia. In questo contesto la richiesta di Turchia e Germania (cui si è unita anche Atene) alla Nato di intervenire ha determinato una risposta positiva dal valore forse simbolico e politico ma di fatto ben poco risolutiva.
«L’Alleanza fornirà supporto sotto forma di sorveglianza, monitoraggio, riconoscimento e raccolta informazioni per aiutare a contrastare il traffico di esseri umani e smantellare le reti criminali, mentre saranno le guardie costiere turca e greche a salvare, recuperare o respingere i migranti” ha detto giovedì il segretario generale Jens Stoltenberg. Di fatto la Nato schiererà tre navi (una turca, una tedesca e una canadese) a sorvegliare un’area marittima che è già ampiamente presidiata dalle flotte turca e greca, ma dove finora le forze di Ankara hanno fatto passare tutte le imbarcazioni dirette in Grecia. Difficile inoltre credere che in futuro le cose cambieranno nonostante i miliardi di euro che Angela Merkel ha portato in dono al presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Anzi proprio le genuflessioni della Cancelliera hanno aumentato l’arroganza del “sultano” che in un discorso tenuto giovedì scorso ha minacciato di aprire le frontiere terrestri con Grecia e Bulgaria a profughi siriani e clandestini.
La Nato mantiene quindi un basso profilo per non farsi coinvolgere direttamente così come finora ha risposto solo inviando aerei radar alle richieste turche di aiuto contro le violazioni russe ai confini siriani. Inoltre, la missione della Nato nel Mar Egeo avrà un ruolo simbolico anche perché il contrasto ai trafficanti spetta alle autorità di Ankara, sovrane sul territorio turco. «L'obiettivo è aiutare Grecia, Turchia e Unione Europea a fare fronte al flusso di profughi e migranti e a una situazione molto pesante. Non si tratta di respingere o rimandare indietro i migranti», ha aggiunto Stoltenberg.
L’intervento Nato non cambierà quindi le carte in tavola, ma aggiungerà un’ulteriore elemento di confusione e una flotta alle sette (le tre nazionali di Italia, Grecia e Turchia più tre missioni europee e una operazione navale italiana) che nel Mediterraneo già si occupano di immigrati limitandosi però a raccoglierli e a sbarcarli in Europa. E le operazioni militari di questo tipo potrebbero presto addirittura salire a nove se la Nato accogliesse anche la richiesta italiana di costituire un altro gruppo navale da schierare di fronte alle coste libiche, ovviamente per espletare compiti vaghi che in ogni caso escludano di respingere gli immigrati clandestini sulle coste del Paese africano.
Cioè che evitino di assumere l’unica iniziativa che fermerebbe rapidamente i flussi migratori illegali. «L'unica soluzione» per risolvere la crisi dei flussi migratori è «la deportazione dei migranti economici e di tutti coloro che sostengono la violenza religiosa, l'odio religioso e che tramano a favore del terrorismo», ha detto ieri il presidente socialdemocratico ceco Milos Zeman, una delle poche voci controcorrente in Europa.
Secondo Zeman "l'Unione europea ha fallito completamente" nella gestione della crisi migratoria e ha aggiunto che il suo Paese sarebbe pronto ad accogliere i migranti che intendono integrarsi, ma "gli immigrati islamici sono impossibili da integrare e da assimilare nella cultura europea. La correttezza politica ha aggiunto - è sinonimo di bugia". Pochi mesi fa Zeman aveva definito "una invasione organizzata" l'arrivo alle frontiere europee di rifugiati siriani e iracheni. Se ne devono essere accorti anche a Stoccolma, Berlino e in tutto il Nord Europa dove si preparano decine di migliaia di espulsioni che verrebbero rese però vane dal continuo sbarco di nuovi immigrati sulle coste greche e italiane.