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SENTENZA EUROPEA

Prof di religione "eretico"? Giusto licenziarlo

Un caso spagnolo approda alla Corte Europea, che dà ragione alla diocesi che non aveva rinnovato il contratto al professore fortemente critico della Chiesa. La Corte stabilisce un dovere di fedeltà alla Chiesa per gli insegnanti di religione.

Educazione 20_06_2014
Insegnante di religione

È giusto licenziare un professore di religione se questi esprime idee in contrasto con la dottrina cattolica. Questo in sintesi il giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) espresso nella sentenza Fernàndez Martìnez vs. Spagna pubblicata il 12 giugno scorso.

Il sig. Martìnez era stato un prete e pure direttore di un seminario. Nel 1984 aveva chiesto la riduzione allo stato laicale. L’anno dopo senza aspettare la dispensa dalla Santa Sede – che arriverà solo nel 1997 - decise di sposarsi civilmente. Martìnez, padre di cinque figli, fino al ‘ 97 insegna religione ed etica nelle scuole pubbliche proprio perché giuridicamente è ancora considerato membro del clero. Poi, una volta formalmente “spretato”, la possibilità di continuare la docenza è vincolata al placet del vescovo di Cartagena. Dato che però l’ex prete è membro attivo del "Movimento per il celibato facoltativo" e questo movimento in più occasioni aveva criticato la posizione della Chiesa cattolica in materie come l’aborto, il divorzio, la sessualità e la contraccezione, Martìnez si è visto non rinnovato il suo contratto di docenza.

Martìnez fa ricorso presso i tribunali spagnoli: perde la causa in sede amministrativa, la vince davanti al giudice del lavoro e la perde nuovamente presso l’Alta Corte appellata dal Ministero dell’Istruzione che aveva dato ragione al vescovo. Anche la Corte Costituzionale è dello stesso avviso: il mancato rinnovo è legittimo. In particolare i giudici costituzionali avevano sottolineato che non si poteva ravvisare nessun elemento di discriminazione a danno di Martìnez e che il reclutamento degli insegnanti di religione deve rispettare alcuni criteri particolari – indicati in un accordo del 1979 tra Spagna e Santa Sede - tra cui la fedeltà al credo religioso. In special modo l’aspetto centrale che ha reso legittimo il mancato rinnovo contrattuale era il seguente: l’aver dato scandalo per il fatto che prima della dispensa si era sposato e per l’appartenenza ad un movimento culturale fortemente critico verso la dottrina cattolica.

Martìnez non si arrende e nel 2007 fa ricorso alla CEDU lamentando la lesione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo). In buona sostanza – secondo il ricorrente – il vescovo aveva ficcato il naso nella sua vita privata, cioè aveva sindacato sulle sue scelte private e sulle sue idee. Il giudizio negativo espresso dal vescovo su questi due aspetti, che appartengono alla sfera intima della persona, si è poi riverberato indebitamente anche nell’ambito pubblico-professionale. 

Dopo un primo passaggio alla Corte di primo grado, infine la vertenza è approdata alla Grand Chamber.

In una nota emanata dalla CEDU si rende noto che “non è irragionevole per la Chiesa aspettarsi particolare fedeltà da parte degli insegnanti di religione, in quanto potrebbero essere considerati come suoi rappresentanti”. Inoltre “la Corte ha ritenuto che la decisione di non rinnovare il contratto del ricorrente persegue il legittimo obiettivo di tutelare i diritti e la libertà della Chiesa cattolica, e in particolare la sua autonomia per quanto riguarda la scelta delle persone autorizzate a insegnare la dottrina religiosa” (art. 9 della Convenzione).

La nota aggiunge che “in caso di disaccordo tra la comunità religiosa e uno dei suoi membri, la libertà di religione dell'individuo può essere esercitata grazie alla possibilità di lasciare liberamente la comunità. Il rispetto per l'autonomia delle comunità religiose riconosciute dallo Stato implica, in particolare, che lo Stato dovrebbe accettare il diritto di tali comunità a reagire, in conformità con le proprie regole e a tutela dei propri interessi, verso gli eventuali movimenti dissidenti emergenti al loro interno, i quali potrebbero costituire una minaccia per la loro coesione, immagine o unità. Non è quindi compito delle autorità nazionali agire come arbitro tra le comunità religiose e le varie fazioni dissidenti”.

Si sottolinea poi che “il principio di autonomia religiosa impedisce allo Stato di obbligare una comunità religiosa ad ammettere [al suo interno] o escludere qualcuno […] che abbia responsabilità di carattere religioso”. E dunque “le comunità religiose hanno il diritto di chiedere un certo grado di fedeltà da coloro che lavorano per loro o che li rappresentano”. La Corte si spinge oltre dichiarando che il sig. Martìnez “firmando i contratti di lavoro aveva consapevolmente e volontariamente accettato uno speciale dovere di lealtà verso la Chiesa cattolica, che ha limitato in una certa misura la portata del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. […] Il fatto di essere membro di movimenti che si oppongono alla dottrina cattolica chiaramente andava contro tale dovere”.

La sentenza però ha spaccato in due la Grand Chamber: nove voti a favore e otto contrari.