Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
TOTO PRESIDENTE

Prodi verso il Colle. Con la benedizione di Putin

Grandi manovre per la scelta dei nomi dei candidati alla presidenza, che potrebbero essere votati entro la fine di questo stesso mese di gennaio. In uno dei retroscena più intriganti, Berlusconi, con l'appoggio di Putin starebbero spianando la strada alla scelta di Romano Prodi.

Politica 04_01_2015
Romano Prodi e Vladimir Putin

Può apparire paradossale, ma una scuola di pensiero ben accreditata profetizza l’ascesa di Romano Prodi al Quirinale con il beneplacito di Putin. Il leader del Cremlino sarebbe il tessitore, insieme con Berlusconi, di una trama volta ad assicurare al fondatore dell’Ulivo la poltrona attualmente occupata da Giorgio Napolitano.

Fantapolitica? Può darsi. Fatto sta che i contatti tra Prodi e Putin ci sono stati e che il primo ha assunto posizioni sempre più eurocritiche negli ultimi mesi, proprio per non farsi risucchiare nel vortice di un europeismo piatto e acritico. Sul terreno ci sarebbero tutta una serie di interessi commerciali che avvicinerebbero Italia e Russia. Basterà tutto questo per consentire a Prodi di vincere le resistenze che già due anni fa bruciarono la sua corsa al Quirinale? Sia Berlusconi che Renzi, in verità, temono la statura internazionale di Prodi e il suo spirito autonomo e preferirebbero un “cavallo” più addomesticabile. Il premier preferirebbe addirittura tirare la volata a un ministro del suo governo come la Pinotti o Delrio, vale a dire soggetti che non gli facciano ombra e che riportino la carica quirinalizia entro i confini puramente notarili disegnati dalla Costituzione.

Berlusconi, intuendo di avere un potere contrattuale assai scarso, considerate le fibrillazioni interne a Forza Italia e la consistenza della pattuglia centrista (alfaniani, casiniani e altri possiedono circa 100 voti per il Quirinale che, sommati a quelli del Pd, potrebbero consentire di eleggere il nuovo Capo dello Stato senza fare accordi con Berlusconi), ha subito dichiarato la sua disponibilità a votare per un candidato proveniente dalle file della sinistra, che accetti però di entrare in un’ottica di pacificazione, che per il leader di Forza Italia significa riabilitazione e ridiscesa in campo per l’ennesima volta, ma anche e soprattutto tutela dei propri interessi famigliari e aziendali. Veltroni, Fassino, Mattarella, Finocchiaro rispondono senza dubbio a questo identikit.

Dopo le dichiarazioni di Mario Draghi (“Resto alla presidenza della Banca centrale europea fino al 2019, non voglio fare il politico”), il nome di Prodi resta comunque quello più prestigioso sul piano europeo, anche se Napolitano gli preferirebbe senz’altro quello di Pier Carlo Padoan, già consulente di D’Alema e Amato, ministro dell’economia assai stimato in Europa e forse in grado di assicurare all’Italia una certa autorevolezza, soprattutto sul versante finanziario e monetario. E non è escluso che sul nome di Padoan possano convergere anche molti parlamentari del centrodestra.

Uno dei problemi pratici riguarda i tempi dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Gli oltranzisti di Forza Italia come Renato Brunetta chiedono che si proceda con celerità alla nomina del successore di Napolitano, che dovrebbe dimettersi il 14 gennaio, all’indomani del discorso di chiusura del semestre italiano di presidenza europea che Renzi pronuncerà il 13. A quel punto si apriranno i giochi, anche se il Presidente del Consiglio sarà impegnato il 20 e 21 a Davos e il 22 e 23 a Firenze per un delicato vertice bilaterale con la Merkel. Probabile, quindi, che il 26 Renzi convochi un’assemblea del suo partito per individuare un nome o una rosa di papabili per il Quirinale, da sottoporre agli altri partiti di governo e a Berlusconi. Prima di quella data, però, il premier vorrebbe far approvare la legge elettorale al Senato e la legge costituzionale alla Camera. Ce la farà? In questo tentativo la sponda di Forza Italia sarà decisiva.

Berlusconi è disponibile ad accettare il calendario immaginato da Renzi, a patto che quest’ultimo accetti due condizioni poste come irrinunciabili dal leader del centrodestra: una norma sui capilista bloccati, affinchè i fittiani non possano condizionare la preparazione delle liste né scalare il partito; una clausola di salvaguardia che posticipi l’entrata in vigore dell’Italicum alla fine del 2016, ragion per cui non si potrebbe votare per le politiche prima del 2017. Quest’ultima condizione starebbe bene anche ai dissidenti forzisti, che avrebbero tempo per organizzare e strutturare maggiormente la fronda interna, e risulterebbe gradita anche agli alfaniani, attualmente in grosse difficoltà, e allarmati altresì da una possibile soglia di sbarramento superiore al 3%. Meglio sia per Berlusconi che per i fittiani che per i centristi allontanare definitivamente e per almeno due anni lo spettro dello scioglimento anticipato della legislatura, che aprirebbe la strada, ora come ora, a un probabilissimo successo di Renzi.

Ma la corsa al Quirinale deve ancora iniziare e tutti i nomi che si fanno in queste settimane rischiano di non essere spendibili quando i giochi partiranno sul serio. La stessa candidatura di Giuliano Amato, anch’essa graditissima all’attuale inquilino del Colle, non può dirsi del tutto tramontata. Per non parlare di quella di Piero Grasso, attuale presidente del Senato, che si appresta, in qualità di seconda carica dello Stato, a svolgere i compiti di supplenza che la Costituzione gli riconosce, e ad avviare le procedure per la nuova elezione, non appena Napolitano rassegnerà le dimissioni. Se le trattative tra Renzi e Berlusconi dovessero naufragare e se dovessero aprirsi crepe all’interno dei singoli partiti, il nome di Grasso potrebbe rappresentare un punto di mediazione tra chi vorrebbe un Presidente autorevole e carismatico e chi un semplice tagliatore di nastri.