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EDITORIALE

Prodi, davvero pessima scelta

Dopo lo smacco subito con la candidatura Marini, per il Quirinale il Partito Democratico punta su Prodi, decidendo così di spaccare il paese in nome dell'unità del partito. E non è per noi indifferente che Prodi sia il riferimento dei "cattolici adulti".

Editoriali 19_04_2013
Romano Prodi

Davvero una pessima scelta quella di candidare Romano Prodi al Quirinale. Per tante ragioni, di opportunità e di merito. Di opportunità perché in questo modo si è scelto consapevolmente di spaccare il paese, aggiungendo un ulteriore elemento di conflittualità laddove ci sarebbe bisogno di trovare concordia. E che questo sia stato fatto per salvare l’unità di un partito è solo un’aggravante. Ma anche sul merito c’è molto da dire, perché Prodi è stato il protagonista della scena politica ed economica italiana degli ultimi trenta anni, contribuendo non poco a porre le basi dell’attuale crisi economica (di cui invece, molto signorilmente, ha voluto dare colpa a Margaret Thatcher non appena appresa la notizia della sua morte). Ma avremo modo di esaminare più in dettaglio queste cose, ci interessa invece qui sottolineare un aspetto che ci sta particolarmente a cuore  perché ha fortemente influenzato il dibattito sul ruolo dei cattolici in politica.

«Sono un cattolico adulto e vado a votare», disse il 9 marzo 2005. E’ una delle frasi più famose pronunciate da Romano Prodi, un’espressione – “cattolico adulto” – che grazie a lui è entrata nel linguaggio comunemente usato, per indicare genericamente quei cattolici che si sentono pienamente tali pur non obbedendo al Magistero.

All’epoca c’era in ballo il referendum sulla Legge 40 riguardante la fecondazione assistita che, se avessero vinto i sì, avrebbe liberalizzato completamente questa pratica. I vescovi italiani – alla guida c’era allora il cardinale Camillo Ruini –, che avevano salutato con favore la Legge 40 in quanto almeno regolava un fenomeno che stava crescendo senza controllo, optarono per una campagna a favore del non voto: come si sa, quando un referendum non è votato da almeno il 50% degli aventi diritto, viene annullato qualunque sia il risultato del voto espresso. La Legge 40 è ben lontana dal ricalcare l’insegnamento della Chiesa in materia, ma l’approvazione del referendum l’avrebbe peggiorata di molto: troppo rischioso andare a votare, meglio farlo fallire per mancanza di votanti.

Prodi, e con lui altri cattolici militanti a sinistra, decise invece di andare a votare sfidando apertamente i vescovi. Non necessariamente si deve essere d’accordo su tutte le decisioni “politiche” dei vescovi, però in questo caso c’era di mezzo una legge che decide direttamente sul destino di migliaia e migliaia di vite umane. Certo, ogni scelta – voto o non voto – comporta un rischio ma proprio per questo è in certi frangenti che l’unità è più importante che mai. Prodi decise invece di rompere questa unità, peggio ancora teorizzando la legittimità di una posizione per cui si può essere bravi cattolici disobbedendo al Magistero. E’ la stessa posizione di quegli attivisti che ci tengono a definirsi cattolici nel mentre sostengono politiche a favore dell’aborto, del divorzio, delle unioni gay, dell’educazione “di Stato” e così via.

E pensare che Prodi si è sempre caratterizzato per un certo atteggiamento clericale. Prima che esplodesse così pubblicamente la sua distanza dalle posizioni del cardinal Ruini, c’erano stati tempi in cui invece con l’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana c’era stato un rapporto di grande vicinanza. Alla fine degli anni ’80, non c’era convegno ecclesiale in cui Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, non fosse invitato come relatore. Era una sorta di debito di riconoscenza perché Prodi, emiliano come il cardinal Ruini, aveva messo insieme per la Cei una cordata di imprenditori cattolici per portare un po’ di liquidità nelle esauste casse del quotidiano Avvenire. E pazienza se poi, nei suddetti convegni, gli interventi di Prodi non si distinguessero per una particolare conoscenza della Dottrina sociale. Fatto sta che anche quella prossimità con i vertici della Chiesa italiana diedero a Prodi una visibilità e un credito che hanno contribuito alla sua carriera politica successiva.

Ad ogni modo è bene ricordare che quella dei “cattolici adulti” è una posizione condannata dalla Chiesa – non è un problema soltanto italiano – e addirittura Benedetto XVI ha più volte fatto proprio riferimento all’espressione di Prodi per chiarire la questione di fondo, come nella memorabile omelia del 30 aprile 2009, quando commentava le parole di San Paolo che desiderava per i suoi una “fede adulta”. Rileggiamo quel passo, anche a futura memoria:

«La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.
E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”.
Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi.
Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo».

E’ bene che queste parole siano ricordate oggi che matrimonio e vita sono messi pesantemente in discussione nel nostro Paese – e già questo Parlamento si prepara alla grande offensiva – e che potrebbe avere a breve un presidente della Repubblica “adulto”.  Ed è bene che siano meditate da chi, nella Chiesa italiana, alle ultime elezioni ha sostenuto autorevolmente che come cattolici ci si poteva candidare in qualsiasi partito o schieramento.