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SPAGNA

Processione blasfema: «Nessun reato», dice il giudice

Un giudice archivia una causa per vilipendio del sentimento religioso. La processione femminista vedeva come protagonista una vagina di cartapesta: «Anche la Madonna avrebbe abortito», uno degli slogan. Più offese blasfeme al Credo e alle preghiere cristiane. «Libertà d'espressione», la sentenza. Ma il codice penale spagnolo dice altro. 

Libertà religiosa 12_06_2016
La vagina di cartapesta

Offendere pubblicamente con volgarità i sentimenti religiosi, con manifestazioni che superano la decenza, è un reato in quasi tutte le democrazie occidentali. Non fa eccezione la Spagna, dove offese e derisioni pesanti e scabrose possono essere sanzionate più o meno come in Italia. Però a Siviglia da circa una settimana questo non è più reato. «Non credere nei dogmi e manifestarlo pubblicamente rientra nella libertà d’espressione». E’ questa la motivazione con la quale un giudice andaluso, donna, ha archiviato la causa che vedeva sul banco degli imputati cinque persone che aderiscono alla Cgil spagnola, che si chiama Cgt: tre femministe e due dirigenti sindacali. 

Questi, il 1 maggio 2014 avevano percorso le vie della città portando in processione una vagina di cartapesta alta circa due metri. Il motivo? «Anche Maria avrebbe abortito». Sottinteso: se avesse potuto. Un inno sguaiato e blasfemo all’autodeterminazione della donna, che però ha comportato un’offesa non solo al sentimento religioso, ma anche alle buone maniere. Non è un caso che sia stata scelta proprio la perla del sud spagnolo. A Siviglia infatti durante la settimana santa si svolge una delle via crucis più suggestive e storiche di Spagna, con il coinvolgimento di oltre 60 confraternite che da vari punti della città confluiscono in cattedrale. Così il primo maggio, appena 15 giorni dopo la Pasqua, è partito il corteo con i partecipanti incappucciati e l’immensa vagina vestita con mantelli azzurri. Di contorno storpiature blasfeme del Padre Nostro e del Credo. Più altre amenità sconce che è meglio non riferire per pudore. 

All’iniziale sbigottimento di alcuni passanti, fedeli e no, ha fatto seguito l’iniziativa dell’associazione “Avvocati Cristiani”  che ha denunciato i cinque militanti femministi per vilipendio del sentimento religioso. 

La causa è finita sul tavolo del giudice Pilar Ordóñez, che ha archiviato il procedimento senza curarsi neppure del suo nome (Pilar, in spagnolo significa colonna e il nome nasce dalla Vergine del Pilar, che apparve a San Giacomo a Saragozza) ha cassato la richiesta degli avvocati. La toga non ha ravvisato nessuna violazione degli articoli 522 e 526 del codice penale iberico che sanzionano quelle condotte che attaccano o impediscono la libertà religiosa e di coscienza. D’altra parte, è stata la motivazione, «non è stata ostacolata né impedita nessuna processione religiosa». Ancor più ridicola la spiegazione che lo scopo della “processione” non era quello di offendere, ma di ribadire una convinzione personale, cioè quella del diritto all’aborto. E poco importa se per ribadirlo bisogna offendere e dunque limitare la libertà degli altri.

Gli avvocati cristiani ora vogliono ricorrere alla Corte Europea. Intanto piovono accuse sul giudice, che avrebbe ricevuto pressioni da parte del Comune di Siviglia per archiviare la causa. 

Si vede che la guerra ai dogmi, cattolici si intende, deve essere diventata una delle principali attività di governi e tribunali. Non è un caso infatti che la candidata Dem Hillary Clinton abbia detto, nel corso di un comizio presso un’associazione abortista, che «i governi devono utilizzare i loro strumenti e le risorse coercitive per ridefinire i dogmi religiosi tradizionali». Che la Chiesa sia sotto attacco è ormai un dato di fatto, ma che l’attacco passi anche attraverso la dichiarazione pubblica di guerra ai dogmi della fede è sicuramente un passo in avanti dello scontro. Di fronte al quale ogni cristiano dovrà decidere se resistere, combattere o soccombere.