Prisma, progetto sanitario per tutti (purché stranieri)
“Prisma” del Policlinico Gemelli di Roma, aperto ad aprile, promosso dall’Università Cattolica e dalla Comunità di Sant’Egidio, finanziato dal ministero dell’interno e dall’Unione Europea, è un progetto che non è stato pensato e realizzato per cittadini italiani, l’ambulatorio cura unicamente gli stranieri.
Il 4 ottobre c’è stata la presentazione ufficiale dell’ambulatorio “Prisma” del Policlinico Gemelli di Roma, aperto ad aprile, promosso dall’Università Cattolica e dalla Comunità di Sant’Egidio, finanziato dal ministero dell’interno e dall’Unione Europea. “Oggi, proprio nel giorno di San Francesco, si inaugura questo progetto che aiuta davvero, con la formazione e l’assistenza, i più poveri e i più fragili dell’intera società” ha detto Daniela Pompei della Comunità di Sant’Egidio prendendo la parola durante la cerimonia. “Questo progetto, che si rivolge alle nuove povertà e alle ‘periferie esistenziali’, ben rappresenta il lavoro di questa Istituzione che svolge quotidianamente una missione di assistenza e cura. Questi centri e percorsi sono essenziali non solo per gli “scartati” di oggi, ma per tutti coloro che si fanno loro compagni di viaggio” ha commentato nel suo intervento padre Fabio Baggio, missionario della Congregazione Scalabriniana.
Tra le tante notizie preoccupanti sullo stato della sanità, Prisma sembra un bell’esempio di risorse finanziarie e umane spese per il bene della collettività pensando ai più deboli che sono tanti: 1,8 famiglie italiane vivono in condizioni di povertà assoluta, circa cinque milioni di persone, e quelle in condizioni di povertà relativa sono poco più di tre milioni, quasi nove milioni di persone.
Solo che il progetto non è stato pensato e realizzato per cittadini italiani, l’ambulatorio cura unicamente gli stranieri. Il servizio – ha spiegato il responsabile del progetto Sergio Alfieri, “è rivolto a tutti i migranti del Lazio” ai quali grazie ai sanitari e ai mediatori è possibile “non solo offrire un servizio, ma mettere a servizio il nostro lavoro”. L’ambulatorio dispone di personale in grado di visitare immigrati di entrambi i sessi, di medici specialistici di prima assistenza, dai ginecologi ai dermatologi agli psichiatri coadiuvati da personale paramedico, in grado di rispondere tempestivamente ai bisogni degli utenti: “è attrezzato per dare una risposta immediata, efficiente e specializzata ad un ampio spettro di patologie”, si legge sulla pagina web del Policlinico. Il progetto prevede anche la formazione di personale medico e sanitario “sui temi delle migrazioni, della salute dei migranti e delle competenze interculturali e la realizzazione di una ricerca, attraverso le 'storie di salute' dei migranti, allo scopo di verificare e personalizzare l'attività medica e definire linee guida”. All’attività ambulatoriale e di screening si affianca inoltre un servizio “di facilitazione all'accesso curato dalla Comunità di Sant'Egidio che, oltre a fornire un servizio di mediazione linguistico-culturale indispensabile alla riuscita dell'attività ambulatoriale, svolge un importante ruolo di collegamento tra la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli e il territorio, con particolare attenzione ai migranti residenti nei centri di accoglienza straordinaria che, per la natura emergenziale delle strutture, godono di forme di tutela limitate”.
Il progetto Prisma così concepito richiede alcune osservazioni, a partire da quest’ultima frase. Nonostante il nome, i Cas, Centri di accoglienza straordinaria, sono tutt’altro che strutture di “natura emergenziale”, è previsto che siano in grado di dotare i loro ospiti di tutto il necessario per una vita dignitosa e sicura e ne hanno i mezzi. Però i loro ospiti non sono migranti, bensì richiedenti asilo in attesa di sapere se otterranno protezione internazionale.
Se chi ha ideato Prisma non sa questo, può darsi che non sappia neanche che gli immigrati a cui il progetto si rivolge non sono tutti soggetti sociali tra i più poveri e fragili. Ma soprattutto, anche se sembra strano, forse non sa che tutti, ma proprio tutti gli stranieri, dal momento che mettono piede in Italia, hanno diritto all’assistenza sanitaria. Sembra che il nostro paese sia stato il primo al mondo a garantire l’accesso ai servizi sanitari a chiunque si trovi sul territorio nazionale. Immigrati regolari, detentori di protezione internazionale (asilo e protezione sussidiaria) e richiedenti asilo hanno diritto di iscriversi al Servizio sanitario nazionale (le prime due categoria ne hanno l’obbligo) e vi accedono (loro e i loro famigliari) con parità di trattamento e piena uguaglianza rispetto ai cittadini italiani. Anche chi non è in regola con le norme di ingresso e soggiorno ha comunque diritto alle cure ambulatoriali e ospedaliere. Il ministero della salute dà indicazioni precise in merito. Ogni straniero irregolare, anche extracomunitario, può ottenere un S.T.P. (sta per Straniero Temporaneamente Presente), un tesserino valido sei mesi rinnovabile. Ne può fare richiesta presso qualsiasi Asl, basta che dichiari le proprie generalità e affermi di non possedere risorse economiche sufficienti. Il tesserino gli dà diritto all’assistenza sanitaria di base, ai ricoveri urgenti e non e in regime di day hospital, alle cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, anche se continuative, per malattie e infortuni. Può chiedere che il tesserino gli venga rilasciato senza indicazione del suo nome e cognome e l’accesso alle strutture sanitarie non può comportare alcun tipo di segnalazione alle autorità pubbliche.
La domanda è: Prisma che cosa pensa di offrire oltre a quanto già spetta agli stranieri di diritto?