Preghiera per Aleppo, città sfinita
Aleppo non soffre da oggi. Ma l'incubo della battaglia in città, casa per casa, strada per strada, si sta materializzando. Intanto le potenze coinvolte, Usa e Russia per prime, non fanno altro che scambiarsi accuse. Papa Francesco, da Tbilisi, invita alla preghiera per i popoli sfiniti dalle bombe.
«Signore Gesù, stendi l'ombra della tua croce sui popoli in guerra: imparino la via della riconciliazione, del dialogo, del perdono; fa gustare la gioia della tua risurrezione ai popoli sfiniti dalle bombe: solleva dalla devastazione l'Iraq e la Siria, riunisci sotto la tua dolce regalità i tuoi figli dispersi, sostieni i cristiani della diaspora e dona loro l’unità della fede e dell’amore».
Anche da Tbilisi, ieri, papa Francesco è tornato a parlare delle sofferenze della Siria. Lo aveva già fatto mercoledì durante l'udienza generale e poi ancora giovedì, incontrando in Vaticano gli organismi caritativi cattolici impegnati nell'assistenza umanitaria nei due Paesi da anni ormai prostrati dalla violenza dei combattimenti. Tre interventi in tre giorni, proprio mentre ad Aleppo infuria quello che tutti considerano lo scontro decisivo di questa guerra.
I giri di parole sono inutili: quella che si sta consumando nella seconda città della Siria è una tragedia. E certo è vero - come ricordava già Robi Ronza alcuni giorni fa su questo sito - che l'agonia di Aleppo non inizia oggi; e chi ora è assediato e falciato dai bombardamenti dell'aviazione di Damasco e di Mosca per anni ha martellato i quartieri ovest della città, seminando là la stessa morte e distruzione. Ma lo scenario di uno scontro finale casa per casa, con migliaia di civili innocenti intrappolati in mezzo ai combattenti, è l'incubo peggiore che tutti conoscevano e che l'insipienza di potenze interessate solo a combattersi tra loro, sulla pelle dei siriani, ha alla fine fatto materializzare.
All'Onu Stati Uniti e Russia non sanno più far altro che accusarsi a vicenda. E allora la domanda diventa: quanto potrà durare la battaglia di Aleppo? E quale sarà il suo esito? Dal punto di vista dei rapporti di forza ci sono pochi dubbi: il fronte anti-Assad la battaglia di Aleppo l'ha persa già da tempo. L'ha persa da quando - esattamente un anno fa - la Russia è entrata direttamente in questa guerra per far sì che il governo di Damasco non cadesse. È stato questo a permettere all'esercito siriano - sostenuto da milizie sciite libanesi e irachene - di spezzare l'altro assedio, quello che i ribelli avevano stretto sulla parte ovest della città. Ma il colpo di grazia finale è avvenuto durante questa estate, segnata dal tentato golpe in Turchia: è stato allora che Aleppo est è stata definitivamente scaricata anche da Ankara, molto più interessata a ritagliarsi la sua fascia di sicurezza nel nord della Siria contro i curdi che a combattere una battaglia militarmente ormai impossibile ad Aleppo est. Ed è esattamente quanto sta facendo, al punto da arrivare a concordare con Mosca un modus vivendi tra i propri jet e quelli che vanno a bombardare le postazioni delle formazioni che sarebbero loro alleate. Il tutto mentre Washington è divisa sulla linea da adottare, con i falchi che premono per un intervento (con giochi anche sporchi come il raid «per errore» sull'esercito siriano a Deir Ezzor) ma non sembrano al momento in grado di prevalere.
Il fatto che Assad abbia in mano la battaglia di Aleppo non vuole però dire che sarà breve e indolore. Le battaglie dentro le città sono tutte lunghe e sanguinose, specie se avvengono in quartieri da tempo trasformati in arsenali. E - come ha imparato bene a proprie spese Israele a Gaza - le immagini dei morti e delle distruzioni sono l'arma più importante che chi resiste a un'avanzata ha a disposizione. Abbiamo davanti a noi, dunque, settimane di sofferenze, di orrori, di corpi di bambini straziati ed esibiti davanti alle telecamere. Uno spettacolo disumano che un minimo di realismo da parte delle potenze piccole e grandi che tirano i fili di questo conflitto avrebbe facilmente potuto risparmiare alla Siria.
Anche perché, comunque, l'esito di questa catastrofe ogni giorno che passa assomiglia di più a quello della guerra in Libano. È illusorio pensare che la Siria possa ritornare il Paese di prima: il virus del settarismo non scomparirà da solo; le ferite resteranno e profonde, come le zone di influenza che sotto banco - anche dietro il paravento dell'indivisibilità dei confini - le potenze impegnate in questo conflitto stanno trattando. Il ruolo acquisito da Hezbollah non scomparirà magicamente una volta chiuso questo bagno di sangue; mentre i turchi dicono già senza giri di parole che nel nord della Siria ci rimarranno per anni (mentre la striscia di terra che attraverso le loro milizie hanno occupato si allarga ogni giorno con nuovi villaggi).
«Una resurrezione per i popoli sfiniti dalle bombe», invoca papa Francesco. Agli occhi degli uomini oggi appare quanto mai lontana. Ma è solo un motivo per rendere più intensa la nostra preghiera.