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SCENARI

Portaerei Usa k.o. per il virus, un problema militare

Evacuati nell'isola di Guam oltre 4.000 marinai della portaerei Roosevelt dopo i 155 casi di marinai positivi al Covid-19. Al di là degli scontri politici sulla rimozione del capitano da parte del Pentagono, si pone un problema per gli strateghi militari: la sopravvivenza delle capacità operative in caso di virus. Una questione che riguarda gli scenari di guerra, e non solo.

Attualità 07_04_2020

La Marina americana ha evacuato sull’isola di Guam oltre 4.000 dei 5.500 militari che costituiscono l’equipaggio della portaerei Theodore Roosevelt assegnata con Reagan alla 7^ Flotta del Pacifico. Oltre ai 155 casi di marinai risultati positivi, gli altri verranno tenuti in quarantena nell’isola che ospita una base aerea e navale statunitense. In prospettiva dovrebbero restare a bordo un migliaio di membri dell’equipaggio che si occuperanno della vigilanza e del mantenimento dei sistemi imbarcati, mentre la grande nave viene sanificata e disinfettata.

La notizia ha avuto una vasta eco soprattutto per la rimozione del comandante della Roosevelt, il capitano Brett Crozier, colpevole secondo il Pentagono di non aver gestito adeguatamente l'emergenza poiché aveva scritto una lettera - finita prima sulle pagine del San Francisco Chronicle e poi su tutti i media americani - in cui chiedeva l’evacuazione dell’equipaggio per evitare che l'epidemia dilagasse a bordo. “Non siamo in guerra. Non è necessario che i marinai muoiano. Se non agiamo ora, non riusciremo a prenderci cura adeguatamente dei nostri asset più fidati, i nostri marinai”, aveva scritto il comandante.

Secondo quanto ha scritto il New York Times, Crozier è positivo al Covid-19 come appunto altri 155 membri del suo equipaggio (dato confermato dal Pentagono). Il capitano aveva cominciato a manifestare sintomi ancora prima di essere destituito dal comando. Il segretario della Marina militare, Thomas Modly, ha rimosso Crozier accusandolo di aver fatto trapelare alla stampa la lettera in cui rimproverava al Pentagono di non fare abbastanza per salvare i membri dell’equipaggio. “La lettera ha creato l'impressione che la Marina non stesse rispondendo alle sue richieste, che la Marina non fosse al lavoro, che il governo non fosse al lavoro, ma questo non è vero”, ha spiegato Modly in una conferenza stampa.

La rimozione del comandante della portaerei è entrata brutalmente nel dibattito politico e nella campagna presidenziale, già di fatto in atto, e Crozier è diventato un uomo simbolo per l’opposizione democratica, anche se in realtà l’aspetto più rilevante della vicenda appare quello strategico.

Se 155 marinai positivi a un virus mettono fuori combattimento una delle 10 grandi portaerei statunitensi, allora i pianificatori militari devono porsi un problema diverso, legato alla sopravvivenza delle capacità operative nel caso in cui un virus cominciasse a colpire parte dei militari di un equipaggio o di un reparto militare.

Negli ultimi anni Washington ha concentrato nel Pacifico circa il 60 per cento della sua forza navale per far fronte all’espansionismo cinese sul mare (specie intorno agli arcipelaghi contesi del Mar Cinese Meridionale e Orientale) e alla crisi con la Corea del Nord. L’US Navy è da tempo preoccupata per le capacità sviluppate da Pechino di colpire proprio le portaerei con i missili balistici a raggio intermedio Dong Feng 26, in grado di colpire le flotte statunitensi a oltre 3.000 chilometri dal punto di lancio con oltre una tonnellata e mezza di esplosivo (o con una testata atomica) a una velocità talmente elevata da rendere difficile l’intercettazione da parte delle difese aeree imbarcate.

Il Coronavirus imporrà invece all’US Navy, ma in realtà a tutte le marine e alle forze armate del mondo, di porsi problemi diversi, legati non tanto alle tecnologie hi-tech nemiche quanto alla capacità di mantenere l’operatività di equipaggi e reparti evitando per quanto possibile l’esposizione a contagi o proteggendo meglio la salute del proprio personale. Molto probabilmente il Covid-19 ha colpito l’equipaggio della Roosevelt durante la sosta nel porto vietnamita di Da Nang, dal 5 al 9 marzo, periodo in cui si sono tenute cerimonie e affollati incontri per celebrare i 25 anni della normalizzazione dei rapporti tra Washington e Hanoi, avvenuta nel 1995, vent’anni dopo la caduta di Saigon e la fine della lunga guerra vietnamita (1962-75). A inizio marzo il Vietnam era già preda del contagio proveniente dalla Cina, ma negli Usa la portata della pandemia era ancora ampiamente sottovalutata.

Resta evidente che, in tempo di guerra, navi militari continuerebbero a operare anche con parte dell’equipaggio infetto o malato (e del resto le navi militari possono combattere anche in ambienti contaminati da agenti chimici, biologici o nucleari), ma non c’è dubbio che il virus abbia un effetto negativo sul morale dei militari e lo stop alla portaerei Roosevelt rappresenti uno smacco per la credibilità militare americana.

Non è un caso che un’altra portaerei si stia dirigendo ora dal Golfo Persico verso il Pacifico per prenderne il posto nei ranghi della 7^ Flotta, mentre in Europa e negli Usa il Coronavirus sta ponendo due ordini di problemi agli apparati militari. Da un lato rende necessario il coinvolgimento crescente di reparti aerei, sanitari, logistici, di difesa Nbc (nucleare, biologica, chimica) e altri ancora per supportare sanità e forze dell’ordine nella gestione dell’emergenza; dall’altro impone di preservare il più possibile la salute dei militari per mantenerne le capacità operative. Ciò anche in vista di possibili ulteriori mobilitazioni per far fronte a disordini sociali e rivolte che le conseguenze economiche della pandemia potrebbero innescare.