Popolare di Bari, l'ideologia prevale sulla realtà
Tutto quello che la politica sta dicendo sulla crisi della Banca Popolare di Bari è falso, o quantomeno impreciso. Prima di tutto, non è detto che chi ha gestito la banca lo abbia fatto in modo fraudolento. Secondo: non è la natura giuridica della banca (popolare) ad aver causato la crisi. Terzo: non è un fallimento del mercato.
Nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha deciso di destituire i vertici della Banca popolare di Bari nominando un commissario straordinario per la gestione e nello stesso tempo il Governo ha cercato di evitare il fallimento della Banca con uno stanziamento di 900 milioni di euro a Invitalia, agenzia interamente controllata dal ministero dell’Economia, che verserà al Mediocredito Centrale, banca pubblica che a sua volta rileverà la Popolare di Bari assieme al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.
Tutto è cominciato nel 2010, quando Banca d’Italia ha segnalato l’esito negativo di alcune ispezioni che hanno accertato non soltanto carenze organizzative. In quell’occasione sono emersi i primi rischi di liquidità, evidenziati poi anche nelle verifiche condotte nei due anni successivi. La situazione tuttavia è precipitata negli ultimi mesi dopo ripetuti interventi dell’Authority di vigilanza, la stessa Banca d’Italia.
Come si è arrivati a questa situazione? I commenti si sono focalizzati essenzialmente su tre punti. Primo: la responsabilità è di chi ha gestito la banca. Secondo: il problema sta nel fatto che la Popolare di Bari era appunto una banca popolare. Terzo: siamo di fronte a un fallimento del mercato e quindi lo Stato può e deve intervenire. Tre punti che pur possedendo ognuno un pizzico di verità arrivano a creare un’immagine perlomeno distorta della realtà. Ecco perché.
Sul primo punto saranno i giudici a stabilire le eventuali responsabilità civili e penali di chi ha diretto la banca negli ultimi anni, ma non bisogna dimenticare che le cause delle gigantesche sofferenze bancarie registrate nell’ultimo decennio sono in gran parte dovute alla doppia recessione che ha colpito l’economia italiana a cui si è unito un crollo del mercato immobiliare. Gran parte delle banche hanno stretto i denti e hanno saputo rispondere alle difficoltà, altre più esposte e in zone particolarmente “difficili” hanno avuto maggiori difficoltà fino ad arrivare a vere e proprie crisi.
E qui arriva il secondo punto. Il decreto varato nel gennaio del 2015 dal Governo Renzi prevedeva che le grandi banche popolari dovessero trasformarsi in società per azioni, e nel giro di pochi anni queste banche sono passate sotto il controllo dei grandi fondi di investimento in gran parte esteri. La Popolare di Bari insieme alla Popolare di Sondrio hanno fatto subito appello prima alla Corte costituzionale poi al Consiglio di Stato ottenendo la sospensione delle norme attuative del decreto ed ora il tema è all’esame della Corte di giustizia europea. Ma ci sono tutte le ragioni per credere che se anche fosse diventata una società per azioni Pop Bari non sarebbe sfuggita alla crisi. Sia perché la vigilanza della Banca d’Italia riguarda tutti gli istituti bancari senza alcuna rilevanza della loro natura giuridica. Sia perché la crisi ha toccato banche popolari, oltre alla Bari vi è stato il fallimento delle due banche venete, ma anche di Casse di Risparmio come quella di Genova e di società per azioni come il Monte dei Paschi di Siena.
Il terzo punto riguarda il cosiddetto “fallimento del mercato”. In verità l’esplosione di una crisi potrebbe essere la dimostrazione di un mercato che funziona, di un mercato che mette in luce le inefficienze e premia la sana e prudente gestione di un’impresa. Il sistema bancario è, sia a livello italiano che a livello europeo, uno dei mercati più regolati e controllati. Il mercato vive di regole, ma le regole vanno fatte rispettare soprattutto quando si ha a che fare con una materia delicata come il risparmio. Quindi più che di fallimento del mercato sarebbe opportuno parlare di fallimento delle imprese o di chi ha lasciato che non venissero rispettate le regole.
Alla base di tutto ci sono comunque sempre le scelte delle persone. Il mestiere del banchiere è uno dei più complessi perché si muove sul terreno della fiducia in un mercato, come quello del denaro, in cui dovrebbero essere rispettati non solo gli interessi, ma anche i valori. In caso di crisi lo Stato può e deve intervenire, ma i responsabili e quanti si sono assunti dei rischi (come chi ha sottoscritto azioni che sono per definizione capitali di rischio) devono comunque pagare perché il rischio ha il difetto che ogni tanto si verifica. E poi per non dare spazio a quello che viene definito “azzardo morale”, cioè la possibilità di attuare politiche rischiose perché tanto alla fine qualcun altro pagherà. Alla fine non deve pagare sempre Pantalone.