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grandi opere

Ponte sullo Stretto, piano coi trionfalismi

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Indubbia l'importanza dell'annuncio sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto. Ma il realismo imporrebbe maggiore prudenza. In Italia, la storia delle grandi opere è disseminata di rinvii, ricorsi, proteste, esposti, blocchi amministrativi e contenziosi giudiziari.

Editoriali 08_08_2025

Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina è da decenni uno dei simboli più controversi e divisivi dell’urbanistica e dell’ingegneria italiana, una di quelle opere che sembrano sospese tra mito e realtà, tra sogno infrastrutturale e incubo burocratico. Il recente annuncio del governo secondo cui i lavori per la realizzazione del Ponte dovrebbero partire concretamente nei prossimi mesi e concludersi entro il 2033 ha riacceso il dibattito pubblico, infiammato gli animi della politica e scatenato un’ondata di entusiasmo tra i sostenitori dell’opera.

Tuttavia, proprio questo entusiasmo appare a tratti eccessivo, se non addirittura fuori luogo, alla luce delle incognite che continuano ad avvolgere il progetto. L’annuncio di un’infrastruttura epocale, che collegherà fisicamente la Sicilia al continente attraverso un Ponte sospeso lungo oltre tre chilometri, rappresenta senza dubbio una dichiarazione d’intenti ambiziosa e suggestiva, ma non per questo può essere presa come un fatto compiuto o come una garanzia di successo.

I pro del Ponte sono noti e da tempo sostenuti dai fautori dell’opera: la possibilità di ridurre drasticamente i tempi di collegamento tra Sicilia e Calabria, l’integrazione più solida della Sicilia nei corridoi logistici europei, lo sviluppo economico dell’area dello Stretto, il rilancio del lavoro grazie ai cantieri, il potenziale indotto turistico, la diminuzione delle emissioni legate al trasporto marittimo e su gomma. Secondo questa visione, il Ponte rappresenterebbe non solo un’infrastruttura strategica ma anche un simbolo di modernità, capace di proiettare l’Italia meridionale verso una nuova fase di sviluppo e connessione.

Dall’altro lato, però, ci sono anche criticità che non possono essere ignorate: l’impatto ambientale sul fragile ecosistema dello Stretto, i rischi legati alla sismicità dell’area, le difficoltà tecniche di realizzazione di un Ponte di tale portata, i costi enormi e l’eventuale scostamento dal preventivo iniziale, la dubbia utilità economica in rapporto al flusso reale di persone e merci tra le due sponde, la carenza infrastrutturale nei territori limitrofi che renderebbe il Ponte un’incompiuta senza un’adeguata rete di collegamenti.

In questo quadro complesso e articolato, stupisce che il dibattito politico sia nuovamente scivolato nel terreno del trionfalismo, con dichiarazioni euforiche da parte di alcuni esponenti del governo che sembrano dare già per certo non solo l’inizio dei lavori ma anche la loro conclusione nei tempi previsti. L’annuncio di un taglio del nastro nel 2033, tra otto anni, è stato accolto come un risultato già raggiunto, come se si potesse ignorare la lunga lista di ostacoli che si stagliano all’orizzonte.

Il realismo, invece, imporrebbe maggiore prudenza. In Italia, la storia delle grandi opere è disseminata di rinvii, ricorsi, proteste, esposti, blocchi amministrativi e contenziosi giudiziari. È prevedibile che lo stesso destino toccherà anche al Ponte sullo Stretto, che già nelle prossime settimane sarà al centro di una girandola di opposizioni da parte di comitati civici, ambientalisti, amministrazioni locali contrarie, forze politiche e cittadini preoccupati per le conseguenze dell’opera. A ciò si aggiunge il rischio di ritardi legati alla complessità burocratica e autorizzativa tipica del nostro Paese, nonché alle incertezze finanziarie che potrebbero emergere in corso d’opera.

Non mancano, del resto, precedenti illustri che raccontano come in Italia le grandi opere si trasformino spesso in maratone senza fine. Basti pensare al caso della TAV Torino-Lione, dove da anni si susseguono manifestazioni, blocchi, proteste, scontri, interventi giudiziari, con la presenza costante del movimento No TAV, di associazioni ambientaliste e di una parte dell’opinione pubblica ostile all’opera. Nonostante l’importanza strategica attribuita al progetto, i lavori hanno conosciuto fasi di stallo e momenti di tensione che ne hanno allungato i tempi e aumentato i costi.

È lecito domandarsi se per il Ponte sullo Stretto non si stia preparando un destino simile, con tutte le conseguenze del caso. Ed è altrettanto plausibile immaginare che la scadenza del 2033 possa slittare, magari di molti anni, trasformando l’obiettivo in una chimera. E qui si inserisce anche un’ulteriore ironia della sorte che la politica italiana conosce bene: se davvero, un giorno, il Ponte dovesse essere completato, magari con un ritardo notevole rispetto alle previsioni attuali, a tagliare il nastro e a intestarsi il merito dell’opera potrebbe essere un governo completamente diverso da quello che oggi ne celebra l’avvio. In uno scenario politicamente alternato, non è affatto da escludere che siano proprio le forze di centrosinistra, storicamente più scettiche sull’opera, ma magari spinte dalla volontà di capitalizzarne i risultati, a prendersi la scena nel giorno dell’inaugurazione, rivendicando un’opera che oggi contestano o guardano con sospetto.

Un paradosso che in Italia non sarebbe né il primo né l’ultimo. Tutto ciò non significa che il Ponte sullo Stretto sia necessariamente un progetto da abbandonare o da osteggiare a priori, ma piuttosto che si tratta di un’iniziativa estremamente complessa, la cui realizzazione dipenderà da fattori tecnici, economici, ambientali, giuridici e politici che si intrecciano in maniera intricata. Parlare oggi come se il Ponte fosse già realtà è un esercizio retorico che non tiene conto della storia recente del nostro Paese, né della natura stessa delle opere pubbliche di grandi dimensioni, che richiedono tempo, visione, concertazione e soprattutto stabilità politica e amministrativa. Il rischio è che, ancora una volta, l’Italia si trovi a inseguire una promessa senza riuscire a mantenerla, alimentando aspettative che poi si scontrano con la dura realtà. In questo senso, un po’ di sano realismo sarebbe auspicabile, non per spegnere l’entusiasmo ma per ancorarlo a basi più solide, per evitare che l’ennesima opera annunciata finisca nel limbo delle incompiute o venga completata a distanza di decenni rispetto agli annunci iniziali.

Il Ponte potrebbe essere una grande opportunità, ma potrebbe anche trasformarsi in un enorme boomerang politico, economico e sociale. Meglio allora tenere i piedi per terra e lavorare con concretezza, trasparenza e gradualità, piuttosto che alimentare illusioni che, se disattese, finiranno per minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei grandi progetti di interesse nazionale.