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LA VERITÀ EMERGE

Pma, l’utopia smascherata

I bambini nati da fecondazione artificiale presentano maggiori rischi di prematurità e di disturbi del comportamento, del linguaggio, dell’attenzione, ecc. E i genitori sviluppano una serie di problemi psicologici legati all’uso della Pma. Sono le conclusioni di un convegno di pediatri italiani, che tuttavia non condannano il ricorso alla tecnica. Eppure, alla ribellione alla legge naturale bisognerebbe dire “basta”.

Editoriali 26_01_2020

Verrebbe da gridare “finalmente!” leggendo gli atti del convegno “Procreazione medicalmente assistita: il bambino al centro”, della Società italiana di pediatria (Sip) e del Sindacato italiano degli specialisti pediatri (Sispe) che il 18 gennaio scorso a Roma hanno constatato l’esistenza di una correlazione fra malattie fisiche e psichiche crescenti dei bambini e i nati da fecondazione artificiale.

Teresa Mazzone, presidente del Sispe, ha affermato che il bambino prodotto come merce in laboratorio «potrebbe presentare alcune problematiche specificamente connesse alla possibile prematurità» e «a disturbi minori o maggiori che riguardano il comportamento e le performances, anche scolastiche future». Si parla di «outcome tardivi che riguardano prevalentemente lo sviluppo neurocognitivo: disturbi del comportamento, del linguaggio, deficit di attenzione, iperattività e disturbi dello spettro autistico». Inoltre, «ci sono anche dati sui giovani adulti nati da Pma che hanno dimostrato, ad esempio, maggiori problemi relativi all’ansia e all’assunzione di bevande alcoliche rispetto ai nati naturalmente».

Si direbbe che finalmente le foglie sugli alberi in estate sono state riconosciute come verdi e che la natura non può che ribellarsi se manipolata. Ma c’è un ma. Perché pur ammettendo che il processo innaturale della produzione di persone è da considerarsi un fattore di rischio, i pediatri concludono che, siccome potrebbero esserci anche altre cause (come l’età della madre), la sperimentazione umana può tranquillamente procedere anche se il Registro nazionale sulla Pma dell’Istituto superiore di sanità indica che ormai circa il 3% della popolazione nasce da Pma (2017).

Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva e responsabile del servizio terapie dell’Istituto di Ortofonologia, ha così affermato che «abbiamo il dovere di capire e non di demonizzare questo argomento, di cui è ancora molto difficile parlare», per cui anche Mazzone si guarda bene dal dire che la fecondazione andrebbe evitata. Se mai bisogna «conoscere i possibili rischi collegati a queste metodiche. Difatti è il principale dovere del pediatra: essere consapevole dei rischi, valutare il bambino con attenzione e intervenire precocemente, perché ad alcune di queste criticità giovano moltissimo una diagnosi e un intervento riabilitativo precoce». Insomma, invece che prevenire il danno, si decide di pensare a come mettere delle pezze.

I pediatri dunque non condannano la fecondazione in vitro, pur non potendo evitare di denunciare i danni supplicando le donne di non attendere ad avere figli dopo i 35 anni. Mazzone ha infatti sottolineato che anche se bisognerebbe limitare la Pma «ai casi in cui c’è veramente necessità, le tecniche di fecondazione assistita garantiscono senza dubbio sempre maggiori risultati in termini di gravidanze e di nascite». Come a dire che se i genitori raggiungono lo scopo desiderato (pur in percentuali minime) i bambini passano comunque in secondo piano, sebbene soffrano sindromi psicologico/psichiatriche gravi o siano a rischio vita (con la maggioranza degli embrioni che muore): Di Renzo ha ammesso che «su 100 mila embrioni solo 9 mila nascono», che si «assiste a uno spreco (come fossero beni industriali, ndr) del 91% di embrioni che muoiono e il passaggio più delicato va dallo scongelamento all’inserimento in utero: il 40% degli embrioni muore, infatti, in fase di scongelamento. Ora gli studi puntano a capire cosa succede in questa fase, perché è lì che si determinano anche le mutazioni cromosomiche».

Anche i genitori, però, prima o poi la pagano. Le madri sviluppano problemi psicologici perché «la maternità non viene declinata nella dimensione affettivo-corporea», ha proseguito Di Renzo. Se poi «l’infertilità è un lutto» e «la Pma si è posta come una riparazione immediata» non si permette «alle donne di accedere al dolore. Questa sofferenza non scompare, rimane dentro come una ferita non elaborata ed è molto probabile che alla quarta stimolazione ovarica, ad esempio, ci sia una risposta emotiva molto forte da parte delle donne». Si pensi poi alla soppressione di uno degli embrioni in utero, perché ritenuti eccessivi per la donna, da cui nasce la «“sindrome del sopravvissuto”, che vede la madre considerare l’embrione sacrificato come l’eroe che si è appunto sacrificato per gli altri (sebbene sia stata lei a voler ucciderlo, ndr)… gli altri vivranno nella sua ombra e tale dinamica si ripercuoterà nella relazione, con il rischio di una difficoltà nell’attaccamento nei bambini nati». Nel caso poi «della donazione di ovocita riscontriamo una grande difficoltà delle mamme a dire di averlo ricevuto».

Infine, c’è l’alto rischio di nascita pretermine e ancor peggio il fatto che «da uno stesso gruppo di embrioni possono nascere bambini in momenti diversi: è la sindrome del falso gemello asincrono che crea una dissonanza psichica».

Un panorama tetro se si pensa che la scienza occidentale fino a prima di regimi come quello nazista, che hanno praticato l’eugenetica, non avrebbe mai sacrificato sul suo altare degli esseri umani. Ancor meno se innocenti. Il principio di prudenza vuole infatti che se esiste anche una minima correlazione fra malattie gravi e morte, da un lato, e una certa tecnica, dall’altro, è a questa seconda che bisogna rinunciare. Ma evidentemente stiamo vivendo in un regime simile, se non peggiore, a quelli che tutti amano ancora condannare a parole. Visto che gli adepti del Führer si nascondevano nei campi di concentramento con le loro cavie, mentre oggi tutto si svolge alla luce del sole.

Ecco, se questo è il mondo in cui siamo costretti a vivere, dove il male si fa sempre più legge, d’altra parte la realtà comincia a parlare così forte che l’utopia dell’uomo perfetto in provetta si allontana. Pare così più vicino il momento in cui le tenebre, il dolore, le malattie e la disperazione che si diffondono al crescere della ribellione alla legge naturale (che Dio ha voluto per aiutare l’uomo a camminare nella via stretta ma buona della vita) saranno tali che l’uomo, bramando una luce, dovrà gridare (più che “finalmente!”) “adesso basta!”.