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LA NOMINA

Pizzaballa, il nuovo patriarca latino di Gerusalemme

La nomina a Patriarca latino di Gerusalemme di mons. Pierbattista Pizzaballa per molti fedeli locali e per quelli che in ogni parte del mondo ne seguono, trepidanti, le vicissitudini, è stata una conferma; per altri una inspiegabile “superflua” attesa. Le sue doti di Custode francescano di Terra Santa ne ricevono comunque una conferma. Ecco la sua storia straordinaria.

Ecclesia 25_10_2020
Mons. Pizzaballa

La nomina a Patriarca latino di Gerusalemme di mons. Pierbattista Pizzaballa, avvenuta ieri 24 ottobre, per molti fedeli locali e per quelli che in ogni parte del mondo ne seguono, trepidanti, le vicissitudini, è stata una meritata conferma; per altri una inspiegabile “superflua” attesa. Le sue doti di Custode francescano di Terra Santa, in carica per ben 12 anni (per le unanimi votazioni dei suoi confratelli a ogni rinnovo) e da reggitore per quattro anni, come Amministratore Apostolico, di una delle diocesi più delicate (se non la “più”)  della Cristianità, ne ricevono comunque un riconoscimento, se non un premio. E vanno pertanto evocate, non certo analizzate (impresa non certo esauribile in un articolo giornalistico), perché in esse è la chiave di comprensione della responsabilità piena a cui egli è stato chiamato.

Diocesi “delicata” appunto quella gerosolimitana. Per l’eredità unica – quella dell’Incarnazione, predicazione, Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, il figlio di Dio – di cui è depositaria e per le circostanze storico-politiche, religiose, interreligiose ( le prime, soprattutto, suscitano sempre reazioni molteplici e immediate) con cui ci si deve quotidianamente confrontare. Ben note, basterebbero gli aggettivi appena accennati per dischiudere, ognuno, una serie di realtà e di problematiche che esigono attenzione estrema, conoscenza obiettiva, comprensione, fermezza e prudenza. E grande equilibrio.

Virtù che a Pizzaballa sono state riconosciute, unanimemente. Doni che di solito sbocciano nella realtà ambientale delle famiglie bergamasche (è nato a Cologno al Serio nell’aprile di 55 anni fa) e sono riscontrabili nelle personalità che hanno generato, ammirevoli per operosità e solidità di principi e, in primis, per l’esemplare fede religiosa. Doni che Pierbattista Pizzaballa avrebbe poi modellato nella formazione filosofica e teologica francescana in un’altra regione, l’Emilia-Romagna, conosciuta per la ragionevolezza e la competitività stimolante dei suoi figli e per i suoi  pastori illuminati. Sarà infatti il cardinale Giacomo Biffi a ordinarlo sacerdote a Bologna il 15 settembre 1990.

Ed ecco prender corpo il progetto di Dio: Pizzaballa ha scelto di calare la sua preparazione culturale in Israele; ed è qui che si trasferisce per arricchire non solo gli studi teologici con una specializzazione nello Studium Biblicum, prestigiosa istituzione francescana legata all’Antonianum di Roma, ma per compiere pure quelli dell’ebraico moderno e delle lingue semitiche nell’ormai celebre Università Ebraica di Gerusalemme. Si apre cioè alla realtà odierna della regione, si forma il pastore culturalmente pronto a confrontarsi con essa. Ha i titoli per associarsi nella pubblicazione del Messale Romano in ebraico e per collaborare strettamente con l’abate benedettino Jean-Baptiste Gourion, ebreo convertito, che è il vescovo ausiliare del Patriarca Michel Sabbah (il primo di origine araba) e suo vicario per la comunità cattolica ebreofona.

Minoranza  però in una realtà ecclesiale a maggioranza araba, per lingua, quadri, strutture e tradizione. E che da  mezzo secolo è nel vortice delle rivendicazioni nazionali e delle passioni politiche, anche della violenza, delle guerre, delle intifade, quindi dei lutti, degli odi.  È una strada nuova, difficile, per la Chiesa gerosolimitana da dover percorrere nel momento in cui Israele cresce, si espande in una terra contesa, rivendicata dai nuovi arrivati, difesa dai suoi abitanti arabi, che ne rivendicano una secolare esclusività. Soprattutto perché Israele continua ad essere aperta, e sempre più, all’alya, cioè all’immigrazione ebraica, divenuta particolarmente  intensa dalla dissolta Unione Sovietica (ma parecchie famiglie hanno dei componenti di religione cristiana, sovente sottaciuta) e accoglie pure migliaia di collaboratori domestici filippini, quasi tutti fedeli cristiani.
È pure il momento in cui il domenicano padre Marcel Dubois illustra, come docente di filosofia e poi decano della facoltà, l’Università Ebraica; e il suo confratello padre Bruno Hussar rende celebre Nevè Shalom, il villaggio dell’esemplare convivenza di famiglie cristiane, ebraiche e musulmane. E nel quale si consolidano le comunità cattoliche di espressione ebraica non solo a Gerusalemme ma anche a Tel Aviv, Haifa e Beersheva.

La Custodia Francescana non resta indietro. Si è appena concluso il Grande Giubileo dell’Anno 2000 -  e Gerusalemme è stata con Roma l’“altro polo” delle celebrazioni -  che avanza al patriarca Sabbah la richiesta di costituire nella città una parrocchia per i cattolici di lingua ebraica dedicata ai santi Simeone ed Anna. Subito esaudita, il suo primo vicario sarà proprio il superiore del convento omonimo, padre Pierbattista Pizzaballa, che l’anima e la sviluppa, come posso testimoniare personalmente, essendovi stato da lui accolto nel tempo del mio servizio al Patriarcato Latino. Una esperienza però di breve durata, perché nel 2004 egli viene scelto, per quasi unanime elezione, Custode di Terra Santa, successore di padre Giovanni Battistelli.

Non fu per nulla una sorpresa. Padre Pizzaballa si rivelerà come il leader più adeguato al tempo per guidare un’istituzione orgogliosa della sua storia (risale al 1217 la fondazione della Provincia francescana che assumerà il nome di Custodia nel 1263); eroica fino al martirio di parecchi suoi frati nella testimonianza del Vangelo; forte ma sovente penalizzata e amareggiata dal confronto con il potere politico ottomano e con i Patriarcati ortodossi greco e armeno; impegnata nell’accoglienza dei pellegrini di ogni tempo; gelosa dei privilegi ricevuti nei secoli dal Papato, ma non dimentica, pur nell’obbediente  accettazione, della perdita di parecchie sue acquisite prerogative con la ricostituzione del Patriarcato Latino nel 1847.

È quest’ultima una pagina importante nella storia di Terra Santa, scritta il 23 luglio di quell’anno da da papa Pio IX con la Nulla celebrior (il documento aveva inizio con queste parole riferite alla “più celebre” città del mondo, Gerusalemme) per far fronte a circostanze di ordine politico e religioso collegate all’interesse delle Grandi Potenze per il Vicino Oriente, e manifestate dalla Russia e in Inghilterra e Germania. Il Patriarca Latino mancava dall’epoca dei Crociati che nel 1099 designarono il primo, mentre l’ultimo dimorò a San Giovanni d’Acri fino alla caduta della città assediata dai musulmani nel 1291. Da quel secolo fino a metà Ottocento furono i Custodi francescani a supplire all’autorità di un Vescovo della Chiesa cattolica, nella cura dei fedeli e nell’accoglienza dei pellegrini. Ed anche nell’investitura dei cavalieri, annotandone ogni celebrazione.

Le preoccupazioni del primo Patriarca, il diplomatico mons.Giuseppe Valerga, furono di attuare le volontà di papa Mastai Ferretti, con l’approntare una sede, formare i quadri della vasta arcidiocesi (si estende fino alla Giordania e a Cipro), assicurare ad essa il sostegno finanziario del ricostituito Ordine Equestre del Santo Sepolcro. Ma ben presto emergerà la problematica cura dei fedeli e l’inevitabile confronto-scontro tra le parrocchie e le strutture pastorali e assistenziali dei francescani, santuari e scuole, più evidenti in città come Nazaret e Betlemme.

Nel tempo tutto si è composto e la competizione non ha conosciuto più attriti. Grazie al fatto che la Santa Sede è intervenuta autorevolmente (fra l’altro disponendo la colletta del Venerdì Santo a favore della Custodia di Terra Santa) e per due volte ha posto a guida del Patriarcato dei Custodi francescani. Sarà infatti padre Luigi Piavi a traghettare il Patriarcato dal 1889 ai primi cinque anni del Novecento e padre Alberto Gori a gestire il secondo dopoguerra (dal 1949 al 1970) con il primo pellegrinaggio di un papa, Paolo VI, a Gerusalemme, e soprattutto con la riorganizzazione dell’Ordine del Santo Sepolcro (nomina di un cardinale a Gran Maestro; per diritto Gran Priore il patriarca di Gerusalemme; sede dell’istituzione in Vaticano). Oggi Gran Maestro è il cardinale Fernando Filoni, che era Nunzio in Giordania quando padre Pierbattista Pizzaballa veniva eletto per la prima volta Custode francescano.

Con padre Pizzaballa è la terza volta che un Custode francescano viene scelto dal Papa come Patriarca di Gerusalemme. Ma dopo essere stato impegnato, provvisoriamente e per ben quattro anni dal 2016, come Amministratore Apostolico e con la dignità episcopale legata alla sede titolare di Verbe. In teoria poteva essere revocato dall’incarico, che gli era stato conferito a seguito delle dimissioni per limiti di età del giordano mons. Fouad Twal, successore del patriarca arabo (nato a Nazaret, oggi israeliana) Michel Sabbah. Con Pizzaballa si interrompe così l’esperienza di due personalità del Vicino Oriente e il ritorno di un italiano alla guida del Patriarcato.

Forse fra queste riflessioni si potrebbe trovare la ragione della non immediata nomina di Pizzaballa a Patriarca, per quanto le decisioni del Santo Padre siano protette dalla riservatezza. È opinione diffusa che egli saprà stare fermamente al timone della barca di Pietro e degli Apostoli nelle circostanze odierne, svilupperà e migliorerà le relazioni con le altre confessioni cristiane, e soprattutto con i patriarcati ortodossi, greco (che per meriti ecumenici gli ha conferito un’onorificenza) e armeno, ovvero con i privilegiati comproprietari delle Basiliche del Santo Sepolcro e della Natività. La grande attesa dei cristiani tutti è per l’unificazione delle date del Natale e della Pasqua, rappresenterebbe una visibile testimonianza della comune fede.

Grande fiducia si ha infine in Pizzaballa nel mantenimento, anche attraverso il dialogo interreligioso, di buone relazioni sia con Israele sia con tutte le nazioni musulmane della regione. Le vicende belliche di questi ultimi anni hanno visto una decimazione e dispersione dei fedeli cristiani, una polarizzazione dell’atavico conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, l’intromissione nella regione di potenze vicine, come la Turchia e l’Iran, e distanti, come la Russia. Uno scenario inquietante, che esige, soprattutto, una più assidua preghiera e un pìù solidale aiuto a chi soffre.