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Neonato salvato a milano

Pietas e resurrezione: cosa ci dice la storia di Enea

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Enea, il neonato salvato dalla culla per la vita di Milano ci racconta una storia di civiltà e amore nonostante il dramma dell'abbandono di una madre. La pietas che fa capolino nel giorno di Resurrezione è quello che ci voleva dopo giorni di estenuante dibattito sull'utero in affitto e sui desideri camuffati da diritti. 

Editoriali 11_04_2023

Lo ha chiamato Enea, come il nostro progenitore, l’eroe virgiliano, l’esempio classico della pietas di un popolo. La mamma ha scritto un bigliettino di presentazione e poi lo ha adagiato nella culla per la vita della clinica Mangiagalli di Milano. E il fatto che la scoperta sia avvenuta la mattina di Pasqua non può non farci tornare a una storia di resurrezione.

Il piccolo sta bene e se la madre non tornerà a reclamarlo per lui cominceranno le pratiche per renderlo adottabile. Intanto inizierà un percorso di affidamento presso una delle famiglie che si sono rese disponibili a effettuare un affido in emergenza. Ma la sua storia va al di là delle strettoie burocratiche dei servizi sociali.

È stato strappato alle fauci dell’aborto grazie ad una madre che pur nel dramma dell’abbandono lo ha portato in grembo fino a fargli vedere la luce. Prim’ancora che dalle strutture socioassistenziali che si prenderanno cura di lui, Enea è stato amato per nove mesi dalla sua mamma. Quel che è successo dopo e del perché subito dopo averlo partorito abbia deciso di abbandonarlo non ci riguarda.

Quel che ci riguarda è che grazie a quell’amore iniziale, Enea oggi potrà vivere ed esercitare il primo diritto di cui un uomo può disporre: quello alla vita.  

È una storia che ci rimanda alla ruota degli esposti, che dal medioevo in poi ha segnato una netta demarcazione tra una civiltà pagana che eliminava i propri figli non desiderati e la civiltà cristiana che è diventata il vertice del rispetto dei diritti umani grazie alla pietas di cui era portatrice.

È la stessa pietas che si vuole negare oggi nella civiltà dei desideri camuffati da diritti. Veniamo da giorni in cui abbiamo visto all’opera a che cosa può portare l’egoismo umano. Dal caso della “mamma-nonna” spagnola, che ha “fabbricato” un figlio-nipote solo per egoismo fino agli estenuanti dibattiti sull’utero in affitto. Tutto in questi giorni ci rimanda alla pretesa dell’utero in affitto: abbiamo conosciuto il catalogo commerciale con tanto prezzi e book fotografico del colore della pelle; abbiamo dovuto ascoltare le folli giustificazioni della comunità Lgbt che non sa nulla della paternità e della maternità, ma vuole appropriarsene col ghigno beffardo dei bravi di manzoniana memoria; ci siamo dovuti sorbire le estenuanti parole al vento di politici cinici pronti a giustificare la fabbricazione degli esseri umani per soddisfare una sterile onnipotenza violenta.

E oggi, di fronte al caso di Enea, leggiamo che c’è chi si stupisce che le donne non sappiano ancora che si può partorire in anonimato, senza dover ricorrere alla pratica della culla degli esposti come se si trattasse di una pratica barbara. Se tutto è orientato all’aborto e se l’aborto è la prima strada che si prospetta alle donne nei consultori di fronte ad una gravidanza indesiderata, inutile stupirsi che le donne non sappiano che possono partorire in anonimato. Se le donne non sanno della possibilità del parto in anonimato è perché la cultura della vita è ancora ostracizzata nelle strutture sociosanitarie.

La culla per la vita, che a Milano è stata attivata solo tre volte, nel 2012, nel 2016 ed oggi, ci dice invece che la pietas di una civiltà matura e responsabile passa anche da questo estremo rifugio dopo il quale – la cronaca ce l’ha mostrato più volte – c’è il cassonetto.

Enea un giorno, finalmente grande, potrà leggere il bigliettino che la sua mamma ha scritto per assicurarsi che la morte non lo inghiottisse, e anche se abbandonato saprà che la sua mamma ha fatto tutto quello che umanamente nelle sue condizioni poteva fare per assicurargli una vita.

Non come un bambino prodotto dall’egoismo di un mercato, spacciato come dono e separato dalla mamma resa schiava di un meccanismo diabolico. Sono entrambe storie di abbandono, ma nella storia di Enea, la pietas che lo ha avvolto come prima coperta della sua fragile esistenza, è indice di un amore sofferto e imperfetto, ma reale, soffocato da un dramma nascosto, ma presente.

Nella narrazione politicamente interessata dell’utero in affitto mancano proprio quella pietas e quell’amore che rendono una civiltà degna di essere definita tale.