Pierre Gaxotte, uno studioso contro il giacobinismo
Il suo imprescindibile
La rivoluzione francese, pubblicato originiariamente nel 1929, è un classico Mondadori.
Titolo laconico, scrittura essenziale, verità nuda e cruda. L’Ottantanove è la fonte dei mali ideologici e ideocratici moderni.
Benemeritamente, la milanese Mondadori ha ristampato La rivoluzione francese. Dalla presa della Bastiglia all’avvento di Napoleone, di Pierre Gaxotte.
Nato il 19 novembre 1895 a Revigny-sur-Ornain, nel dipartimento della Meuse, nella Francia nordorientale, Pierre Gaxotte entra à l’École normale supérieure nel 1917. Nel 1920 vi consegue l’agrégation in Storia che, nel sistema scolastico francese, consente l’accesso alla docenza nel settore pubblico, mentre contemporaneamente ottiene una licenza in Scienze. Professore di liceo, stringe amicizia con Joseph Arthème Fayard (1866-1936), figlio del fondatore dell’omonima e prestigiosa casa editrice francese - Joseph-François Arthème Fayad (1836-1895) -, attraverso il quale viene presentato a Charles Maurras (1868-1952), il noto intellettuale della Destra monarchica e fondatore dell’Action française, di cui diventerà segretario.
Nel 1894, infatti, Fayard figlio, subentrato al padre nella direzione della maison, sposta gl’interessi della casa editrice dalla letteratura popolare ad autori decisamente conservatori come Maurice Barrès (1862-1923) e cattolici quali Paul Bourget (1852 -1935). Accanto a ciò, Fayard si lancia pure nell’affascinante mondo del feuilleton - un genere all’epoca popolarissimo, anzi pop -, monopolizzandone presto il mercato grazie al successo dei 32 romanzi della serie Fantômas, personaggio ideato nel 1911 da Marcel Allain (1885-1969) e da Pierre Souvestre (1874-1914), al centro pure di altri 11 romanzi composti poi dal solo Allain oramai "vedovo" di Souvestre. A Fayard si deve peraltro anche il lancio mondiale delle opere del prolifico scrittore belga Georges Simenon (1903-1989), padre del commissario Maigret.
Ebbene, alla ricerca costante di nuovi spazi editoriali e sempre al centro di coraggiose operazioni culturali, nel 1920 Fayard crea la collana "Grandes Études historiques" e ne affida la direzione a Gaxotte.
Fayard non è un editore neutro. Ha la netta percezione che la narrazione della storia - scritta sempre dai vincitori - e la produzione culturale - appannaggio di chi detiene il potere - necessiti, soprattutto del suo Paese, la Francia, emendamenti fondamentali rispetto ai cliché dominanti in cui trionfa la vulgata repubblicano-laicista e lo spirito massonico liberal-socialisteggiante. Per questo mette la propria casa editrice al servizio di una imponente opera revisionista che, coscientemente, concede ampi spazi all’ambiente umano, politico e culturale in quel contesto maggiormente dotato degli strumenti intellettuali adatti a rompere il monopolio del "pensiero unico": la Destra, di cui proprio Gaxotte è un esponente noto.
DENTRO UN VESPAIO, CON CORAGGIO
Ora, la Destra in Francia è un vero dedalo. Ai tempi di Gaxotte e di Fayard è la sovrapposizione di anime diverse, persino di "correnti" contrastanti. In essa confluiscono, un po’ alla rinfusa, orientamenti e ispirazioni anche molto distanti tra loro, dai monarchici legittimisti ai cosiddetti orleanisti, dagli eredi del bonapartismo e quelli dello spirito vandeano, dai cattolici fedeli al Soglio di Pietro ai positivisti conservatori convinti che la religione - il cattolicesimo - svolga una essenziale funzione sociale di reazione e di supporto all’ideale monarchico teorizzando però che non è necessario crederci davvero (Maurras fu uno di loro, ma non così tutta l’Action française). Una Destra, insomma, in cui convivono, pur se a fatica, una "vera Destra" e una "Sinistra della destra", quest’ultima essendo la somma - direbbe il più importante pensatore contro-rivoluzionario del secolo XX, il brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) - di molte "false destre".
Il vizio di fondo degli ambienti più discutibili - e talora francamente impresentabili - di quella galassia è del resto il nazionalismo, sovente smaccato, che, nonostante una certa retorica ivi diffusa, è ideologia tra le ideologie. Per questo, infatti, alcuni di quegli ambienti finiranno per guardare con favore e dunque per affiancare i movimenti nazionalistici europei dell’epoca, sfociati poi in movimenti e in regimi fascisti (o fascistici). Del resto, nel brodo di cultura da cui nasce il "mussolinismo" - prima ancora del vero e proprio fascismo italiano - vi sono cospicui ingredienti francesi, dal sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel (1847-1922) al cosiddetto "boulangismo" (dal nome del generale Georges Boulanger, 1837-1891), vale a dire il movimento di opposizione che ,tra il 1886 e il 1889, accarezzò l'idea del golpe nazionalista.
Gaxotte però no. Aveva idee più chiare. Nuotò in quel mondo, militò tra i maurassiani, partecipò alle attività editoriali di Fayard che fiancheggiavano la "rivoluzione nazionale" auspicata dal leader dell’Action française, diresse i due settimanali politico-letterari lanciati dall’amico Arthème - Candide e Je suis partout, quest’ultimo divenuto, dopo la "gestione Gaxotte", persino antisemita -, eppure non vi annegò mai. Gaxotte è stato infatti uno di quegli uomini di cultura e di scienza che non hanno mai disdegnato l’impegno politico, né nascosto le proprie idee controcorrente, ma che di certi ambienti hanno più che altro cercato di servirsi: per fare del bene e per indirizzare, anche a costo del fallimento.
Non scordiamo, del resto, che il privilegio offerto dal riflettere su determinati fatti a distanza di tempo è negato a chi i fatti li vive quando essi accadono. E che se questo certamente non assolve mai dalle responsabilità personali, altrettanto certamente non carica gli uomini liberi degli errori commessi da altri, anche magari molto prossimi. Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) - per non citarne che uno - subì fortemente, all’inizio, il fascino del fascismo italiano; e suo cugino Arthur Kenneth Chesterton (1896-1973) fu invece smaccatamente fascista, antisemita e in collusione intellettuale con i nazisti. Per l’Action française di Maurras passarono comunque moltissimi intellettuali cattolici francesi certo non sospetti: il più noto di tutti fu il filosofo Jacques Maritain (1882-1973), che come molti altri poi se ne staccò, ma come scordare che in morte di Maurras tra i suoi laudatores figurò pure il Nobel T.S. Eliot (1888-1965)?
FUORI DAL CORO, MA RISPETTATO
Del resto, la stoffa cattiva da cui sono state ritagliate tutte le derive inaccettabili di quegli ambienti recano indelebile la lettera scarlatta del supremo vizio d'Oltralpe: la Rivoluzione Francese (1789-1815, a voler, correttamente, considerare come parte integrante di essa pure l’"età napoleonica", 1799-1815, con Gaxotte oltre Gaxotte), quella preparata dai cattivi pensieri illuministi e realizzata dai crimini giacobini. Nasce lì nazionalismo, e nascono lì pure il positivismo, il laicismo, il repubblicanesimo "delle logge" o, in alternativa, il monarchismo fine a se stesso, immemore della monarchia tradizionale cristiana. Per la Francia, patria di quella che l’anarco-comunista russo Pëtr A. Kropotkin (1859-1914) chiamava entusiasticamente «Grande Rivoluzione» - la quale, insegnava il socialista (vandeano…) Georges Clemenceau (1841-1929), non si può sezionare: o la sia abbraccia tutta, come faceva lui, o la si rigetta in blocco -, si tratta di un nodo psicologico enorme.
L’opera dunque di uno studioso serio e rispettato, nonostante cantasse fuori dal coro, qual è Gaxotte è provvidenziale. Tra gli studi da lui pubblicati certamente sono fondamentali La Révolution française (1928), Le Siècle de Louis XV (1933), La France de Louis XIV (1946) e Histoire des Français (1951). Gli ultimi tre sono un vero e proprio gesto d’intelletto d’amore per la monarchia francese e, nell’ottica dell’autore, costituiscono la pars costruens del suo intero impianto culturale, la risposta al "perché no il 1789". In questo rivelano, oltre a numerosi spunti importanti, anche un limite: corrono il rischio di appiattire la critica alla Rivoluzione Francese sull’apologia del cosiddetto Antico Regime (secoli XVI-XVIII), benché forniscano strumenti preziosissimi per smontare certi falsi miti che circolano su quell’ampio periodo storico.
Imprescindibile, invece, il primo titolo di quel poker, quello che appunto fu tradotta da Rizzoli nel 1949, nella popolarissima ed economica collana "BUR", quindi rilanciato da Mondadori nel 1989, anno di "Bicentanaire", e oggi rieditato. L’essere di destra e risolutamente antirivoluzionario non ha cioè marchiato Gaxotte d’infamia in un Paese, come il nostro, a lungo dominato dalla cultura di sinistra; né, nel suo, gli ha impedito di essere nominato alla prestigiosa Académie française, il 29 gennaio 1953 (vi entrò poi ufficialmente il 29 ottobre successivo).
UN ANTIDOTO IMPRESCINDIBILE
Gaxotte, insomma, che dopo la guerra scrisse regolarmente per Le Figaro e che il 21 novembre 1982, a Parigi, è passato a miglior vita, resta imprescindibile per comprendere cosa davvero è avvenuto a partire dal 1789. Egli compose quella sua opera decisiva in un’epoca in cui imperava la "Rivoluzione alla Sorbona" - come l’ha definita François Furet (1927-1977) -, ovvero quando la versione ideologica della vicenda, alimentata dalla storiografia comunista eletta a storia ufficiale, si era intronizzata sullo scranno più alto e ufficiale dell’erudizione non solo francese. In quella temperie, Gaxotte ebbe il coraggio di raccontare che la "Presa della Bastiglia" fu un non-evento (lo ha dovuto riconoscere, anni dopo, pure uno storico del PC francese come Michel Vovelle); che la "cospirazione delle potenze reazionarie" con cui si volle gettare una nazione in una guerra rovinosa non vi fu mai; che il "complotto di preti & aristocratici" non venne mai ordito; e che invece l’odio strutturale alla Chiesa, i molti massacri gratuiti, la distruzione di una plurisecolare tradizione socio-culturale intrisa di cattolicesimo e la devastazione socio-economica dell’ex "figlia primogenita" della Roma petrina furono l’obiettivo unico dell’Ottantanove.
Gaxotte revisionò la sua opera principale nel 1947 e ancora nel 1970. Evidente nelle sue pagine è l’impronta del sociologo cattolico e legittimista Augustin Cochin (1876-1914), a lungo snobbato ma finalmente rivalutato da Furet per quel suo talentuoso avere individuato che furono le cosiddette "società di pensiero" prerivoluzionarie a stravolgere la mentalità e il pensiero dei francesi. Né mancano i classici del pensiero conservatore e antirivoluzionario, non solo francesi, come pure l’obiettiva valutazione dei dati messi a disposizione dai grandi vati della storiografia filorivoluzionaria, Albert Mathiez (1874-1932), Georges Lefebvre (1874-1959) e Albert Soboul (1914-1982).
Gaxotte è insomma un grande antidoto ai troppi veleni culturali diffusi sin dai banchi delle scuole su un argomento cruciale. Il suo La rivoluzione francese si legge come un romanzo - una volta tanto è vero -, privo di note e di bibliografia qual è. Non per ignoranza o per censura, ma per adesione a un genere letterario di "storiografia anche polemica" del resto assai praticato quando l’opera apparve per la prima volta a stampa. Ecco, il nostro palato odierno più sensibile al dubbio vorrebbe riferimenti, rimandi, pezze d’appoggio. Più che giusto. Per questo sarebbe stato bello che questo Gaxotte classico, oltre a essere ristampato, fosse stato pure riproposto in una edizione annotata, per esempio sul modello di quella stabilita dal grande accademico Jean Tulard e pubblicata dalle Éditions Complexe a Bruxelles nel 1988.