Piccoli passi, grandi vittorie per le donne musulmane
In un mondo in cui le donne sono prive di diritti, piccole conquiste appaiono come grandi vittorie. Così è una vera rivoluzione, in Arabia Saudita, il permesso per una donna di guidare un'auto, il diritto delle indiane musulmane a non essere ripudiate dai mariti e l'eliminazione della dichiarazione di castità nel passaporto del Bangladesh
È difficile immaginare la vita nelle società che stentano a riconoscere l’esistenza di diritti inerenti alla persona umana, universali e inalienabili. Soprattutto è difficile capire che atti per noi devianti – discriminazioni, limitazioni alla libertà, violenze fisiche e morali – vengono invece compiuti perché sono consentiti e persino prescritti. Non a caso molte sono istituzioni che riguardano le donne, spesso delegate ai famigliari, create per assicurare su di esse un ferreo e permanente controllo: matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, omicidi d’onore... Quando ne giunge notizia nel mondo libero, suscitano scandalo, muovono a compassione per le vittime, a rabbia per chi le impone. Ma ancora non fanno immaginare appieno le umiliazioni, i divieti, gli abusi che mortificano le donne ogni giorno della loro vita, ne immiseriscono l’esistenza dalla nascita alla morte.
Tre conquiste conseguite di recente dalle donne musulmane in tre diversi paesi aiutano a farsene un’idea. Il 2 agosto in Arabia Saudita è stato pubblicato un decreto reale che autorizza le donne “come ogni altro cittadino” a chiedere il passaporto senza essere obbligate a ottenere prima l’autorizzazione dall’uomo che è loro tutore e a viaggiare da sole al compimento del 21° anno. Il decreto le autorizza inoltre a registrare la nascita dei figli, l’atto di matrimonio o di divorzio. Infine ne amplia la possibilità di lavorare. Nel 2017, con una storica riforma, le donne saudite hanno anche ottenuto il diritto di guidare la macchina, al termine di una lunga battaglia. Nel 2018 sono state consegnate le prime patenti nella storia del paese. La portata di queste conquiste è grande. Tuttavia i sauditi dal 2011 hanno a disposizione Absher, un servizio elettronico, e dal 2015 anche una app, per accedere ai servizi del ministero dell’interno. Grazie a questa piattaforma governativa, un uomo inserendo i dati di una donna sotto la sua tutela – madre, moglie, figlia, sorella … - può bloccarne ad esempio il passaporto, controllare la banca dati nella quale sono riportati i suoi spostamenti e altre informazioni sul suo conto, ricevere notifiche ogni volta che la donna usa il proprio passaporto.
Un altro passo avanti riguarda le donne musulmane che vivono in India. Il 30 luglio il parlamento indiano ha approvato una legge che vieta il ripudio previsto dalla legge coranica noto come talaq o “triplo talaq”. Questa istituzione prevede che per sciogliere un matrimonio è sufficiente che un uomo ripeta per tre volte “ti ripudio”. Consente pertanto ai mariti di liberarsi di mogli non più gradite rapidamente e senza spese. In origine era richiesto un certo intervallo tra una formula e l’altra, ma ormai il ripudio è considerato valido anche se la formula è ripetuta, a voce o per iscritto, tre volte consecutivamente. Addirittura i saggi dell’Islam discutono se il ripudio possa essere comunicato via cellulare e, in tal caso, se basti un messaggio scritto o vocale con “ti ripudio” ripetuto tre volte o si debbano inviare tre distinti messaggi. La legge approvata dal parlamento indiano oltre a proibire il talaq impone ai musulmani di sostenere finanziariamente le ex mogli e assegna a queste ultime la custodia dei figli.
Il primo ministro Narendra Modi dopo il voto si è congratulato con i parlamentari: “una pratica arcaica e medievale è stata finalmente confinata nella pattumiera della storia – ha detto – il parlamento abolisce il “triplo talaq” e corregge un errore storico commesso nei confronti delle donne musulmane. Questa è una vittoria della giustizia di genere e favorirà ulteriormente la parità sociale. Oggi l’India esulta!”.
Nel 2016 l’associazione di donne musulmane Bharatiya Muslim Mahila Andolan aveva presentato una petizione alla Corte suprema che nel 2017 ha definito l’istituzione incostituzionale rinviando quindi la questione al parlamento. Le comunità islamiche hanno fortemente osteggiato la legge e hanno tentato di impedirne l’approvazione sostenendo che si trattava di una interferenza indebita nella vita della minoranza islamica.
Infine il 25 agosto in Bangladesh, le donne musulmane hanno conseguito un’altra significativa vittoria. Con una sentenza dell’Alta Corte è stato eliminato l’obbligo per le donne di dichiararsi nel certificato matrimoniale “vergini” nel caso siano al primo matrimonio. La norma, spiega l’agenzia di stampa AsiaNews, risale all’epoca in cui il Bangladesh faceva parte del Pakistan (la secessione si è verificata nel 1971). D’ora in poi entrambi i coniugi dovranno compilare il certificato di nozze con l’indicazione: “non sposato/a”, “vedovo/a” o “divorziato/a”. I portavoce delle associazioni che si sono battute per l’eliminazione della parola “vergine” definiscono la sentenza un evento storico: “Volevamo uguali diritti e li abbiamo ottenuti – ha dichiarato Ayshya Akter, legale dell’associazione Bangladesh Legal Aid and Service Trust – abbiamo vinto. La discriminazione è stata rimossa dal certificato di matrimonio, considerato sacro per la vita coniugale. Al tempo stesso, ora anche lo sposo dovrà fornire le proprie informazioni sullo stato civile”. Non pochi uomini invece deplorano la sentenza: adesso le donne “condurranno una vita disordinata”.