Petrolio dall'Isis in cambio di armi Ecco la verità
Stupisce alquanto che il mondo mostri sorpresa di fronte alle prove esibite da Putin che dimostrano come lo Stato Islamico venda soprattutto in Turchia il petrolio che estrae dai pozzi occupati in Iraq e Siria. Un aspetto noto a tutti da oltre un anno ed emerso prepotentemente persino prima che Abu Bakr al-Baghdadi proclamasse il Califfato.
Non stupisce che Vladimir Putin intenda far pagar caro a Recep Tayyp Erdogan l’abbattimento del Sukhoi 24 lungo i confini turco-siriani. Non sorprende neppure che intenda farlo colpendo duro la credibilità stessa del “sultano” turco sostenuto dal Qatar e dagli Stati Uniti e al cui cospetto la Ue si inginocchia pagandogli miliardi di euro dopo che Ankara ha orchestrato e diretto i flussi migratori illegali che hanno sommerso negli ultimi mesi l’Europa.
L’aspetto più curioso è in realtà che il mondo mostri stupore di fronte alle prove esibite da Mosca che dimostrano come lo Stato Islamico venda soprattutto in Turchia il petrolio che estrae dai pozzi occupati in Iraq e Siria. Un aspetto noto a tutti da oltre un anno ed emerso prepotentemente persino prima che Abu Bakr al-Baghdadi proclamasse il Califfato. Il ministero della Difesa russo ha accusato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la sua famiglia di comprare petrolio dall'Isis, di inviare al gruppo armi e munizioni e di addestrare combattenti jihadisti sul suo territorio. «Nessuno ha il diritto di calunniare la Turchia accusandola di comprare petrolio dall'Isis», ha risposto Erdogan che però aveva fatto però arrestare i giornalisti che avevano esibito video che provavano la copertura dei servizi segreti di Ankara alle forniture militari transitate dal confine turco e dirette alle milizie jihadiste dello Stato Islamico e del Fronte al-Nusra.
Tra il 2012 e il 2014 persino documentati reportage dei più grandi media internazionali avevano rivelato, citando testimoni, i traffici di armi dirette in Siria dalla Turchia dove atterravano aerei cargo provenienti da Qatar e Arabia Saudita carichi di armi per i ribelli jihadisti in Siria. «Abbiamo le prove dei traffici della famiglia Erdogan», ha detto il viceministro della Difesa Anatoli Antonov, citando immagini satellitari che mostrerebbero centinaia di autocisterne turche attraversare i confini attraverso tre rotte. «Nella prima il greggio comprato vicino Raqqa, in Siria, arriva ad Azaz, e passa il confine a Reyhanli; la seconda parte dalla provincia siriana di Deir Ez-zourin e passa il confine a Al-Qamishli per terminare nella città di Batman; la terza unisce l'est della Siria e l'ovest dell'Iraq fino alla punta sud-orientale della Turchia».
«Comprano 200.000 barili al giorno», sostiene Antonov, «alcuni carichi sono destinati al mercato domestico e altri esportati attraverso al porti nel Mediterraneo di Iskenderun e Dortyol». Non solo, Mosca accusa Ankara di inviare armi ai terroristi. Secondo il capo del Centro nazionale per la difesa, Mikhail Mizintsev, «nell'ultima settimana sono passati dalla Turchia alla Siria 2.000 militanti, più di 120 tonnellate di munizioni e circa 250 veicoli destinati all'Isis e alle unità di Jabhat al-Nusra. E la prossima settimana divulgheremo le informazioni sui quantitativi e le rotte usate dalla Turchia per inviare all'Isis armi, munizioni, componenti di esplosivi, sistemi di comunicazione e sull'addestramento di militanti in territorio turco».
Mosca sostiene inoltre che «solo nell'ultima settimana», hanno raggiunto i gruppi dell'Isis e dei qaedisti di al-Nusra «fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto». Il vice capo di Stato maggiore russo, generale Serghiei Rudskoi, ha assicurato che i raid aerei russi in Siria iniziati il 30 settembre scorso hanno già dimezzato i proventi incassati dal Califfato, da tre milioni di dollari al giorno a 1,5, distruggendo «32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne». Finora, infatti, la Coalizione a guida statunitense non aveva mai attaccato le autobotti per non provocare vittime civili (i conduttori dei veicoli) ma, guarda caso, ha cominciato a farlo una settimana or sono, dopo i russi, distruggendo 283 autocisterne dell'Isis in Siria.
Lo ha riferito il portavoce del Pentagono Jeff Davis precisando che gli attacchi sono stati preceduti da avvisi per i camionisti di mettersi al riparo. «Non consideriamo i camionisti come fossero jihadisti», ha detto Davis, «vogliamo agire con umanità, senza causare vittime civili». Gli Stati Uniti ritengono che l'Isis si finanzi con il petrolio, per una cifra pari a circa un milione di dollari al giorno, ma il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner ha respinto «categoricamente l'affermazione che il governo turco sia in combutta con l'Isis per contrabbandare greggio dentro i suoi confini». Eppure, se per oltre un anno il Pentagono ha evitato di colpire le autobotti che trasportavano il petrolio estratto nei pozzi siriani e iracheni in mano al Califfato, significa che aveva piena consapevolezza dei traffici in atto e diretti per lo più in Turchia anche se una parte di quel greggio è stata trafficata in Giordania e una parte è stata addirittura rivenduta, attraverso mediatori, a Damasco.
Nella primavera scorsa fonti statunitensi avevano reso noto che i pozzi e le raffinerie clandestine del Califfato erano stati distrutti privando l’Isis dell’importante fonte di reddito, ma probabilmente si trattava di uno dei tanti “rapporti edulcorati” per dare l’impressione che la Coalizione stesse vincendo la guerra. Un rapporto reso noto in ottobre dal Financial Times citando fonti d’intelligence valutava che l’Isis produca ancora 34-40.000 barili al giorno. Cifre che, dopo oltre un anno di guerra contro la Coalizione, indicano che un buon numero di coloro che dicono di combattere lo Stato Islamico in realtà lo stanno aiutando a sopravvivere. Del resto, al vertice del G-20 ad Antalya (Turchia), Putin aveva detto solo un paio di settimane or sono che tra i Paesi presenti al summit c’era anche chi aiutava il Califfato, con un evidente riferimento ai sauditi e ai turchi.