Pesce d'aprile a Kiev: avanza Zelenskiy "servo del popolo"
Il vento dell'anti-politica soffia ovunque ed è molto forte. Al presidente Poroshenko, hanno preferito l’outsider che chiede al popolo di scrivergli il programma. Volodymyr Zelenskiy, professione comico, ha interpretato Servo del Popolo, storia di un uomo qualunque che per errore diventa presidente. Ora sta diventando realtà. Ecco perché...
Il vento dell'anti-politica soffia forte dappertutto e in ogni circostanza. Anche in un Paese come l’Ucraina, che di fatto è ancora in guerra, al presidente uscente gli elettori hanno preferito l’outsider che chiede al popolo di scrivergli il programma. Volodymyr Zelenskiy, classe 1978, nessuna esperienza nella politica attiva, professione comico e attore televisivo, ha ottenuto il 30,2% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali ucraine. Ha quasi doppiato il presidente uscente Petro Poroshenko, che ha raccolto solo il 16% e ha più che doppiato Yulia Tymoshenko, icona della Rivoluzione Arancione, che ha preso il 13,3% dei voti. Se tutto procede come previsto e non ci sono colpi di scena da qui al ballottaggio (che si terrà il 21 aprile), l’ex comico Zelenskiy sarà il prossimo presidente. Ironia della sorte, nella serie televisiva Servo del Popolo interpretava la persona qualunque che diventa presidente per sbaglio. Come se in Italia, Claudio Bisio (che interpreta un ruolo analogo in Benvenuto Presidente) diventasse per davvero il nuovo capo di Stato. Un bel pesce d’aprile per tutti gli osservatori politici.
Come è stato possibile un risultato così incredibile? Anzitutto l’esasperazione. L’Ucraina è un paese dell’ex Urss che non riesce mai a decollare, pur avendo tutte le potenzialità per diventare una nazione ricca e dinamica, come la vicina Polonia. E’ stata bloccata da un lungo periodo di mancate riforme e di privatizzazioni mal condotte che hanno fatto finire tutte le ex aziende di Stato nelle mani di pochi “oligarchi”. E questo ha provocato una stagnazione economica da cui è difficile uscire. Ci ha provato l’ex presidente della banca centrale Yushchenko (2000-2001), ma il suo governo è durato troppo poco. Poi è scoppiata la Rivoluzione Arancione (2004) che ha mandato i riformatori della Tymoshenko al governo, ma l’ex oligarca del gas ha fallito anche lei, sbagliando tutte le riforme, buttandosi sul populismo di prezzi calmierati e “ri-privatizzazioni”. Poi il paese è rientrato in una fase di stagnazione, praticamente senza soluzione di continuità, sia sotto i governi “arancioni” (riformatori, liberali, filo-occidentali), sia sotto quelli “blu” (conservatori, federalisti, filo-russi). Finché non è scoppiata la seconda rivoluzione, quella del Maidan (2013-2014), contro il più corrotto dei presidenti, il “blu” Viktor Yanukovich. E da lì è iniziata la tragedia: l’occupazione russa della Crimea (febbraio 2014) e lo scoppio della guerra contro i separatisti filo-russi nel Donbass (aprile 2014), regione mineraria dell’Est che ancora oggi vive su quel che resta dell'economia sovietica. La guerra continua tuttora, anche se a bassa intensità.
La guerra ha creato un periodo di forte crisi, ai limiti del collasso nazionale. La separazione della Crimea e del Donbass, da sola, ha comportato la perdita del 20% del Pil, 250mila giovani sono stati reclutati nelle forze armate e sottratti alla forza lavoro, nel periodo caldo del conflitto (2014-2015) l’Ucraina, già povera, spendeva 5 milioni di euro al giorno per sostenere le spese di guerra. A queste perdite va aggiunto l’enorme costo umano: 15mila morti dal 2014 e più di 1 milione di rifugiati, di cui 250mila all’estero, quasi tutti in Russia. La guerra è stata anche un momento di rinnovamento, esattamente come in tutti i casi in cui un paese intero va ricostruito. E Poroshenko, magnate dell’industria dolciaria, aveva vinto le elezioni del 2014 promettendo drastiche riforme per ottenere un’apertura di credito dall’Fmi e dall’Unione Europea. Le riforme sono riuscite solo in parte. I conti pubblici sono stati rimessi in ordine, con tagli della spesa e delle tasse. Quasi la metà delle banche ha dovuto chiudere i battenti, per corruzione. L’Ucraina è entrata con successo nell’Accordo di Associazione con l’Ue ed ha ottenuto la liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini, aprendo molte più possibilità di movimento sia di persone che di merci. Tuttavia restano molti problemi interni irrisolti. La corruzione nella burocrazia e nella stessa magistratura è a livelli endemici e a nulla è servita l’istituzione di una “Corte Anticorruzione”, fortemente dipendente dal governo, nel 2017. Le privatizzazioni del settore pubblico (ancora enorme) sono state rimandate per quattro anni. Tuttora in Ucraina ci sono quasi 2000 aziende di Stato non più operative, che costano alla collettività ma non producono. L’amministrazione pubblica, con qualche notevole eccezione (come la Banca centrale e il Ministero dell’Economia), è tuttora un mastodonte sovietico. Infine, ma non da ultimo, buona parte delle terre agricole, pari alla metà della superficie dell’Italia, è improduttiva e, per legge, non può essere venduta. La combinazione letale dei costi della guerra e delle mancate riforme, ha mantenuto l’Ucraina nel sottosviluppo. Al momento del voto per queste presidenziali, un quarto dei cittadini vive in condizioni di povertà relativa e il 4,5% in povertà assoluta.
Poroshenko ha puntato tutto sul patriottismo. Con una mossa clamorosa, ha sostenuto lo scisma della Chiesa Ortodossa Ucraina al Patriarcato di Mosca, prendendosene almeno in parte il merito. Ma non è bastato. Il problema vero è che dopo cinque anni di conflitto con la Russia, non sono stati ottenuti risultati apprezzabili. La Crimea appare come una regione ormai persa dall’Ucraina, addirittura non è neppure inclusa negli accordi di pace di Minsk (2015), mentre sul Donbass gli accordi di Minsk non sono stati rispettati e la riunificazione territoriale è, anche in quel caso, molto improbabile nel breve periodo. Indipendentemente da chi abbia vinto le elezioni e dopo due rivoluzioni, in 28 anni di storia post-sovietica, l'ucraino medio ha visto solo peggioramenti. In questo clima di frustrazione e povertà diffusa, gli ucraini hanno pensato di votare il candidato giovane, simpatico, nuovo alla politica e “onesto”, che promette di lavorare assieme a una squadra di giovani e onesti come lui, scelti da tutte le regioni dell’Ucraina, sia dall’Est russofono, sia dall’Ovest più europeo. Gli ucraini ci sperano e, contemporaneamente, ci sperano anche i russi: i media vicini al Cremlino lo giudicano come un possibile uomo di pace.
Cosa voglia realmente Volodymyr Zelenskiy, tuttavia, è e resta un mistero. Non ha neppure un programma: come Beppe Grillo in Italia, vuole che sia “il popolo” a scriverlo. Sarà, probabilmente, l’equivalente ucraino della Piattaforma Rousseau, a decidere i punti programmatici. Si presenta come indipendente, ma la sua celebrità è dovuta unicamente al network televisivo dell’oligarca Ihor Kolomoiskiy, rivale personale di Poroshenko. Non è dato sapere (ancora) se Zelenskiy sia solo il prodotto telegenico di un progetto politico di Kolomoiskiy. Se lo fosse, la sua sarebbe una “rivoluzione” fasulla, visto che gli oligarchi ucraini, proprio per difendere la loro posizione dominante, sono sempre stati i meno propensi alle riforme.