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Persio e il bisogno di un maestro per ciascuno di noi

Lungi dall’indulgere ai miti, all’esagerato sfarzo epico e al cerebralismo di tanta poesia a lui contemporanea incline allo sfoggio virtuosistico, Persio ricerca l’ispirazione della vita e della realtà. 

Cultura 03_02_2019

Lungi dall’indulgere ai miti, all’esagerato sfarzo epico e al cerebralismo di tanta poesia a lui contemporanea incline allo sfoggio virtuosistico, Persio ricerca l’ispirazione della vita e della realtà. Il suo fine è quello di «radere, defigere, revellere pallentes mores», cioè «raschiare, incidere, asportare i pallidi costumi». La metafora chirurgica ben esprime il giudizio negativo sulla società contemporanea ammalata per i gravi vizi.

Nato a Volterra nel 34 d. C. da una famiglia agiata e trasferitosi a Roma per studiare con filosofi e retori importanti, Persio cresce con una severa impostazione morale, acquisita in famiglia e corroborata dal rapporto col maestro stoico Anneo Cornuto. Lontano dall’entourage di corte, non si lega in amicizia con Seneca, Lucano o Petronio. A differenza di questi che morirono tutti in seguito alla congiura pisoniana del 65, Persio scomparve giovanissimo a soli ventotto anni, nel 62.

La sua poesia s’inserisce nel genere satirico che a Roma ha il suo inventor in Lucilio ed il suo massimo esponente in Orazio. Persio conferisce un taglio fortemente filosofico ai versi richiamandosi alla filosofia stoica. Gli argomenti affrontati sono di tipo letterario, religioso ed esistenziale. Il poeta invita il lettore ad un rapporto non utilitaristico con la divinità, a conoscere se stesso, a ricercare la giusta misura nel rapporto con la realtà e i beni.

La satira più interessante è la quinta, dedicata al maestro Anneo Cornuto, che gli è stato vicino nella giovinezza, nel momento in cui è fondamentale per una persona avere a fianco una figura di riferimento. Persio apre con una polemica con i poeti che invocano le muse per «chiedere cento voci, cento/ bocche, e desiderare cento lingue per i loro versi». A che servono cento bocche per parlare, perché rivolgersi alla fonte di Elicona per scrivere di Progne o di Tieste o di Glicone? Persio invita ad usare parole comuni e ad «attenersi ai pasti plebei». Non vuole che le sue «pagine si gonfino di funebri/ ciance buone soltanto ad emettere fumo».

Poi, si rivolge direttamente al maestro Cornuto, apostrofato come «dolce amico», per offrirgli il suo cuore da scrutare e mostrargli quanto della sua anima gli appartenga. Il suo maestro è, del resto, abituato a «distinguere/ ciò che suona pieno dall’intonaco d’una lingua dipinta».

Persio non chiama in aiuto le muse, ma si rivolge alla camene (divinità romane delle sorgenti, che vengono nel tempo considerate il corrispondente latino delle muse greche). Il poeta, che non chiederebbe cento lingue per declamare i miti antichi, le vorrebbe per mostrare la gratitudine che prova nei confronti del suo maestro. Gli uomini spesso sperperano il proprio tempo dietro ai piaceri e ai guadagni:

Mille le specie degli uomini, e diversi gli usi della vita;
ognuno vuole il suo, né si vive d'un solo desiderio.
Questi, sotto il sole d’oriente, scambia con merci
italiche il rugoso pepe e i granelli di cumino che inducono
il pallore; questi, sazio, preferisce ingrassare in un sonno
vinoso; un altro si compiace del Campo; un altro lo rovinano
i dadi; quello è sfatto dalle donne; ma quando la pietrosa
gotta li avrà colpiti alle giunture, rami secchi
d’un vecchio faggio, ormai tardi piangeranno la vita
trascorsa in grevi giorni e in luce palustre.

Anneo Cornuto, invece, mostra una saggezza e un’umanità inusuale, perché si compiace di «impallidire sulle notturne carte», coltiva i giovani, purifica «le loro orecchie per seminarvi/ la messe di Cleante» (ovvero la filosofia) che è «il viatico alla infelice canizie».

Persio ringrazia il maestro perché l’ha accompagnato sulla vita della libertà, gli ha insegnato, infatti, a liberarsi dalle passioni e dai vizi:

V’è bisogno di libertà, ma non di quella per cui
qualunque Publio della tribù Velina se la sia meritata
ottiene con la tesserina un po’ di farro scabbioso. Ahi,
sterili di verità coloro che una giravolta trasforma in Quiriti!

Le prime catene sono costituite dal nostro male, il primo nemico è la nostra fragilità e la capacità di cadere nelle tentazioni. Persio riconosce che ciascuno di noi ha bisogno di un maestro ancor più quando arriva ad un’età in cui si sente ormai maturo e tende ad allontanarsi dalla famiglia e ad essere autonomo negli spostamenti, nelle serate e nei divertimenti. Cornuto è stato presente nella vita di un Persio che poteva ormai «guardare impunemente/ tutta la Suburra», quartiere popolare di Roma abbastanza malfamato. Invece, di cercare di procedere da solo, una volta uscito dall’adolescenza, Persio si affida al maestro e al suo «seno socratico», perché le storte abitudini possano essere vinte e il talento possa assumere «un industre sembiante». Persio ricorda la vicinanza del maestro:

Ricordo, trascorrevo lunghe giornate con te,
e per cenare insieme sottraevo le prime ore alla notte;
comune il lavoro, e ugualmente insieme disponiamo il riposo,
riposiamo dai faticosi impegni con una casta mensa.

Non sono le prediche a muovere le persone. Può bastare un discorso per convincere un uomo, per sfrondare tutte le paure, per suscitare un impavido desiderio di giungere quanto prima alla meta? Tutti noi capiamo che le parole sono insufficienti, di fronte alle difficoltà della vita, ma, poi, spesso ci accontentiamo di fare prediche, di tenere discorsi e ci stupiamo se l’interlocutore non apprende subito la lezione e non si muove.

Sant’Ignazio di Antiochia diceva: «Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è». Un discorso non può avvincere e convincere, non basta neppure conoscere le ragioni e le motivazioni per cui valga la pena scegliere una strada piuttosto che un’altra. Il ragazzo e l’adulto hanno bisogno nel viaggio della vita di una compagnia e di una speranza, di un lieto volto, che rappresenta la certezza che c’è una meta bella, che il destino è buono e positivo. Solo così si può davvero continuare a camminare e ci si può rialzare, quando s’inciampa.