Persecuzione delle cristiane. Per l'Onu non è una priorità
Dall’11 al 22 marzo si è svolta al Palazzo di Vetro di New York la 63a sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne. Si punta ai traguardi ambiziosi di leadership, rappresentanza, empowerment. Ma altri, molto più basilari non sono raggiunti. Prova ne è la persecuzione delle cristiane
Dall’11 al 22 marzo si è svolta al Palazzo di Vetro di New York la 63a sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne. Il tema dell’evento, che ha visto un numero di presenze da record, con oltre 5.000 rappresentanti di organizzazioni non governative provenienti da tutto il pianeta, quasi 2.000 delegati governativi e 86 ministri, era: “Sistemi di protezione sociale, accesso a servizi pubblici e infrastrutture sostenibili per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e delle ragazze”.
Nel congratularsi per l’alta partecipazione e il successo dell’iniziativa, il direttore esecutivo di UN Women (Ente Onu per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne) Phumzile Mlambo-Ngcuka, che svolge la funzione di segretario della Commissione, ha spiegato: “Le raccomandazioni della Commissione aprono la via ai governi affinché si impegnino e investano in maniera diversa, coinvolgendo le donne nel dialogo politico, concentrandosi su iniziative che vadano al cuore dei maggiori ostacoli all’empowerment e alla visibilità delle donne e delle ragazze”.
Le “Conclusioni” adottate dagli Stati membri, esito finale della sessione, trattano dei provvedimenti necessari per dare voce, rappresentanza e leadership alle donne e alle ragazze in quanto beneficiarie e utenti di sistemi di protezione sociale, servizi pubblici e infrastrutture sostenibili. La loro raccomandazione centrale è che si investa a sostegno della produttività del lavoro femminile, includendo il settore informale, che gli obiettivi indicati non siano compromessi da tagli di bilancio e politiche di austerità e che i livelli di protezione già raggiunti non siano messi in pericolo.
Il focus su leadership, rappresentanza, empowerment implica che altri traguardi siano già stati raggiunti, che altri, precedenti passi lungo la via del pieno riconoscimento del valore delle donne e dei loro diritti siano stati ormai compiuti. Benché questo sia vero per moltissime donne, sono ancora centinaia di milioni quelle a cui non è concesso di vivere in sicurezza e dignità e che, anzi, subiscono discriminazioni e violenze, quel che è peggio, spesso istituzionalizzate come nel caso dei matrimoni infantili e combinati e delle mutilazioni genitali femminili.
Proprio mentre i delegati dei governi e delle organizzazioni non governative lasciavano New York, le agenzie missionarie Fides e AsiaNews hanno dato spazio a due documenti che contengono notizie sulla condizione delle donne, in particolare quelle cristiane, in Pakistan e Myanmar. In Pakistan, Anjum James Paul, un insegnante cattolico presidente della "Pakistan Minorities Teachers Association", ha da poco rivolto un appello al governo del primo ministro Imran Khan, in carica dallo scorso agosto, affinché – si legge nel testo pervenuto a Fides – con urgenza “metta in campo misure serie ed efficaci per proteggere le ragazze cristiane e indù che subiscono continue violenze fisiche e morali”. Paul porta a esempio il recente caso di una ragazza cristiana di 13 anni, Sadah Khan, che a febbraio, nel Punjab, è stata rapita, convertita a forza all’islam e costretta a sposare un musulmano. Secondo la Chiesa pakistana ogni anno circa mille ragazze cristiane e indù subiscono la sorte di Sadah, stando alle denunce depositate. Ma di molti altri casi non si ha notizia per la complicità di forze di polizia e magistrati che scoraggiano le minoranze a intraprendere azioni giudiziarie. “Le donne appartenenti alle comunità religiose minoritarie – spiega Paul – vivono una condizione di ‘doppia vulnerabilità’, esposte ad abusi e discriminazioni in quanto donne e in quanto non musulmane. Questi atti sono intollerabili. È giunto il momento di decidere se le ragazze cristiane e indù abbiano il diritto di vivere liberamente oppure se debbano vivere nascoste, essendo esposte a tali pericolosi crimini che restano impuniti. Esortiamo con forza il governo a garantire la vita delle donne pakistane cristiane e indù e a prendere provvedimenti per fermare la piaga dei rapimenti, delle conversioni e dei matrimoni forzati”.
In Myanmar, Cambogia e Laos, riporta AsiaNews citando un rapporto dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch pubblicato il 22 marzo, invece continua il traffico di giovani donne in maggioranza cristiane, spesso appena adolescenti, ridotte in schiavitù, portate in Cina e vendute come mogli a uomini cinesi per cifre intorno ai 3.000 dollari. In Cina le donne sono meno degli uomini per effetto della la politica del figlio unico che ha provocato il fenomeno dell’aborto e infanticidio selettivi (milioni di bambine abortite o uccise subito dopo la nascita). “Spesso – riferisce Heather Barr, autrice del rapporto – le donne vengono drogate e tenute prigioniere, lasciate in balia di famiglie con le quali riescono a malapena a comunicare; la maggior parte di loro è stata rinchiusa in una stanza e violentata più volte, poiché le famiglie che le hanno acquistate volevano che rimanessero incinte”. A raccontarlo sono le donne che riescono a fuggire e a tornare in patria.
Alla Commissione Onu ha partecipato anche l’organizzazione no-profit Open Doors con i dati del rapporto sui cristiani perseguitati pubblicati in occasione della presentazione a gennaio della World Watch List 2019, l’elenco dei 50 Stati che nel 2018 hanno perseguitato più duramente i cristiani. Nel 47% dei Paesi esaminati, emerge dal rapporto, è comune che le donne cristiane subiscano violenze sessuali e siano vittime di matrimoni forzati. “Spesso – commenta Cristian Nani, direttore di Open Doors Italia – le donne non hanno alcun mezzo legale o sociale per difendersi e per combattere contro queste violazioni dei diritti umani basilari. Il prezzo personale pagato da queste donne per le devastanti ferite emotive e fisiche subite a causa della loro fede è immane. Al tempo stesso, il prezzo pagato dall’intera comunità cristiana nei Paesi identificati dal rapporto di Porte Aperte, è incalcolabile: vi sono intere comunità composte da migliaia e migliaia di membri spezzate nel profondo dalla vile persecuzione attuata contro madri e figlie”.