Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Perché Walesa non poteva essere una spia sovietica

Torna in auge una vecchia storia. Quella secondo cui l'eroe polacco Lech Walesa, leader di Solidarnosc, era una spia del regime comunista. Le carte incriminanti saltano sempre fuori quando è al governo il partito di Kaczynski. Che per motivi personali (e storici) detesta Walesa. Ne parliamo con Luigi Geninazzi, autore de L'Atlantide Rossa.

Cultura 20_02_2016
Lech Walesa nel 1980

E’ tornato sotto i riflettori Lech Walesa, lo storico leader del sindacato indipendente polacco Solidarnosc, il primo che costrinse un partito comunista d’oltre-cortina a farsi da parte pacificamente e lasciar spazio a libere elezioni nel 1989, dopo un decennio di resistenza pacifica. Non è tornato da eroe, ma sul banco degli imputati in un processo che, per ora, è solo mediatico. E’ accusato di essere stato un collaboratore dei servizi segreti del regime comunista.

Questa tesi non è affatto nuova. Già nel 2000, cinque anni dopo la fine del suo unico mandato presidenziale, Walesa aveva vinto una causa in merito. Nel 2008 il suo caso si era riaperto, con la pubblicazione del libro La polizia segreta e Lech Walesa degli storici Slawomir Cenckiewicz e Piotr Gontarczyk, entrambi dell’Istituto per la Memoria Nazionale (Ipn), un ente governativo. Da allora non se ne era più parlato, però. Solo in questa settimana, i documenti dei due storici sono stati citati di nuovo, supportati da altre carte, emerse fra le eredità lasciate dall’ex ministro dell’Interno del regime comunista, Czeslaw Kiszczak, morto l’anno scorso. Che cosa dicono le carte incriminanti? Che Walesa sarebbe stato assoldato dalla polizia politica del regime comunista e avrebbe avuto contatti anche con il Kgb, per sei anni, dal 1970 al 1976. In questi sei anni, nascosto sotto lo pseudonimo di “Bolek”, avrebbe tradito e fatto arrestare almeno 20 esponenti del sindacalismo indipendente polacco. Ma può essere vero?

“La campagna contro Walesa si intensifica nel 2007. Non è una data casuale” – ci spiega il giornalista Luigi Geninazzi, autore de L’Atlantide Rossa e testimone diretto della rivoluzione polacca, di cui conosce personalmente tutti i protagonisti. “Nel 2007 era in sella il governo di Jaroslaw Kaczynski. Nel 2007 scoppiò anche lo scandalo di monsignor Stanislaw Wielgus, che dovette rinunciare alla carica di arcivescovo di Varsavia dopo la sua ammissione di aver collaborato con i servizi segreti comunisti. E iniziò a riemergere anche la vicenda Walesa. Il libro incriminante, però, si basa su un’unica prova certamente autentica: il leader di Solidarnosc ha sempre ammesso di aver firmato un atto di collaborazione, durante uno dei suoi tanti arresti. Firmò perché si trovava in una situazione personale molto difficile, quando sua moglie stava partorendo. E quella firma gli rimase sempre sulla coscienza. Ma da quel momento in poi, Walesa afferma di non aver mai collaborato, né tradito nessuno. Le accuse a Walesa sono una storia vecchia, di cui non si parlava già più. Adesso riemerge sulla base dei documenti di Kiszczak, considerati ‘autentici’ dagli storici dell’Ipn dopo solo poche ore di indagine”.

La documentazione su cui si basa questa nuova accusa è “un terreno molto scivoloso”, secondo Geninazzi. “Sono una serie sterminata di carte, in molti casi falsificate, in altri fabbricate da cima a fondo, già a suo tempo. Passati quarant’anni chissà da quante e quali mani sono passate. E la cosa non riguarda solo Walesa, ma anche tanti altri cittadini polacchi e stranieri. Faccio il mio piccolo esempio: ho compiuto una ricerca sul mio nome, all’Ipn, e sono emerse tantissime piccole cose, fra registrazioni, pedinamenti, notizie su miei incontri con esponenti di Solidarnosc, tutte carte molto frammentarie e facilmente falsificabili. Ma su un terreno così scivoloso, non si capisce cosa possano aggiungere di nuovo le carte di Kiszczak sul caso Walesa? Bisognerebbe leggerle tutte. E non si capisce perché l'ex ministro abbia conservato tutti quei documenti. L’Ipn sostiene che la vedova li abbia venduti, per fare cassa. La vedova smentisce e dichiara che quei documenti le siano stati sottratti, perché in teoria avrebbero dovuto essere consegnati al governo. Già queste notizie e smentite sanno molto di manipolazione”. E poi c’è un altro aspetto ancora, che più che la storia riguarda la logica: “Walesa ha ammesso il suo ‘peccato originale’, quello di aver firmato di suo pugno un atto di collaborazione. Ma un uomo come l’agente ‘Bolek’, così come viene dipinto dagli storici dell’Ipn, un uomo che ha rapporti con il Kgb, scrive rapporti per la polizia politica polacca, vende i suoi compagni di lotta al regime… questo doppiogiochista spregevole che motivo avrebbe avuto per convertirsi nel 1976 e diventare un lottatore senza compromessi, sempre dentro e fuori di galera? Perché, nel 1980, invece di continuare a fare il doppiogioco, ha messo in atto una rivoluzione pacifica che ha finito per travolgere il comunismo in tutta Europa? Qualcuno, all’Ipn, lo sa spiegare?” La domanda è senza risposta. Ed è motivo di più di un dubbio sul lavoro di questi storici.

Ma se fosse veramente falsa, questa accusa, a chi gioverebbe? Geninazzi torna a farci notare le date delle campagne contro Walesa, nel 2007 e in questo 2016. In entrambi i casi c’è il PiS (il partito conservatore) di Jaroslaw Kaczynski al governo. “Non è solo un problema di politica, ma anche personale. Quello fra Kaczynski e Walesa è un rapporto di odio. Kaczynski fu collaboratore di Walesa, chiamato a partecipare al suo gabinetto di presidenza. Ma venne estromesso dopo pochi mesi, perché Walesa si era accorto che, invece di aiutarlo, gli stava facendo la guerra sottobanco. Io conobbi anche l’attuale ministro della Difesa, Antoni Macierewicz. Era stato nominato ministro dell’Interno venticinque anni fa, quando Walesa era presidente. Nel 1992 ebbe l’incarico di indagare fra gli archivi del regime comunista, che era appena caduto. E cosa fece, per prima cosa? Iniziò a pubblicare i nomi delle spie comuniste, fra figurava l’agente ‘Bolek’, Walesa. Venne cacciato dal governo e da allora fu guerra.

E’ un problema personale fra gli esponenti dell’attuale governo e Walesa, dunque. Però “… è anche rafforzato da una diversa narrativa della storia che i conservatori vorrebbero far prevalere – conclude Geninazzi – Secondo Kaczynski, c’è una Solidarnosc ‘buona’, che è quella del 1980 e una ‘opportunista’ del 1989, quella cioè che si sedette al tavolo negoziale con il generale Jaruzelski (il dittatore comunista polacco, ndr) e con Kiszczak (guarda caso…) e ottenne l’accordo per le prime libere elezioni parziali. Kaczynski non giudica quella tavola rotonda come una manovra ad altissimo rischio, in cui per la prima volta in tutto il mondo comunista il vertice venne messo con le spalle al muro e costretto a dialogare. La giudica come un compromesso al ribasso, un complotto ordito alle spalle dei polacchi, un accordo per la spartizione del potere fra Solidarnosc e il regime che si trascinò ancora per tutti gli anni ’90 e primi anni 2000, fino alla vittoria del primo governo conservatore. Questa è una versione della storia semplicemente assurda! E serve politicamente a Kaczynski per mostrarsi come il vero liberatore dei polacchi. Anche se ai tempi della tavola rotonda con Jaruzelski, Jaroslaw Kaczynski non era fra i partecipanti: era ancora un signor nessuno”.