Perché tra Giorgetti e Salvini è una tregua armata
Come finirà il braccio di ferro tra Salvini e Giorgetti? Per ora l’ha spuntata il leader leghista, ma molto dipenderà da chi salirà al Colle dopo Mattarella. La tregua armata siglata giovedì durerà poco. Il Ministro dello sviluppo economico potrebbe diventare nei prossimi mesi per il segretario della Lega quello che fu Gianfranco Fini per l’allora premier Silvio Berlusconi: il guastafeste.
I sondaggi, si sa, lasciano il tempo che trovano, soprattutto quando non ci sono elezioni alle porte. Dunque, il sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega non significa poi così tanto, anche perché il partito di Giorgia Meloni sta capitalizzando elettoralmente il suo ruolo di oppositore unico al Governo Draghi. Resta tuttavia il fatto che Matteo Salvini, dopo aver condotto la Lega a sfiorare il 30% dei consensi, ora appare un po' appannato. E le divisioni nel Carroccio non gli giovano di sicuro.
In particolare nella Lega sembrano ormai convivere due anime: quella governista, che fa capo al Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e quella movimentista, incarnata dal Capitano, che mal digerisce l’appiattimento sulla linea europeista del premier Draghi e cerca di smarcarsi con proposte innovative in materia di tasse, lavoro, pensioni.
Lo scontro tra le due anime ha toccato l’acme qualche giorno fa, con le anticipazioni del nuovo libro di Bruno Vespa, nel quale Giorgetti auspica una confluenza del suo partito nel Partito popolare europeo. In altri termini, il Ministro vorrebbe definitivamente “democristianizzare” la Lega e farla diventare un partito moderato di centro. La conseguenza sarebbe quella di lasciare campo libero alla Meloni sul fronte della destra europea, ma con la possibilità di diventare un riferimento certo per le forze moderate alternative alla sinistra che in Italia sostengono l’attuale esecutivo.
Salvini non ci sta, teme il trappolone. Eppure leghisti della prima ora come Roberto Maroni, ma anche alcuni governatori del nord, plaudono all’auspicio di Giorgetti e si mostrano sempre più scettici verso la linea battagliera di Salvini. Secondo loro la Lega ha un futuro solo se riesce ad ereditare in Italia i voti di Silvio Berlusconi e quindi i consensi dei moderati che rimangono alternativi alla sinistra ma che non vogliono appiattirsi sulla destra.
Come finirà questo braccio di ferro? Per ora l’ha spuntata Salvini, ricompattando le sue truppe dopo una riunione straordinaria del Consiglio Federale e confermando il no all’ingresso del Carroccio nel Ppe, considerato in crisi e vicino alle posizioni della sinistra europea. Giorgetti ha fatto buon viso a cattivo gioco ed è rientrato nei ranghi. Ma la partita rimane incerta.
Molto dipenderà da chi salirà al Colle dopo Mattarella. A Giorgetti non dispiace affatto l’idea di un prolungamento del settennato di Mattarella, magari fino al 2023, cioè fino alla scadenza naturale della legislatura. Pare che il “patto della pizza” con Luigi Di Maio si basi proprio su questo: stoppare l’asse Meloni-Salvini che preme per Draghi al Quirinale e per elezioni anticipate nel 2022. Invece, se Draghi restasse a Palazzo Chigi e al Quirinale rimanesse l’attuale Presidente della Repubblica o salisse un garante come Giuliano Amato, gli americani sarebbero contenti perché resterebbero congelati gli attuali assetti e, dopo il voto del 2023, l’attuale premier potrebbe essere riconfermato a Palazzo Chigi per mancanza di alternative.
Se, quindi, la missione di Giorgetti è quella di rendere moderata la Lega e di farla diventare il principale sponsor della permanenza di Draghi a Palazzo Chigi, c’è da scommettere che la tregua armata siglata giovedì con Salvini durerà poco. Il Ministro dello sviluppo economico potrebbe diventare nei prossimi mesi per il segretario della Lega quello che fu Gianfranco Fini per l’allora premier Silvio Berlusconi: il guastafeste.
Fini in quegli anni, tra il 2008 e il 2011, era la sponda che Giorgio Napolitano e gli oppositori del Cavaliere utilizzarono per disarcionare quest’ultimo e per mettere Mario Monti al suo posto. A Fini probabilmente furono fatte delle promesse, che lo spinsero a tradire Berlusconi e a passare col “nemico”. In questo caso Giorgetti è già collocato saldamente nell’entourage di Draghi, è fortemente sponsorizzato dagli Usa (tanto quanto il premier) e quindi non ha bisogno di ulteriori spazi di potere né di ruoli superiori a quelli che già occupa. Probabilmente il suo compito è proprio quello dichiarato nel libro di Vespa: far ragionare Salvini e “convertirlo” all’europeismo più spinto, inducendolo all’abbraccio con i popolari europei.
Ecco perché piano politico nazionale e piano politico europeo nei prossimi mesi sono destinati a intersecarsi. In base a ciò che farà Draghi e a chi, eventualmente, dovesse prendere il suo posto qualora andasse al Quirinale, si capirà l’evoluzione del quadro politico italiano verso un nuovo bipolarismo o verso la definitiva scomposizione degli attuali schieramenti.