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MEDITERRANEO

Perché Renzi non vuole più andare in Libia

Dopo aver parlato a lungo di un "ruolo di leadership" in una missione militare in Libia, il governo italiano fa marcia indietro e si dice contrario. Conta la mancata richiesta di intervento da parte di un governo libico di unità nazionale. Ma conta ancora di più la debolezza della posizione italiana, dimostrata anche dalla drammatica vicenda dei nostri ostaggi uccisi a Tripoli.

Politica 11_03_2016
Matteo Renzi

Che errore  aiutare quegli “scrocconi” di alleati a combattere guerre che sono lontane dai nostri interessi. Mentre il Pentagono ha messo a punto i piani per un nuovo intervento in Libia teso a colpire con raid aerei decine di obiettivi dello Stato Islamico, Barack Obama si permette il lusso di definire  "un errore" l’apporto militare fornito dagli Usa per abbattere Gheddafi e il suo regime nel 2011.

Un errore che la Casa Bianca ha commesso per l’errata convinzione che Francia e Gran Bretagna avrebbero sostenuto un peso maggiore dell'operazione. "Non ha funzionato" e "nonostante tutto quello che si è fatto, la Libia ora è nel caos", ha detto il presidente in una lunghissima intervista sulla sua politica estera al The Atlantic, che la titola "The Obama doctrine", durante la quale si è tolto qualche sassolino dalle scarpe nei confronti di alleati bollati come "free-riders”. "Quando mi guardo indietro e mi chiedo cosa sia stato fatto di sbagliato - ha spiegato Obama - mi posso criticare per il fatto di avere avuto troppa fiducia nel fatto che gli europei, vista la vicinanza con la Libia, si sarebbero impegnati di più con il follow-up (nel dopoguerra, ndr)".

E cita il presidente francese Nicolas Sarkozy "che voleva vantarsi di tutti gli aerei abbattuti nella campagna, nonostante il fatto che avessimo distrutto noi tutte le difese aeree” di Gheddafi. Ma anche questo andava bene perché, continua pragmaticamente Obama "permise di acquistare il coinvolgimento della Francia in modo che fosse meno costoso e rischioso per noi". Obama non esita poi a coinvolgere nelle critiche anche David Cameron che dopo l'avvio dell'intervento perse interesse, "distratto da una serie di altre questioni". Nell’intervista ce n’è per tutti gli alleati, europei e arabi. "E' ormai diventata un'abitudine negli ultimi decenni - si lamenta Obama - che in queste circostanze gli alleati ci spingano ad agire, ma non mostrino nessuna intenzione di rischiare nulla nel gioco”.

Una critica non priva di fondamento, peccato però che giunga mentre gli Usa si preparano a scatenare una nuova campagna aerea contro lo Stato Islamico in Libia con piani rivelati dal New York Times mentre il senatore statunitense John McCain - intervistato dal sito russo Sputnik – valuta sia necessario schierare forze speciali in Libia per combattere lo Stato Islamico e altri gruppi militanti che hanno stabilito la loro roccaforte nell’ex colonia italiana.

Il rinnovato bellicismo di Washington in Libia, abbinato alle critiche agli alleati “scrocconi e inconcludenti” coincidono non a caso con il clamoroso voltafaccia dell’Italia, fino a pochi giorni or sono pronta a pretendere la guida di una missione internazionale e ora restìa a valutare ogni ipotesi di intervento nonostante il nuovo leader dello Stato Islamico in Libia Abdel Qader Al-Najdi, abbia rinnovato le minacce all’Italia dichiarando: "Preghiamo che le avanguardie del Califfato in Libia siano quelle che conquisteranno Roma". A far cambiare idea a Renzi circa l’opportunità di guidare quella missione in Libia da tanto auspicata (e incoraggiata dai nostri partner) hanno contribuito molti fattori ma soprattutto l’assenza delle condizioni di base pretese dall’Italia, cioè la richiesta di intervento formulata dal governo libico di unità nazionale che non è ancora nato e difficilmente vedrà la luce o avrà un minimo di credibilità.

Alla “ritirata” dell’Italia dal fronte libico hanno influito anche le reiterate e controproducenti pressioni degli Stati Uniti che da un lato hanno umiliato il governo italiano evidenziando la scarsa sovranità nazionale e dall’altro hanno irrigidito la posizione di Roma, restìa a partecipare ad azioni belliche contro lo Stato Islamico e a inviare truppe su un terreno in cui americani e anglo-francesi continueranno a condurre le loro azioni dettate dagli interessi nazionali con raid aerei e forze speciali. Del resto se fino a un anno or sono il peso dell’Italia nelle vicende libiche poteva forse ancora giustificare leadership di una missione internazionale oggi queste condizioni non sembrano più sussistere.

Lo ha dimostrato drammaticamente la tragica vicenda dei quattro ostaggi dell’azienda Bonatti. Non siamo stati in grado, in sette mesi di sequestro, di costringere il governo di Tripoli a collaborare per giungere alla loro liberazione, né di trovare i nostri connazionali o tantomeno di tentare di liberarli con un blitz di forze speciali. Un’opzione che Roma ha sempre rifuggito (così come si rifiuta di combattere sul campo le forze dello Stato Islamico in Iraq come in Libia) preferendo pagare riscatti o  negoziare altre compensazioni con i sequestratori. Nel caso di Salvatore Failla e Fausto Piano però non siamo stati neppure in grado di andare a riprenderci sul campo le salme dei due ostaggi uccisi impiegando le forze speciali imbarcate sulle navi dell’operazione Mare Sicuro. Nessuno ha dato quell’ordine e il governo di Tripoli, che per sette mesi si è disinteressato dei nostri prigionieri, ha trattenuto per 5 giorni i cadaveri pigliando in giro la Farnesina e l’Italia intera e facendo scempio dei corpi con la scusa dell’autopsia.

Una vicenda che sembrerebbe dimostrare che gli italiani non esercitano più un ruolo rilevante in Libia. A influenzare l’abbandono dei piani di intervento avrebbero contribuito anche valutazioni di politica interna. I costi elevati di una missione prolungata e dagli obiettivi indefiniti ma soprattutto la netta opposizione dell’opinione pubblica (l’80 per cento secondo i sondaggi) a un intervento militare sembrano aver indotto Renzi a soprassedere. Almeno fino a dopo le imminenti elezioni amministrative.