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La nuova chiesa

Perché oggi a Gesù darebbero dell’indietrista

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Rigorista, irriverente, promotore di una fede miracolistica, avulso dal reale... rileggiamo i Vangeli con gli occhi eterodossi degli “avantristi” di oggi per vedere come interpreterebbero alcune vicende del Signore Gesù.

Editoriali 06_04_2024

Se Gesù vivesse al giorno d’oggi non potrebbe scampare alla severa critica di una certa chiesa a trazione eretica. Spigoliamo qua e là nei Vangeli e vediamo come gli “avantristi” ecclesiali (la categoria sociale opposta agli indietristi) potrebbero leggere le vicende di Gesù.

In merito alla verginità di Maria nessuno ovviamente ci potrebbe credere e la madre di Gesù verrebbe presa per sessuofoba. L’intero racconto verrebbe qualificato come un’operazione ideologica sessista e marcatamente patriarcale. Accolto invece con favore il concepimento di Gesù ad opera dello Spirito Santo perché, seppur in forma allegorica, promuoverebbe la fecondazione artificiale eterologa.

In merito alla nascita di Gesù in una capanna additerebbero Giuseppe come un padre irresponsabile, incapace addirittura di trovare un alloggio per la famiglia. Verrebbe chiesto l’intervento dei servizi sociali per togliergli la patria potestà. Critiche aspre poi in merito ai doni ricevuti dai Re Magi, visti tra l’altro con sospetto perché la monarchia, eccetto quella papale, puzza di vessazione a danno degli ultimi. Ci si lamenterebbe della poca trasparenza nella gestione di questi doni. Infatti nessuno saprebbe cosa fece Giuseppe di quell’oro, incenso e mirra. Inoltre questi doni cozzerebbero con il principio aureo della povertà evangelica (l’ossimoro è voluto) che sta al centro della Buona Novella.

Qualche vescovo “zelante” citerebbe, inoltre, il reato di abbandono di minore dopo il fattaccio di Gerusalemme: i genitori di Gesù lo avevano cercato per giorni nella Città Santa per poi trovarlo in mezzo ai dottori della legge. Il dodicenne Gesù verrebbe quindi bollato come un ragazzino che sta passando le classiche turbe preadolescenziali, tenuto conto della sua condotta ribelle e della risposta irriverente e non rispettosa dell’autorità genitoriale quando asserì che doveva occuparsi delle cose del Padre suo. Piena solidarietà quindi a Giuseppe scalzato in modo rude dal suo ruolo paterno. Ecco, tra l’altro, perché è presumibile, come disse papa Francesco nel 2015, che il piccolo Gesù in seguito si scusò (sic!) per la sua intemperanza.

Il fatto poi che Gesù si sia salvato durante la strage degli innocenti getterebbe sulla sua persona fitte ombre. Quale Provvidenza divina avrebbe mai permesso che moltissimi bambini morissero al posto suo? L’incoerenza sarebbe palpabile.

Passiamo alla vita adulta. Le continue guarigioni a Lui attribuite non farebbero poi il bene dei fedeli perché li spingerebbero ad una visione di fede miracolistica, fondata sul soprannaturale, sull’eccezionale. Invece il vero volto di Dio deve essere cercato nel quotidiano, nella banalità delle giornate tutte uguali, nelle incombenze ordinarie. Molti pastori avvertirebbero che chi va dietro ai santoni e ai guaritori non va dietro a Dio. Inoltre il tenore di vita di Gesù – lavoratore presso la bottega del padre e non dignitosamente disoccupato, proprietario di un mantello che alla sua morte non venne diviso perché troppo prezioso, noto frequentatore di feste – non deporrebbe a favore della sua santità di vita, che invece dovrebbe essere dimessa, umile e povera e non volta alla mondanità. A margine: le sue abitudini alimentari proprie di un carnivoro susciterebbero più di una riprovazione perché non ecosostenibili e potenzialmente lesive della biodiversità.

Proseguiamo: il discorso sulle beatitudini (Mt 5,1-12) verrebbe fortemente censurato perché indice di una personalità sadica che predica il piacere per ogni sofferenza esistenziale come la povertà, l’ingiustizia, la persecuzione, la fame, il dolore psicofisico, l’esclusione sociale. Quindi netto rifiuto per questa teologia masochistica. La visione politica di Gesù sarebbe poi giudicata poco cristiana: il «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» predica una visione dicotomica della società. Da una parte lo Stato e dall’altra la Chiesa, incapaci di dialogare, di comunicare, di aiutarsi in modo vicendevole. Una Chiesa dunque autarchica, chiusa in una torre di avorio.

C’è poi la vicenda dell’adultera scampata alla lapidazione grazie a Lui. Da una parte, con onestà intellettuale, si plaudirebbe alla sua avversione per la pena di morte, ma su altro fronte non si potrebbero accettare le parole che Lui rivolse alla donna: «Va’ e non peccare più!». Questa semplice frase metterebbe in luce una visione morale improntata a regole astratte di comportamento e non al discernimento caso per caso (se ad esempio il marito fosse stato un mostro questa ipotesi potrebbe rappresentare una valida esimente per la donna); un atteggiamento utopico perché alcune condotte, soprattutto riguardo alla fedeltà e alla castità, sono impossibili da richiedere a certe persone; un rigorismo etico improntato ad una fredda dogmatica che stride con la misericordia; un insegnamento anacronistico che non tiene conto che la dottrina è in perenne evoluzione soprattutto nell’ambito familiare e che il cambiamento di sensibilità pone nuove sfide pastorali. Quella donna oggi non solo non dovrebbe essere giudicata, ma insieme al suo compagno adultero potrebbe ricevere validamente una benedizione da un sacerdote. Ergo, Gesù avrebbe dovuto benedire la sua relazione adulterina e non chiedere di interromperla.

Questa morale così minacciosa – pensiamo alle ripetute volte in cui sventolò lo spauracchio dell’Inferno – opprimente e castrante che tarpa le ali dello “spirito” che soffia dove vuole (ma mai sopra le terre della Verità) trova conferma nella frase: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Si obietterebbe che l’amore, quello vero, è insofferente alle regole, che la libertà propria dell’amore entra in contraddizione con i doveri, che si tratta proprio di un ricatto affettivo di Gesù volto all’obbedienza. Questo atteggiamento snobistico di Gesù chiuso all’ascolto è confermato da quel «Vade retro!» indirizzato a Pietro e da quel «Noli me tangere!» rivolto a Maria di Magdala, prova provata che Gesù non voleva mischiarsi alle sue pecore, non voleva prendere il loro odore. Un modello negativo di clericalismo autoreferenziale chiuso all’accoglienza ed estraneo alle periferie esistenziali. Paradigmatiche a questo proposito le parole scagliate come pietre contro Giuda poco prima che lo tradisse: «Meglio sarebbe per quest'uomo se non fosse mai nato». Parole rancorose tipiche di chi crede di avere in mano la verità e pensa di poterla usare come una clava.

Infine abbiamo la morte di Gesù. Si leverebbe di certo una condanna ferma per la pena di morte, ma una certa chiesa devota della Costituzione si mostrerebbe sempre fiduciosa nell’operato dei magistrati e affermerebbe che occorre comunque rimettersi alla giustizia terrena in attesa di quella celeste. Il dubbio poi che Gesù fosse in qualche modo colpevole sarebbe avvalorato dai capi di accusa davvero pesanti, dal fatto che i sondaggi gli danno contro e che addirittura i suoi fedelissimi, eccetto uno, lo hanno abbandonato nel giorno dell’esecuzione.