Perché l'Isis può uccidere (senza danni) gli italiani
La strage di Dacca ha portato a 20 il numero di cittadini italiani uccisi in meno di 18 mesi dai terroristi islamici, ma anche oggi, oltre a dolore, sconforto e cordoglio, le risposte della politica si limitano alle chiacchiere e frasi di circostanza. Il vero problema è che uccidere gli italiani non costa nulla ai terroristi islamici.
La strage di Dacca ha portato a 20 il numero di cittadini italiani uccisi in meno di 18 mesi dai terroristi islamici, ma le reazioni non sono dissimili da quelle che registrammo dopo la strage al museo del Bardo a Tunisi o dopo le vittime italiane degli attentati di Parigi e Bruxelles.
Anche oggi, oltre a dolore, sconforto e cordoglio, le risposte della politica si limitano alle chiacchiere innaffiate da retorica e frasi di circostanza. Il vero problema è che uccidere gli italiani non costa nulla alle organizzazioni terroristiche islamiche poiché Roma non attua rappresaglie militari né ritorsioni di altro tipo contro i movimenti jihadisti. Molti sostengono che la nazionalità italiana delle vittime di Dacca sia stato un fatto casuale poiché i terroristi legati al Califfato avrebbero ucciso infedeli e bianchi indipendentemente dalla loro provenienza. Una ragione in più per dare un “peso” all’italianità delle vittime facendo pagare un prezzo il più possibile elevato a chi li uccide, per esprimere una deterrenza che potrebbe in futuro scoraggiare i terroristi a prendere di mira i nostri connazionali.
Solo per fare qualche esempio, chi colpisce cittadini israeliani ha la certezza che mezzi militari e d’intelligence di Gerusalemme gli daranno la caccia anche per decenni. Le vittime statunitensi del terrorismo islamico sono state “vendicate” con uccisione di decine di migliaia di terroristi e miliziani, uccisi insieme a moltissimi civili che li sostenevano, famigliari o persone che si trovavano casualmente da quelle parti, i cosiddetti “danni collaterali”. I 12 cittadini egiziani copti sgozzati dall’Isis a Derna (Libia) hanno scatenato l’anno scorso un blitz delle forze del Cairo che ha portato a uccidere o catturare oltre 400 combattenti jihadisti mentre furono almeno 2mila (civili inclusi) le vittime dei raid aerei giordani scatenati sui territori in mano all’Isis dopo il rogo di un pilota di Amman da parte degli uomini de Califfo.
Ammazzare italiani, invece, non costa nulla. Nessuna rappresaglia: non raderemo al suolo Raqqa anche perché i nostri cacciabombardieri volano solo sull’Iraq e sono disarmati. Siamo l’unico partner della Coalizione, insieme alla Germania, a combattere l’Isis con aerei disarmati. Non facciamo paura a nessuno perché abbiamo rinunciato a combattere, ma non per questo il nemico ha rinunciato a uccidere gli italiani. Roma avrebbe davanti due opzioni. Annunciare il ritiro dalla Coalizione (che tra l’altro sta facendo da due anni ben poco contro l’Isis) chiedendo al Califfato di non considerarci più nemici e risparmiare i nostri concittadini, oppure prendere esempio dagli Stati che attuano rappresaglie, individuando bersagli paganti e annientandoli con il massimo dei danni possibili.
Del resto, l’Isis non è al-Qaeda, invece di nascondersi nelle grotte gli uomini di al-Baghdadi controllano territori, città, insomma l’Isis amministra un vero Stato pieno di obiettivi idonei a rappresaglie come quelle effettuate dai francesi dopo gli attentati a Parigi. Forse non vinceremo da soli la guerra con azioni simili ma ristabiliremmo comunque il principio della deterrenza, facendo comprendere che uccidere italiani comporta gravi conseguenze.
Purtroppo le reazioni a Roma sono invece scomposte e quasi ridicole. Matteo Renzi ha definito la strage di Dacca il più grave attentato ai danni di nostri connazionali dopo quello di Nassiriya tracciando un parallelo arbitrario. In Iraq, nel novembre 2003, venne colpita la missione militare italiana, obiettivo legittimo per chi considerava le forze alleate vere e proprie truppe d’occupazione. A Dacca invece hanno ucciso civili innocenti. Renzi ha fatto anche la faccia feroce dichiarando che la strategia contro i terroristi è quella di «distruggerli senza pietà» pensando però anche «all'aspetto importante dell'educazione» per «evitare che la prossima generazione sia come questa». Cosa significhi non è chiaro: vuol forse dire che li bombarderemo di libri per educare i terroristi e i lori figli?
Le autorità di Dacca hanno confermato che i terroristi erano tutti di famiglie benestanti (come i sauditi che provocarono la strage dell’11 settembre 2001 negli Usa e come gran parte dei terroristi italiani degli “anni di piombo”) a conferma che la teoria “buonista” così diffusa (e tesa a indurre sensi di colpa nell’Occidente ricco) che il terrorismo è figlio della povertà fa acqua da tutte le parti. Renzi ha aggiunto che «serve il pugno di ferro con chi pensa di portare da noi una strategia basata su odio e terrore», ma una frase del genere ha un senso solo se i bombardieri sono pronti al decollo con motori caldi e bombe sotto le ali.
Parlare di «distruggere senza pietà» e di «pugno di ferro» senza poi dar seguito alle parole con concrete ed efficaci azioni militari, significa esporre ancor di più ai terroristi la Nazione e i suoi cittadini, confermando ai jihadisti che uccidere gli italiani non costa nulla.