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L'ANALISI

Perché la guerra non conviene a Iran e Arabia

L’evoluzione della crisi diplomatica tra sauditi e iraniani scatenata dall’esecuzione dell’imam scita al Nimr, condannato per “terrorismo” per aver contestato pacificamente il regime di Riad, comporta seri rischi di escalation militare in parte dovuti alla scarsa credibilità dei potenziali mediatori. Primo fra tutti l’Onu.

Esteri 06_01_2016
L'assalto all'ambasciata saudita a Teheran

L’evoluzione della crisi diplomatica tra sauditi e iraniani scatenata dall’esecuzione dell’imam scita al Nimr, condannato per “terrorismo” per aver contestato pacificamente il regime di Riad, comporta seri rischi di escalation militare in parte dovuti alla scarsa credibilità dei potenziali mediatori. L’Onu pare fuori gioco e del tutto screditato dopo aver condannato gli attacchi alle sedi diplomatiche saudite in Iran, ma non l’esecuzione di al-Nimr e altri oppositori sciiti. L’Europa “non esiste” e anche in questa crisi non si registrano iniziative di sorta da parte di Bruxelles o delle cancellerie del Vecchio Continente. 

Degli Stati Uniti nessuno si fida più in Medio Oriente: non i vecchi alleati arabi “traditi” prima dal sostegno di Washington alle primavere arabe e poi al discusso accordo sul nucleare iraniano, né gli “ex nemici” di Teheran che considerano ancora l’America il “Grande Satana” come ha dimostrato il lancio di razzi che nei giorni scorsi ha salutato l’ingresso nello Stretto di Hormuz della portaerei Truman. Qualche chanche in più le ha forse Mosca, alleata dell’Iran ma considerata anche a Riad una potenza credibile e interessata a stabilizzare il Medio Oriente nonostante i sauditi non perdonino a Putin il sostegno a Bashar Assad. La debolezza dei potenziali mediatori accentua quindi il rischio di una escalation militare anche se entrambi i regimi potrebbero avere interesse ad alimentare la tensione per utilizzare la mobilitazione patriottica contro il nemico esterno allo scopo di reprimere le opposizioni interne e rafforzare la coesione nazionale.

Riad e Teheran, del resto, si fronteggiano già in modo indiretto nei teatri bellici yemenita, iracheno-siriano e la crisi attuale offre a entrambi l’occasione per inasprire il confronto e rinnovare la corsa al riarmo strategico, inclusi i missili balistici e le armi nucleari a cui è interessata anche l’Arabia Saudita che ha finanziato la “bomba islamica” pakistana. In Yemen la potente e ben armata coalizione guidata da Riad non è riuscita ad avere la meglio sui ribelli sciti Houthi sostenuti dall’Iran e un inasprimento della guerra farebbe tramontare le ipotesi di soluzione negoziata del conflitto. Stesso scenario in Siria dove l’accentuarsi del confronto tra Riad e Teheran si tradurrebbe in un maggiore supporto rispettivamente ai ribelli jihadisti e alle forze di Assad, con una recrudescenza che seppellirebbe gli accordi di Vienna e la risoluzione dell’Onu per una pace negoziata.

Il rischio più grave è però rappresentato dalla possibilità che si infiammi il Golfo Persico, teatro di guerra ideale per sauditi e iraniani che si contendono l’egemonia nel piccolo bacino marittimo. Uno scenario bellico che avrebbe pesanti ripercussioni sul mercato petrolifero con la chiusura dello stretto di Hormuz e il blocco del traffico delle petroliere che paralizzerebbe i rifornimenti energetici di mezzo mondo oltre a impedire gran parte dell’export di greggio di molti Stati della regione. Anche a causa del prolungato embargo internazionale Teheran dispone di forze aeree e navali meno moderne di quelle saudite e arabe (benché grazie alle forniture russe stia rapidamente colmando il gap), ma i suoi arsenali sono pieni di missili balistici e antinave in grado di devastare città e infrastrutture militari e petrolifere nella Penisola Arabica e di paralizzare il traffico marittimo nel Golfo.

L’opzione bellica, pur non essendo nell’interesse di nessuno dei due contendenti, diventa però più concreta ora che tutti i Paesi arabi della regione (Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ) hanno seguito Riad nel chiudere le relazioni diplomatiche con l’Iran. Il rischio di incidenti in quelle acque è da sempre molto alto ed eventuali provocazioni dei pasdaran iraniani o delle marine arabe rischiano di accendere scintille pronte a infiammare tutto il Golfo specie nelle aree contese come le isole di Abu Musa (all’ingresso dello Stretto di Hormuz) rivendicate dagli Emirati. Una guerra totale avrebbe conseguenze incalcolabili per l’economia mondiale, ma annienterebbe sia sauditi che iraniani. I primi hanno truppe e mezzi schierati nello Yemen dove i jet della coalizione araba hanno esaurito bombe e missili al punto di doverne acquistare d’urgenza in Occidente. 

Teheran è invece esposta pesantemente nel sostegno militare a Damasco mentre il crollo del prezzo del petrolio ha impoverito entrambi i Paesi creando forti deficit di bilancio che limiterebbero la capacità di sostenere un conflitto di ampia portata e lunga durata. Infine, un conflitto aperto tra sauditi e iraniani manderebbe definitivamente a gambe all’aria la già sgangherata Coalizione a guida statunitense anti-Isis attiva in Siria di cui fanno parte anche velivoli sauditi e degli emirati del Golfo, peraltro mai distintisi nei raid conto i “fratelli sunniti” del Califfato.