Perché la democrazia è anche un po’ imbecille
Dopo aver ricevuto l’ennesima laurea honoris causa, il recentemente defunto Umberto Eco si è lasciato andare a un sfogo che puntualmente tutti i media hanno ripreso con venerazione. Lo sfogo era questo: i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Beh, ma la democrazia ha pure bisogno di loro.
Dopo aver ricevuto l’ennesima laurea honoris causa, il recentemente defunto Umberto Eco si è lasciato andare a un sfogo che puntualmente tutti i media hanno ripreso con venerazione. Venerazione che, se la stessa cosa l’avesse detta un altro, sarebbe diventata linciaggio. La laurea, conferita dall’Università di Torino, era in Comunicazione e Cultura dei Media. Lo sfogo era questo: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli (che) prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel».
Sacrosanto, come non condividere? Solo che Eco forse non si è reso conto di star parlando anche lui come si parla al bar. Be’, non sottilizziamo, uno sfogo è uno sfogo. L’avesse detto un altro meno vip di lui, tuttavia, sarebbe stato subissato. Infatti, lo sfogo di Eco è, in verità, un pozzo senza fondo, e stupisce che il Maestro non se ne sia accorto. Già, perché lo stesso discorso può essere applicato alle elezioni democratiche, che danno a tutti il medesimo diritto che ha un Premio Nobel. Il voto di un imbecille vale quello di un accademico plurititolato. Il diritto di parola è stato conquistato da chiunque nel popolo a prezzo di oceani di sangue. Così come quello di decidere chi deve comandare. E anche di decidere, tramite referendum, su questioni di importanza epocale: aborto, divorzio, eutanasia, nozze gay, educazione gender nelle scuole eccetera. Su tutto, insomma, perfino sulle discariche. Tranne che sulle tasse e la politica estera (espressamente vietato dalla Costituzione).
Eh, i Padri costituenti sapevano bene qual sia la proporzione tra “imbecilli” e “preminobel” nel popolo. Così come lo sapeva benissimo Eco. A volere essere fastidiosi, tuttavia, uno potrebbe chiedere perché un Premio Nobel dovrebbe avere maggior diritto di parola di un imbecille su un argomento per cui non è stato premiato. Per esempio, un Premio Nobel per la Medicina che ne sa di trivellazioni petrolifere nel Mar Adriatico? E perché la sua opinione dovrebbe avere maggior diritto di espressione della mia? Di campionati di calcio, per esempio, i frequentatori dei bar ne sanno molto più di Dario Fo, che pur è stato Premio Nobel. E non si dica che, per l’economia nazionale, il calcio ha importanza inferiore al teatro del grottesco.
É, certo, verissimo, che è ridicolo sbandierare opinioni su ciò di cui non si ha nozione. Ma il “diritto” di esporle è un’altra cosa. Altrimenti si ricade nella solita trappola giacobina: un’élite autocooptata stabilisce quale sia l’opinione “giusta” e solo ad essa dà diritto di parola; le altre «vengono subito messe a tacere». Eco, facendo parte di tale élite, si lamentava che internet rimanga ancora non disciplinata. Avrebbe ragione, perché internet è sì, la Biblioteca di Alessandria, ma anche la Cloaca Maxima (copyright Armando Torno). Solo che l’intoppo è un altro: chi è che ha il diritto di stabilire chi ha il diritto? Per quanto riguarda i social, la disciplina c’è già, ed è quella politically correct. Forse Eco, malgrado la sua specifica laurea honoris causa, non lo sapeva. I principali social censurano, eccome. E i blog privati sono monitorati dalla polizia postale. La quale, contrariamente a quanto si creda, non si occupa solo di pedopornografia on line.
Mi si consenta un esempio personale. Quando il mio blog era aperto ai commenti, un lettore si permise una goffa battuta sui nomadi. Era proprio un commento da bar, e come tale lo giudicai. Non così la polizia, che mi convocò con tanto di avviso ufficiale (non vi dico la figuraccia col portiere) e mi chiese spiegazioni in base alla legge Mancino. Me la cavai con una mattinata persa e il preventivo ammattimento, durato una settimana (cosa avevo fatto? in che cosa ero finito coinvolto? e così via). Risultato: ho chiuso la sezione “commenti” del mio blog. Per forza: essendo giuridicamente responsabile del mio sito, come avrei fatto a sapere se un futuro commento (altrui) per me innocuo sarebbe stato tale anche agli occhi di qualche magistrato o di qualche perditempo facile alla denuncia?