L'EDITORIALE
Perché essere ad Assisi con il Papa
Alcuni amici e colleghi, tra i quali dei collaboratori de La Bussola, hanno firmato un appello al Papa perché ci ripensi e non vada all'incontro interreligioso di Assisi che ha convocato. Qualche ragione per essere con Pietro...
Editoriali
14_01_2011
All’inizio dell’anno Benedetto XVI nel corso dell’Angelus ha annunciato la convocazione – con la sua partecipazione – di un incontro mondiale delle religioni ad Assisi, per invocare la pace, in occasione del venticinquesimo anniversario del primo raduno voluto dal venerabile (e presto beato) Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986.
Quel primo incontro fu preceduto e accompagnato da molte polemiche. Alcuni autorevoli cardinali espressero perplessità sull’opportunità di convocarlo. Mentre l’arcivescovo Marcel Lefebvre, all’epoca sospeso a divinis ma non ancora scomunicato, si appellò a sette porporati, tra i quali l’arcivescovo di Genova Giuseppe Siri, chiedendo loro di fermare il Pontefice che a suo dire continuava «a rovinare la fede cattolica» deridendo il Credo e il Decalogo, e definendo «abominevole» il meeting interreligioso.
In quella occasione, non per responsabilità del Papa, si verificarono delle sbavature e qualche abuso (anche se non tutto ciò che circola e si auto-riproduce in proposito sul Web è vero). Il discorso di Giovanni Paolo II, alla cui stesura e revisione collaborò l’allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, fu chiaro. Anche se, come lo stesso Ratzinger sottolineò più di una volta, sono da prendere sul serio le preoccupazioni di quanti temono che questi incontri veicolino l’idea che tutte le religioni si equivalgono, che tutte sono ugualmente via di salvezza.
Nei giorni scorsi alcuni storici e giornalisti cattolici vicini alla sensibilità tradizionale hanno firmato un appello a Benedetto XVI pubblicato sul quotidiano il Foglio, riprendendo quei dubbi e quelle preoccupazioni. Alcuni di loro sono collaboratori apprezzati sia della Bussola che del Timone. Essi chiedono al Papa di considerare i rischi di un evento del genere, e si dicono sicuri che qualunque cosa Ratzinger dirà o farà ad Assisi, il messaggio veicolato dai media sarà quello – sbagliato – del sincretismo religioso, di un pericoloso abbraccio tra verità ed errore che mette tutto e tutti sullo stesso piano. Ed è evidente che le perplessità che i firmatari esprimono sono condivise da più di qualcuno nella Chiesa.
Nessuno nega la possibilità di criticare la decisione papale sulla base di motivazioni di convenienza, e non si può certo dire che l’appello su Assisi sia irrispettoso. Paolo VI, Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI sono stati sottoposti a critiche e a un dissenso interno alla Chiesa spesso corrosivo, feroce e ben più grave. Detto questo, a chi scrive sono però sembrate fuori luogo le motivazioni addotte nella lettera aperta al Papa, e il fatto che, nonostante la lunghezza dell’appello stesso, si sia omesso qualsiasi accenno alla seconda riunione mondiale delle religioni di Assisi, convocata, sempre da Giovanni Paolo II, nel gennaio 2002, dopo gli attentati alle Torri Gemelle.
Veniamo innanzitutto alle motivazioni. I firmatari per convincere il Papa a ripensare ad Assisi, nella speranza che non ci vada (anche se non è esplicito, questo è il senso), hanno addotto ragioni teologiche, citando brani di Leone XIII e di Pio XI. Ovviamente più che legittimo, anche se a mio parere fuori luogo: l’effetto che si ottiene – al di là delle intenzioni – è infatti quello di voler spiegare a un Papa teologo, che conosce piuttosto bene il magistero dei predecessori, le motivazioni per le quali dovrebbe rimangiarsi un annuncio già fatto.
E' azzardato appellarsi al Papa per spiegargli che non deve prendere una determinata iniziativa in quanto non è in linea con il suo pontificato. Perché, in fondo, questo è ciò che si legge in quell’appello. Si dice al successore di Pietro che per essere in linea con il suo stesso magistero deve cambiare idea. Il che dimostra l’esistenza di «ratzingeriani» i quali finiscono per essere o apparire più ratzingeriani di Ratzinger. L’iniziativa, insomma, non si limita a essere una lettera preoccupata di chi chiede al Pontefice che vengano evitati rischi e cattive interpretazioni e si presta a essere letta, invece, come la volontà di dettare la linea al Papa per evitare che esca dai programmi del suo stesso pontificato.
Il che significa, in fin dei conti, che ci si è fatti un’idea di Benedetto XVI che non corrisponde alla realtà, anche perché è stato il Papa – senza subire pressioni o suggerimenti di alcuno – a decidere di convocare Assisi III.
Veniamo al secondo rilievo. Fu Giovanni Paolo II, poco prima di partire per Assisi nel gennaio 2002, a volere a fianco a sé il cardinale Ratzinger. Che vi partecipò e al suo ritorno scrisse una profonda meditazione sul significato del gesto e sull’esperienza vissuta.
«Non si è trattato – osservò il futuro Papa su Trentagiorni - di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia». «Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia - continuava l’allora cardinale Ratzinger - i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione».
Gli amici e colleghi firmatari dell’appello hanno presentato solo dubbi e rischi, evitando di citare le motivazioni del futuro Papa. Valeva invece la pena ricordare che nel libro Fede Verità e Tolleranza, sempre Ratzinger affermava che pur esistendo «pericoli innegabili» di fraintendimenti, «sarebbe però altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa », la quale va legata a determinate condizioni e deve rimanere un «segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio»?.
Si può dissentire, si può manifestare la propria preoccupazione, ma non si dovrebbe ignorare ciò che lo stesso Ratzinger ha detto proprio su questo argomento, spiegando il significato di tali gesti. Nel 2002 non si ripeterono le sbavature del 1986, come ha recentemente riconosciuto persino il superiore della Fraternità San Pio X, monsignor Bernard Fellay. Il venerabile e presto beato Papa Wojtyla volle riunire le religioni per togliere giustificazione teologica all’uso della violenza, all’abuso del nome di Dio per giustificare il terrorismo.
In un momento in cui lo scontro di civiltà veniva presentato come inevitabile, volle indicare il compito delle religioni nella costruzione della pace. Da dieci anni a questa parte, ci sembra che sulla scena mondiale sia dominante l’idea del conflitto tra religioni e l’esasperazione di quest’ultimo, non l’abbraccio sincretistico che fa apparire tutti uguali e tutti buoni.
Attribuire alle riunioni di Assisi la responsabilità della perdita della fede in Gesù unico salvatore, sostenere che a seguito di quei meeting interreligiosi la gente ha finito per considerare tutte le religioni uguali ci sembra oggettivamente ingiusto. Com’è ingiusto attribuire al Concilio Vaticano II la crisi della fede che ha caratterizzato gli ultimi decenni del secolo scorso.
Il Papa ha indicato quest’anno la libertà religiosa come via indispensabile per costruire la pace, pochi giorni fa ha ricordato che non si può negare «il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà». Il successore di Pietro ritiene che l’umanità oggi stia vivendo un momento così difficile da giustificare anche i rischi di un Assisi III.
Si può non essere d’accordo con lui, ma non è giusto cercare di affermare che è il Papa a non essere d’accordo con se stesso. Se c’è uno del quale si può star sicuri che non darà adito a fraintendimenti, questo è proprio Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI. Starà a noi che ci occupiamo di informazione, come del resto molti dei firmatari dell’appello, far passare il messaggio corretto su quell’evento.