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SFIDE

Per i liberal, Jihad e populisti pari sono

Jihad e populismo assediano le democrazie: è apparso con questo titolo su La Stampa di domenica un editoriale, a firma del suo direttore Maurizio Molinari è un esempio delle pulsioni neo-autoritarie che oggi serpeggiano nelle élite progressiste. In pratica: jihad e "populisti" di varia natura sono messi sullo stesso piano. E la soluzione non passa per il voto democratico.

Editoriali 14_02_2017
Geert Wilders, un "populista" liberale

Jihad e populismo assediano le democrazie: è apparso con questo titolo su La Stampa di domenica un editoriale, a firma del suo direttore Maurizio Molinari, che merita un’attenta analisi. E’ infatti un documento, a suo modo molto significativo, delle pulsioni neo-autoritarie che oggi serpeggiano in quella cultura “laica” progressista di cui l’autorevole quotidiano torinese è uno storico portabandiera.

L’idea che sta al fondo dell’editoriale è la pretesa equivalenza tra jihad e populismo. “Le democrazie industriali”, esordisce il direttore de La Stampa, “si trovano davanti a una doppia temibile sfida: il jihadismo dall’esterno, il populismo dall’interno”. Osserviamo, prima di procedere, che “populismo” è già un equivoco in sé. Si tratta infatti di una scatola concettuale nella quale la cultura di cui si diceva racchiude esperienze e progetti politici anche del tutto diversi. C’è dentro di tutto, dal liberalismo fino al qualunquismo più volgare e squalificato. E a quest’ultimo si attinge poi per dare all’insieme un solo colore, il peggiore possibile.

All’inizio della sua argomentazione Molinari concede che le “due minacce” siano “diverse per genesi, identità e pericolosità”, ma poi le mette sempre nello stesso piatto fino a fare addirittura un sol fascio di “quanto avvenuto negli ultimi giorni a Québec City e Lione”. Per inciso  osserviamo (anche se ciò qui non ci riguarda) che tra l’altro a tutt’oggi non è stato ancora chiarito che cosa abbia armato la mano dell’attentatore di Québec, e non sono esclusi motivi puramente personali. 

Ciò che ad ogni modo ci preme qui sottolineare è che diventano così sintomi equivalenti della medesima mostruosità da una parte l’attacco con armi da fuoco a una moschea della città canadese, costato la vita a molti fedeli musulmani che ivi erano riuniti, e dall’altro il discorso pronunciato a Lione con cui Marine Le Pen, leader del Front National, si è candidata all’Eliseo. “In entrambi i casi”, afferma l’autorevole editorialista, “si tratta di espressioni estreme, ultranazionaliste del populismo anti-sistema (…)”. Il fatto poi che il primo sia un massacro e l’altro invece un comizio evidentemente conta poco.

Fatto sta che jihadismo e “populismo” sono per lui entrambi “una minaccia alla sicurezza” di cui “i leader delle democrazie avanzate” devono fare piazza pulita. Nel primo caso manu militari “assegnando il compito alla Nato e siglando intese strategiche” con un grande arco di Paesi dal Marocco all’Australia. Nel secondo caso più benevolmente con “politiche di crescita e di sviluppo” tali da disinnescare la “rivolta dei ceti medi impoveriti dalla globalizzazione e bisognosi di nuove forme di protezione economica e sociale”.

Ci sarebbe pure qualcosa da dire sulla sbrigative spiegazioni che il direttore de La Stampa dà riguardo alle origini del jihadismo, ma restiamo al tema.  Ciò che innanzitutto colpisce, e che si deve attentamente considerare, è la legittimazione eterna che secondo lui hanno le attuali élites occidentali. “Leader e movimenti che nei Paesi dell’Occidente si propongono di demolire l’establishment dando voce alla rabbia popolare si giovano della carente attenzione dei partiti tradizionali per le nuove forme di povertà”. “Sconfiggere tale minaccia, disinnescando la genesi del populismo” è dunque oggi il primo compito dei “leader delle democrazie avanzate”. Jihadismo e “populismo”, ammonisce poi Molinari, vanno combattuti separatamente per non correre il rischio “di scivolare verso un confronto diretto fra jihadisti e populisti, gli uni alimentati dagli altri e viceversa (…) Ecco perché servono in fretta politiche comuni radicalmente innovative, da parte di Europa e Stati Uniti, per disinnescare i pericoli che incombono su tutti noi”.   

E’ escluso che quelle storiche élites possano anche uscire di scena, e che quei mitici leader delle democrazie avanzate possano venire democraticamente rimandati a casa e democraticamente sostituti da altri legittimi leader. Le une e gli altri sono e devono restare al potere per l’eternità. A nessuno, nemmeno per ipotesi, è concesso di sostituirli. Sono loro che, dal trono ove sono saldamente avvitati, devono e possono provvedere sempre e comunque ad ogni cosa tagliando così le unghie ai “populisti” che la gente come noi, sviata dalle nuove povertà (si sa che la fame è cattiva consigliera), vorrebbe magari eleggere al loro posto. Per il progressismo “laico”, insomma,  nascondere il proprio volto neo-autoritario dietro una maschera di democrazia benevola sta insomma diventando sempre più difficile. Ecco un aspetto positivo del tempo pur drammatico ma interessante in cui viviamo.