Per eliminare Equitalia basta applicare la legge
Matteo Renzi vuole abolire Equitalia. «Confermo che entro l'anno diremo 'bye bye Equitalia”», ha detto il premier. Non è la prima volta (vedi Berlusconi) che un presidente del Consiglio l’annuncia. Ma la realtà è che, dal punto di vista dello Stato, cancellare Equitalia non è solo molto difficile ma perfino sconveniente. Eppure, basterebbe applicare una legge che già c’è per eliminare le storture di Equitalia.
La promessa è bomba, un po' come il soprannome “il Bomba” (uno che le spara grosse) che i suoi conterranei toscani gli hanno affibbiato: Matteo Renzi vuole abolire Equitalia. «Confermo che entro l'anno diremo bye bye Equitalia» - ha detto ai microfoni di Rtl 102.5, precisando che il governo varerà un decreto per la soppressione dell’Agenzia ed «Equitalia non ci sarà più». Questo «non vuol dire che non si pagano più le tasse» (anzi, il premier ha addirittura rivendicato come l'Italia sia «medaglia d'oro alla caccia agli evasori»), ma che «si pagano in un modo completamente diverso».
Non è ovviamente la prima volta che un premier o un politico di lungo corso fa una promessa del genere. Sul sito di Forza Italia (clicca qui) si può ad esempio trovare un intervento di Silvio Berlusconi che rivendica il merito dell'abolizione dell'agenzia di riscossione fiscale: «Equitalia», scriveva l'ex premier, «oggi si comporta come un’azienda tesa al profitto, i suoi collaboratori e i suoi dirigenti, guadagnano a seconda delle utilità che riescono a portare a casa e quindi esercitano una pressione che va al di là del debito, al di là del giusto nei confronti dei contribuenti. In effetti oggi noi siamo già quasi in uno stato di polizia tributaria».
Ma ancora più bizzarro è pensare come lo stesso Renzi, nel maggio scorso, abbia già promesso di abolirla, in quell'occasione «entro il 2018» (clicca qui). Ciò dimenticandosi di ricordare come, due anni prima, il Pd aveva votato contro una proposta del Movimento 5 Stelle per abolirla. La realtà è che, dal punto di vista dello Stato, cancellare Equitalia non è solo molto difficile ma perfino sconveniente. Per prima cosa perché è una società pubblica, partecipata al 51% dall'Agenzia delle Entrate e al 49% dall'Inps, l'ente previdenziale che con un bilancio di 315 miliardi di euro (più del doppio di quello di Eni) costituisce di gran lunga la più grande “azienda” italiana.
Dal punto di vista del pubblico, privarsene e affidare la riscossione ad altre aziende sarebbe più o meno l'equivalente di amputarsi un braccio. La questione è che il problema identificato (ma non risolto) da Berlusconi è lo stesso ammesso dall'attuale viceministro all'Economia Enrico Zanetti che durante una puntata della trasmissione La Gabbia su La 7 ha definito le modalità operative di Equitalia come un «mercato delle vacche», più orientato a recuperare fondi che a reprimere l'evasione. Un obiettivo di fatto dettato dai governi, che spinge l'agenzia a usare metodi di accertamento come il redditometro e lo spesometro, che troppo spesso non identificano un'evasione fiscale reale.
Ma davvero l'abolizione di Equitalia porterebbe alla fine di queste modalità operative? Non è detto. Un esempio lampante viene da Como dove, due anni e mezzo fa, una società partecipata dal Comune, Ica srl, s'è comportata né più né meno come Equitalia: ai commercianti è stato infatti chiesto di pagare le imposte in maniera retroattiva (clicca qui), una pratica in contrasto con la legge 212/2000 conosciuta col nome di “Statuto dei diritti dei contribuenti”. Una legge che stabilisce alcuni principi chiave come la non retroattività di una norma tributaria, l'obbligo di approvare le leggi fiscali in parlamento, termini perentori per notifica, prescrizione e produzione di documenti da parte dell'indagato (minimo 30 giorni), limitazione dell'onere della prova (un cittadino non deve tenere documenti già in possesso dell'amministrazione tributaria e comunque mai per un periodo superiore a 10 anni), principio di correttezza e buona fede (non si possono irrogare sanzioni in presenza di mancanze amministrative o legislative).
Peccato che questi principi vengano infranti quotidianamente. La non retroattività, ad esempio, è stata infranta ben 86 volte in 14 anni, di cui 23 proprio nel 2014, il primo anno di governo Renzi (clicca qui). In tutto il non rispetto della norma è costato agli italiani la bellezza di 10 miliardi di euro. Con la prima legge di Stabilità del governo, Renzi ha aumentato in modo retroattivo dall’11 al 20% la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione (gettito di 450 milioni di euro), moltiplicato dal 5 al 77,74% dei dividendi la quota imponibile delle fondazioni e dei trust e ripristinato le aliquote Irap che il decreto Irpef dello scorso aprile aveva ridotto del 10 per cento. Insomma se davvero la politica volesse cambiare le cose basterebbe facesse applicare le leggi che già ci sono. Peccato che al governo Renzi non convenga.