Per alcuni la priorità per l'Africa è legalizzare l'aborto
La Sierra Leone è uno dei paesi più poveri del mondo, reduce da una guerra civile devastante. Eppure la battaglia che oggi si combatte nel suo parlamento riguarda la legalizzazione dell'aborto. Idem dicasi per il Malawi, dove Stato e Chiesa si scontrano sulla nuova legge. E le pressioni internazionali sono molto forti.
La Sierra Leone ha mille problemi. È uno degli stati più poveri del mondo. Nell’Indice dello sviluppo umano 2015 figura tra i dieci paesi, tutti africani, con i più bassi livelli di sviluppo. La speranza di vita alla nascita è inferiore a 51 anni, 107 bambini su mille non superano il primo anno di età e 160 muoiono prima di compiere cinque anni; su 100.000 abitanti, 108 muoiono di malaria e 143 di tubercolosi. Muoiono di gravidanza e parto 1.100 donne ogni 100.000 bambini nati vivi. Il 44% della popolazione adulta è analfabeta, quasi il 57% vive sotto la soglia di povertà, vale a dire con meno di 1,25 dollari al giorno, l’83% delle persone che lavorano guadagna meno di due dollari al giorno. La guerra civile durata dal 1991 al 2002, una delle più cruente combattute in Africa, è costata oltre 50.000 morti e il paese ancora ne paga le conseguenze. La Sierra Leone è anche uno dei tre stati dell’Africa occidentale, insieme alla Liberia e alla Guinea Conakry, colpiti dall’epidemia di Ebola che per due anni ha imperversato uccidendo quasi 4.000 persone e portando al collasso un sistema sanitario già del tutto inadeguato anche in tempi normali. La crisi sanitaria è finita da tre mesi soltanto, ma il livello di allarme resta elevato per la possibilità di nuovi focolai di infezione.
Si stenta a crederlo, con tante emergenze sociali ed economiche da risolvere, eppure una priorità del paese è la legalizzazione dell’aborto, oggetto di sedute parlamentari da mesi. A gennaio il presidente Ernest Bai Koroma ha rifiutato di firmare il progetto di legge “Aborto sicuro” approvato dal parlamento che autorizza l’aborto entro le prime 12 settimane di gravidanza su richiesta della donna. La decisione di non firmare il progetto di legge è stata presa dal capo dello stato dopo alcune consultazioni con le autorità religiose ed è stata motivata invocando la “sacralità della vita”.
Ma ormai, anche in Africa, molti ritengono quella per l’aborto libero una “battaglia di civiltà”, per portare gli stati africani alla pari con i paesi dell’Europa e del Nord America. Tornato in aula, il progetto nei giorni scorsi è stato approvato nuovamente dai parlamentari all’unanimità e quindi è stato rimandato al presidente Koroma per la firma necessaria a trasformarlo in legge. La situazione adesso è delicata poiché, in base alla costituzione, il presidente della repubblica non può respingere un progetto di legge se è stato approvato dai due terzi del parlamento.
Anche il parlamento del Malawi, uno stato dell’Africa australe, si appresta quest’anno a votare un analogo progetto di legge dopo ben due anni di consultazioni. Al momento in Malawi una donna che abortisce è punita con la detenzione fino a 14 anni, a meno che un medico non dimostri che la prosecuzione della gravidanza ne avrebbe messo in pericolo la vita. La proposta di legalizzare l’aborto ha diviso la popolazione e ha dato luogo a uno scontro tra i politici e la Chiesa cattolica. A gennaio il presidente del parlamento, Richard Msowoya, ha duramente criticato la posizione contraria della Chiesa. L’aborto libero, ha detto tra l’altro, è necessario perché attualmente gli aborti clandestini provocano il 17% dei casi di mortalità materna (che in Malawi è di 510 donne ogni 100.000 nascite).
L’aborto è proibito in oltre un terzo dei paesi dell’Africa sub-sahariana. La sua legalizzazione in Malawi e in Sierra Leone avrebbe probabilmente delle ripercussioni sul resto del continente. Su un’altra questione molto dibattuta in Africa e nel mondo il Malawi ha già assunto una posizione che fa discutere e potrebbe influenzare le scelte di altri paesi. Negli ultimi giorni del 2015 il governo malawino ha deciso una moratoria delle cause giudiziarie contro gli omosessuali. I leader cristiani e musulmani hanno condannato l’iniziativa del governo che invece è stata accolta con soddisfazione dai movimenti per i diritti umani del paese: “molti pensano che il Malawi sia uno stato cristiano – ha commentato un loro portavoce, Billy Mayaya – ma non è vero, noi siamo uno stato laico”.
Quasi tutti gli stati africani proibiscono e sanzionano l’omosessualità. Da qualche tempo per questo sono sottoposti a pressioni da parte delle Nazioni Unite e dei governi occidentali, sempre più intenzionati a imporre sanzioni commerciali, attuare il congelamento degli aiuti allo sviluppo e usare altri mezzi a loro disposizione per indurre i governi africani ad abrogare le leggi contro l’omosessualità.
La campagna per la liberalizzazione dell’aborto ha trovato nuovi argomenti grazie all’allarme globale per il virus Zika lanciato dall’Onu. L’occasione di rafforzare quella per i diritti gay sarà la 21° conferenza internazionale sull’Aids che si terrà a luglio a Durban, in Sudafrica. I movimenti Lgbt si presenteranno sicuramente al summit sostenendo che per sconfiggere l’Aids è indispensabile accogliere tutte le rivendicazioni gay. A fine gennaio l’inviato speciale degli Stati Uniti per i diritti Lgbt Randy Berry, dopo una visita in Malawi, Namibia, Botswana e Sudafrica, si è detto fiducioso che i leader dell’Africa australe si stiano orientando verso un atteggiamento più aperto nei confronti delle minoranze sessuali e di genere nonostante le resistenze della popolazione che rifiuta l’omosessualità influenzata da fattori culturali e religiosi.