Pentimento e redenzione: il miracolo in casa del fariseo
Maddalena si getta letteralmente a terra in un gesto appassionato che non la umilia, anzi, le fa ottenere il perdono e la salvezza che solo un grande amore può gratuitamente elargire. È attraverso la sincera contrizione della peccatrice, infatti, che può avvenire la remissione delle sue colpe. Il suo è, al cospetto di Cristo, un gesto sacramentale da leggere qui in chiave controriformista. Leggiamo insieme la Cena in casa di Simone il fariseo del Moretto
Il Moretto, Cena in casa di Simone il fariseo, Brescia – Chiesa di Santa Maria in Calchera
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo… (Lc 7,36)
Il Moretto, al secolo Alessandro Bonvicino, è stato un geniale pittore bresciano, annoverato, con Romanino e Savoldo, nella triade autoctona dei precursori caravaggeschi, protagonista di quella grande stagione artistica che fu il Cinquecento lombardo, definita dal critico Roberto Longhi “un’arte concreta, fatta di fiducia terrena e scevra di ogni allucinamento.” Quella, per intenderci, in cui i pittori cominciarono a usare pennelli e colori per “registrare il visibile”.
La sua produzione copre un arco di tempo lungo quasi quarant’anni, arrivando a toccare la metà del secolo, e si concentra, per lo più, su temi religiosi che Moretto dipinge coniugando la sua devozione profonda e sincera a un senso pratico, appunto, delle cose e della realtà. Un esempio sublime ne è la tela della Cena in casa di Simone il fariseo ovvero la pala del primo altare di sinistra della chiesa di Santa Maria in Calchera, in quel di Brescia. Datata tra il 1550 e il 1554, è considerata il vertice della sua pittura.
Già la critica seicentesca ne lodava la resa luministica e la potente composizione, ammirando la sapiente distribuzione delle figure nello spazio e, ancor più, il loro emergere dal buio del fondo grazie a un radente e suggestivo uso della luce. Moretto ci racconta di quando Maria Maddalena, prostrata accanto al Messia seduto alla mensa del fariseo, Gli accarezza teneramente i piedi, cospargendoli col suo prezioso unguento presumibilmente contenuto nel vasetto posto poco più in là. I lunghi capelli le incorniciano il viso, che vediamo di profilo, l’espressione struggente. Le ricadono sulla schiena e sulla veste di gusto rinascimentale, di cui apprezziamo la realistica fattura del tessuto verde e dorato.
Maddalena si getta letteralmente a terra in un gesto appassionato che non la umilia anzi, le fa ottenere il perdono e la salvezza che solo un grande amore può gratuitamente elargire. Il suo comportamento è contrapposto alla solenne monumentalità del portamento del padrone di casa che pure fissa su Gesù uno sguardo concentrato.
Il Messia catalizza anche l’attenzione degli astanti camerieri: le loro occhiate creano un gioco di diagonali che costruiscono lo spazio cui le braccia spalancate di Gesù conferiscono profondità, mettendo, allo stesso tempo, in relazione i protagonisti della scena. Il Cristo non guarda Maddalena ma la indica al suo ospite, eloquentemente spiegando così il potere redentore del pentimento della donna.
È attraverso la sincera contrizione della peccatrice, infatti, che può avvenire la remissione delle sue colpe. Il suo è, al cospetto di Cristo, un gesto sacramentale da leggere qui in chiave controriformista. E non poteva, dunque, mancare la citazione eucaristica che il pittore suggerisce nella splendida natura morta della tavola bianca e abbagliante su cui compaiono il pane spezzato, un calice di vino e, in un piatto, resti di pesce, da sempre simbolo iconografico del sacrificio di Gesù.